Considerazioni sull’Islam
Un legame complesso collega la religione di Maometto agli attuali terroristi con tendenze necrofile

Nel presente saggio la parola «islamico» è usata per indicare non solo l’estremista fanatico di quella religione, ma anche colui che, pur aderendo a quella fede senza fanatismo o violenza, tuttavia non ha operato un consapevole distinguo tra fede e ragione, non nega all’ambito della fede una prevalenza assoluta e generale su quello della ragione, e pertanto ripone la sua identità più nella religione che nella cittadinanza.


Premessa storica

Dal punto di vista storico questo scontro è un fatto tradizionale e consolidato. Dapprima (VII ed VIII secolo) gli islamici si impadronirono, con brillanti azioni militari, delle zone con presenza cristiana variamente diffusa: Medio Oriente, Balcani, Nord Africa, Sicilia, Penisola Iberica. Tuttavia nel 1091 cessò il dominio islamico in Sicilia ad opera dei Normanni, e nel 1095 con la prima Crociata iniziò una controffensiva cristiana, che però si concluse nel 1291 con un nulla di fatto. Nel 1252 i Mongoli, che un decennio prima avevano conquistato la Russia, si convertirono all’Islam, ma i Russi se ne liberarono tra il 1380 ed il 1480. Nel 1453 gli Ottomani islamizzati conquistarono Costantinopoli, ma da quel momento gli islamici subirono un declino militare senza ritorno (1492: perdita dalla Penisola Iberica, 1529: fallito assedio di Vienna, 1554: i Russi raggiungono il Mar Caspio, 1571: battaglia di Lepanto, 1683: assedio di Vienna nuovamente fallito, 1686: perdita dell’Ungheria, 1696: conquista russa di Azov sul Mar Nero). Nel frattempo i Portoghesi, grazie alle nuove tecniche di navigazione oceanica, aggirarono l’area islamica compiendo il periplo dell’Africa, e nel 1498 Vasco de Gama penetrò nell’Oceano Indiano. Le successive conquiste russe nel Caucaso e sul Mar Nero (seconda metà del XVIII e prima metà del XIX secolo) a spese di Ottomani e Persiani, e la spartizione dell’Impero Ottomano alla fine della Prima Guerra Mondiale, sfociarono nell’abolizione del Sultanato, del Califfato e nella proclamazione della occidentalizzata Repubblica Turca (1923).

La tendenza all’occidentalizzazione divenne estensiva nel mondo islamico dopo la Seconda Guerra Mondiale, e dopo un’adesione inizialmente acritica alla cultura occidentale vi furono in alcuni Paesi islamici delle ripulse all’Occidente. Ciò avvenne sia con tentativi di introdurre elementi di marxismo nell’ordinamento dello Stato (Yemen, Algeria, Egitto, Libia, eccetera tra il 1950 ed il 1970) esauritisi con il crollo del blocco comunista, sia tramite conati meramente nazionalisti (nazionalizzazioni del petrolio in Persia nel 1952, del Canale di Suez in Egitto nel 1956, eccetera). La ripulsa dell’occidentalizzazione è esplosa con la recente rinascita della religione islamica ad opera di movimenti integralisti, ed è tuttora in atto.


Situazione attuale

La tecnologia. Le popolazioni islamiche sono tuttora convinte della superiorità della loro cultura ed ossessionate dallo scarso potere di cui dispongono, scarsità di cui tuttora non comprendono le cause. Pochi islamici si chiedono come mai Colombo, de Gama e Magellano siano partiti dai porti atlantici a Nord di Gibilterra e non da quelli atlantici a Sud di Gibilterra in territorio islamico. Nella ricerca di motivi di autostima a quelle popolazioni non è rimasto altro riferimento che la religione, dato che la loro civiltà, dopo un periodo di splendore è ormai da molti secoli infeconda di risultati civili, scientifici, tecnologici, militari, economici. Le popolazioni islamiche sono consapevoli più di noi che senza tutta la tecnologia e l’organizzazione occidentali esse regredirebbero istantaneamente ad una realtà pre-industriale. Questa percezione di crescente inferiorità si evidenzia non solo verso l’Occidente cristiano, ma anche verso l’Oriente confuciano, buddista ed induista, i cui Paesi (Giappone, Cina, Corea, Singapore, India, eccetera) sono divenuti potenze di livello mondiale. Le popolazioni islamiche pertanto si trovano sempre più schiacciate tra la incontenibile crescita di Cina ed India e la potenza stabilizzata dell’Occidente e del Giappone, avendo come unico punto di forza la disponibilità di una sola materia prima, il petrolio, ma come semplice rendita di posizione, senza aver mai contribuito a valorizzare questa mera risorsa naturale trasformandola in risorsa tecnologica, progettando e costruendo un sismografo, una trivella, una raffineria, un cracking, limitandosi alla mera gestione speculativa del giocattolo finanziario (Napoleoni, 2004). L’accesso alla cultura occidentale non è mancato paritariamente ai Paesi confuciani, buddisti, induisti ed islamici, ma solo per i Paesi islamici questo accesso si è risolto in un fallimento con l’eccezione della occidentalizzata Turchia.

Un islamico può anche aver imparato a far funzionare i prodotti della tecnologia occidentale, ma attualmente non è in grado di fabbricarli se non copiandoli, ancor meno di progettarli e men che meno di idearne un nuovo tipo. Emblematico il caso dell’energia atomica, vista come mero strumento di potenza militare, ma ogni volta copiata od addirittura acquistata da fonti occidentali (francesi, ex-sovietiche, eccetera). Ogni volta che un islamico apre una bottiglia di plastica contenente acqua minerale si chiede quanta strada dovrebbe fare per riuscire a fabbricarla od addirittura ad ideare il know-how di fabbricazione del polimero di cui la bottiglia è fatta. Dal punto di vista antropologico gli islamici sono regrediti al livello dei cacciatori-raccoglitori: non hanno un’attività inventiva e produttiva industriale propria, ma semplicemente utilizzano quanto il mondo moderno offre di già pronto o, al massimo, si limitano a copiare i nostri risultati. Pur cercando ed utilizzando i nostri prodotti, rifiutano la cultura che li ha generati, e pertanto rifiutano la nostra organizzazione sociale, la nostra libertà di pensiero e di azione. Sfruttano i nostri ritrovati, ma temendo il confronto con la cultura che li ha prodotti cercano di impedire il contatto ed il confronto dei propri concittadini con essa. Si illudono di negare e possibilmente distruggere una cultura che non riescono a padroneggiare. E tutto ciò non per inettitudine mentale, ma per l’errore culturale di base, di non ritenere il sapere come un valore primario ed autonomo rispetto alla religione.

I valori culturali. Le cause di tutto ciò derivano dai valori culturali di base, che hanno spinto gli Occidentali ad attribuire alla scienza un valore sociale e morale primario (Mernissi, 2002) cui dedicarsi con spirito laicamente galileiano, senza limitazioni religiose. Per un credente islamico invece vale ancora il precetto della Scolastica medioevale «philosophia ancilla theologiae» (Lewis, 2002), mentre per un Occidentale contemporaneo la scienza già nasce affrancata da subordinazioni religiose, e tale resta. Ossia, per dirla in parole semplici, nel processo a Galilei un islamico starebbe dalla parte dell’Inquisizione e non di Galilei. Ma gli Occidentali dal Rinascimento ad oggi sono divenuti laici e secolarizzati, avendo acquisito il valore autonomo del sapere anche al di fuori della religione, pur conservando i valori morali del Cristianesimo anche nei casi di ateismo ed agnosticismo. A ciò si sono aggiunti, come valori della vita civile occidentale, la parità giuridica tra i sessi, la separazione tra Stato e Chiesa e la preminenza del valore dell’individuo rispetto al clan ed al gruppo di potere.

La condizione di subalternità della donna nella società islamica, pur analogamente presente nella Cristianità del passato, non solo appare oggi ripugnante ad un Occidentale, ma ciò che più conta, influisce negativamente nella formazione dei figli di ambedue i sessi, i quali ricevono la prima impronta educativa da una madre che magari inconsciamente ma inevitabilmente ne trasmette ai figli le stimmate di fatalismo, soggezione, ratifica della prepotenza e svilimento del valore dell’individuo.

La separazione tra Stato e Chiesa, pur tradita per lunghi periodi di tempo dagli Occidentali, tuttavia è affermata nel Vangelo stesso («rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», Matteo 22, 21), concetto questo addirittura negato nell’Islam, permeato dall’integrale identificazione tra autorità religiosa e potere civile. La pressante pretesa di applicare alla vita civile il diritto canonico, addirittura anche ai credenti di fedi diverse, apparirebbe, anche al più zelante degli odierni Cristiani, un’ipotesi semplicemente improponibile, mentre l’applicazione integrale della legge coranica è ritenuta dagli islamici come un atto dovuto anche in forme estreme come in Afghanistan, Sudan, Iran, Arabia Saudita. Nell’Islam (Lewis, 2002) «non c’è distinzione tra legge canonica e legge civile… c’è un’unica legge, la sharia». E permane «l’assenza di un laicismo originario nell’Islam ed il rifiuto di un laicismo venuto da fuori…», ed addirittura l’assenza in molte lingue di Paesi islamici di un termine indigeno per designare il concetto di laicismo, o di un termine importato privo di connotazioni negative. Vale qui la pena di ricordare che il successo del laicismo in Turchia dipende dalla natura empirista dei Turchi, molto più refrattari di Arabi e Persiani alla illusoria seduzione delle ideologie e del radicalismo religioso, talché la religione ha generato, nei vari Paesi Arabi ed in Iran, politici fanatici come i vari Fratelli musulmani, khomeinisti, FIS, Talebani, al-Quaeda, eccetera, mentre in Turchia, già laicizzata dalla rivoluzione culturale kemalista, la religione ha prodotto un partito islamico ed un leader, il premier Recep Erdogan, che «…ha realizzato più riforme civili di quante ne avessero realizzato i governi precedenti…» non islamici (Sergio Romano, «Corriere della Sera», 4/9/2005, pagina 37).

La valorizzazione dell’individuo in Occidente è il risultato della somma delle rivoluzioni culturali di Rinascimento, Illuminismo e Liberismo, contro il prepotere delle Chiese sulla cultura e sul sapere, contro le corporazioni medioevali, contro l’assolutismo monarchico, contro i monopoli tecnici, commerciali e culturali, contro tutte quelle forze che si erano costituite il diritto di decidere che cosa l’individuo potesse e dovesse pensare e fare nel pubblico e nel privato. Non esiste nella storia dell’Islam alcunché di paragonabile od analogo a queste rivoluzioni culturali e sociali.

La politica islamica. Una frustrante sensazione di fallimento senza cause comprese determina negli islamici domande angosciose, da cui consegue, nei più integralisti, la ricerca di soluzioni estreme. Tale attitudine è ulteriormente incrementata dal fatto che tutti i Paesi islamici già colonie o protettorati di Stati occidentali hanno da decenni conquistato l’indipendenza, senza però riuscire a darsi una democrazia ma generalmente precipitando in balia di governi nazionali autoritari, oligarchici, spesso corrotti e violenti con i propri concittadini, il cui principale impiego delle risorse nazionali è l’acquisto di armi, senza poter più imputare le proprie sfortune al dominatore coloniale. Alla luce di tutto ciò è facile comprendere la diffusione dell’attitudine al suicidio negli integralisti islamici: essa è la fase estrema di un’involuzione culturale, derivante dalla perdita della coscienza di sé e dalla mancanza di qualunque speranza di recupero del futuro proprio e dei propri discendenti, e diviene una disperata ammissione di fallimento («…sono ossessionati dalla dignità: come corpi nudi in una società di persone vestite, cercano freneticamente qualcosa con cui coprirsi. Il martirio è la migliore protezione che possono raggiungere…», Napoleoni, 2004).

A ciò si aggiunge un problema biologico: l’incremento della popolazione, scarso in Occidente, altissimo e con conseguenze esplosive nei Paesi islamici. Questa differenza è dovuta al controllo delle nascite in Occidente (accettato e praticato anche in Cina ed India), che compensa l’avvenuto abbattimento della mortalità infantile ed adulta, mentre nei Paesi islamici l’abbattimento della mortalità, ottenuto grazie all’igiene ed alla farmacologia importati integralmente dall’Occidente, non viene compensato dal controllo delle nascite, ritenuto una perversione morale dei corrotti Occidentali.

Nonostante in Occidente si faccia un gran parlare di «musulmani moderati» non si osserva nel mondo islamico una ripulsa socialmente condivisa della violenza, dell’estremismo, del radicalismo religioso e politico. L’Algeria è stata salvata dalle grinfie del radicalismo religioso del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) grazie al laicismo dell’esercito, non certo da una maggioranza politica nell’opinione pubblica. In Marocco, Egitto, Tunisia e Libia la «democrazia» in realtà è una sorta di dispotismo illuminato di élite, che non può nemmeno per un momento allentare il controllo sugli estremisti religiosi, pronti a travolgere il governo dei moderati. Ytzhak Rabin non ebbe paura di farsi uccidere pur di affermare la politica del compromesso con i Palestinesi, mente il loro leader Arafat non trovò di meglio che offrire il proprio riconoscimento a Saddam Hussein, ed offrire sponda politica ai terroristi palestinesi e non. Ripetutamente Arafat si è trovato vicino ai suoi fini politici, senza essere mai capace di transitare dal terrorismo alla trattativa diplomatica disattivando la propria ala oltranzista, sempre contraria al compromesso per timore di perdere il suo ruolo egemone. L’inevitabile sviluppo di questa incapacità è stata la perdita del controllo dell’uso della violenza, che da strumento politico si è trasformato in fine auto-perpetuante, indefinitamente gettando i Palestinesi nella spirale della violenza fine a se stessa. Nonostante la fine di Arafat, i Palestinesi non sono usciti da questa istituzionalizzazione del terrorismo, come mostrano le elezioni vinte da Hamas. Si faccia il confronto, ad esempio, con i ribelli irlandesi e baschi, i quali sono infine riusciti ad evitare di essere inghiottiti da questo medesimo vortice.

Quando le milizie di Milosevic stupravano e massacravano i musulmani bosniaci e kosovari, noi Occidentali ci siamo emendati da noi stessi, rimuovendo quel governo con la forza: non si vede qualcosa di simile nel mondo islamico. Parimenti la Sinistra moderata italiana, di fronte alle BR si emendò da se stessa, e Guido Rossa, sostenuto dal suo partito, non ebbe paura di farsi uccidere per denunziare chi attentava alla democrazia: per contro un terrorista islamico denunciato dai suoi correligionari è un evento unico più che raro (Andreoli, 2005).

In conclusione il mondo politico islamico non è riuscito ad esprimere una condanna del terrorismo, anzi nemmeno una definizione di terrorismo, in alcuna delle sue sedi nazionali od internazionali, a cominciare dalla Lega Araba.

La religione. È importante notare, senza moralismi, che l’espansione dell’Islam fin dall’origine si è svolta esclusivamente al seguito di campagne militari di conquista o per imposizione da parte di sovrani convertiti. Ciò è accaduto anche ad altre religioni (al Cristianesimo, ad esempio, nelle Americhe) ma nell’Islam non è avvenuta una diffusione per pacifico proselitismo come, almeno in parte, per il Buddismo, per il Cristianesimo e per il Confucianesimo. Il Cristo rese testimonianza di mansuetudine porgendo l’altra guancia, riattaccando l’orecchio mozzato da Simon Pietro a Malco, mandato ad arrestarlo, ed infine facendo sacrificio di se stesso: l’esatto contrario di Maometto, dedito all’uso della forza militare fin dal suo ritorno, armi in mano, da Medina a La Mecca. Dobbiamo ammettere che l’uso della forza è integrato nella storia dell’Islam fin dalle sue origini. L’aggressività islamica originariamente derivava dal credo nella verità assoluta della propria religione cui conseguiva l’obbligo del proselitismo universale, anche con le armi. Tale credo è identicamente presente anche nel Cristianesimo: Crociata e jihad sono concettualmente identiche, e conversioni forzate al Cristianesimo, come quella di Edgardo Mortara [un Ebreo dello Stato Pontificio, nota del redattore], pur rare sono tuttavia avvenute anche in tempi moderni. L’intolleranza ed il fanatismo di un Domenicano del 1400, cacciatore di streghe ed eretici, è identica a quella di un wahabita odierno. Ma lo spirito delle Crociate si è sopito anche nei credenti più zelanti, la Chiesa Cattolica non ha fatto obiezioni alla costruzione di una moschea a Roma, e Giovanni Paolo II ha chiesto scusa ai non-Cattolici per le sofferenze ad essi inflitte nel passato dai Cristiani, mentre gli islamici non hanno mai chiesto scusa ad alcuno per aver annientato tutte le comunità cristiane del Medio Oriente e del Nord Africa dopo la conquista di questi territori. Che cosa succederebbe se venisse proposta la costruzione di una chiesa cristiana alla Mecca? Magdi Allam sostiene che l’Umma (la comunità dei credenti, la Nazione dell’Islam) non rappresenta un elemento qualificante della identità collettiva degli islamici, ma solamente una amplificazione astratta della visione che gli Occidentali hanno della religione in generale e della propria in particolare, e che arbitrariamente trasferiscono all’Islam. Allam sostiene altresì che sbagliano gli Occidentali a ritenere che gli islamici ignorino e rifiutino la separazione tra Stato e Chiesa. In contrasto con l’affermazione di Allam è il fatto che fin dalla sua origine, l’Islam è nato come Stato teocratico, fondato su di una rivelazione ed un codice divino. Ed in tempi moderni, in Iran il regime teocratico sciita si è affermato e consolidato per un consenso vasto e reale tra la popolazione, come pure in Algeria il movimento religioso integralista sunnita (il Fronte Islamico di Salvezza) ha conquistato la maggioranza in democratiche elezioni. Insomma non si vede se e dove i movimenti integralisti islamici pongano il confine tra politica e religione. Inoltre è da notare che mentre gli islamici vengono così denominati sia da se stessi che dagli Occidentali, gli Occidentali vengono denominati Cristiani e Crociati dagli islamici ma Occidentali (senza connotazioni religiose) da se stessi, per cui gli islamici chiedono alla propria religione un supporto identitario che invece gli Occidentali non chiedono. Come il clero cristiano, quello islamico non si è fatto sfuggire l’occasione di riprendere un preminente ruolo politico e sociale nell’ultimo quarto del ’900, alimentando strumentalmente il fuoco del mai sopito integralismo religioso dopo l’eclissi determinata dalla laicizzazione, dall’ateismo marxista e dall’agnosticismo edonista. Infine non bisogna dimenticare che l’integralismo religioso riesplode con ciclica routine nel mondo islamico, come già in passato con i vari Mahdi (X, XII, XIX secolo).

Bisogna pertanto concludere che anche se la religione non è il motore primo dello scontro tra Islam ed Occidente, ne è comunque una fondamentale componente che tuttavia maschera la vera causa, consistente in uno scontro di interessi e di civiltà a scopo di mera conquista e predominio (Cooley, 2000; Huntington, 2000).


L’Islam e la Sinistra italiana

La «resistenza» islamica. In molti documenti della Sinistra massimalista italiana e straniera, ed in qualche caso anche della Sinistra moderata, viene attualmente attribuito il nome di «resistenza» ai ribelli di qualunque origine e fazione (nazionalisti, integralisti religiosi, rivoluzionari sociali, loro ibridi), e con tale ecumenica etichetta vengono legittimate tutte le azioni che essi compiono, senza alcuna distinzione rispetto ai mezzi impiegati ed ai fini proposti. A questa operazione ha prestato sostegno politico anche il vertice della magistratura italiana, aggrappandosi al formalismo giuridico di una legge dichiarata «poco chiara» (Virginio Rognoni, «Corriere della Sera» del 27/01/05) per rimettere in libertà degli imputati arrestati come terroristi, forse ritenendoli socialmente deboli e quindi da proteggere. Tale preconcetto nel passato ha prodotto nell’opinione pubblica italiana un atteggiamento di accettazione riguardo al terrorismo in generale ed islamico in particolare, fortunatamente in corso di spontanea revisione (domanda numero otto, ISPO, 2004). Tuttavia è opportuno che noi Italiani siamo consapevoli che la piaga dell’acquiescenza, della condiscendenza e del sostegno morale agli islamici estremisti ed addirittura terroristi, subdolamente e dolosamente mascherata da «politically correct», è diffusa all’estero più e peggio che in Italia, come dimostrato dalla difficoltà della BBC di designare con la parola terroristi gli stragisti del 7 luglio a Londra. In modo sincrono la Corte costituzionale tedesca ha respinto la legge di applicazione del mandato di arresto europeo, pur essendo questa «…il solo strumento giuridico e di coordinamento, su base europea, nella lotta al terrorismo…» (P. Ostellino, «Corriere della Sera», 22/07/05).

Per comprendere quanto sia aberrante un ecumenico ed indiscriminato riconoscimento del titolo di «resistenza» al terrorismo islamico, è opportuno fare dei confronti con la resistenza antinazista ed antifascista europea. Per numerose testimonianze, la resistenza italiana, francese, norvegese, cecoslovacca e di altri Paesi si coordinò con molta efficacia con gli eserciti alleati. In Iraq invece gli eserciti che hanno abbattuto una sanguinaria dittatura sono stati oggetto di pesantissimi attacchi da parte di sciiti e bahatisti sunniti. Sarebbe come se in Italia i partigiani cattolici, come Emilio Taviani od Enrico Mattei, invece di unirsi ai partigiani marxisti e liberali, si fossero uniti ai fascisti per combattere gli Angloamericani, adducendo che questi ultimi erano un occupante straniero invasore, mentre la resistenza ed il fascismo erano ambedue genuine e quindi legittime espressioni nazionali e popolari.

Una delle accuse che viene quotidianamente rivolta agli alleati in Iraq è di fare vittime civili nelle loro azioni militari. Si rammenti che mai nessuno, se non i nazifascisti, ha mai rinfacciato agli Angloamericani di aver fatto vittime civili (e ne fecero tante) bombardando o cannoneggiando i nazifascisti. Di fatto, in Italia gli Angloamericani vennero accolti come liberatori dalla popolazione, e non come occupanti aggressori, e mentre la nostra popolazione non offrì alcun volontario supporto, nemmeno di passiva omertà, ai nazifascisti, l’esatto contrario avviene oggi in tutto il mondo tra popolazione islamica e terroristi.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale gli oriundi italiani, giapponesi e tedeschi in USA ad assai grande maggioranza diedero la propria lealtà alla nuova patria di adozione, od al massimo chiesero di essere rimpatriati. Si faccia a tal proposito un confronto con il comportamento dei tanti immigrati islamici in Occidente, tra i quali vi è stata non solo costante omertà verso i correligionari terroristi (Dambruoso, 2004), ma spesso attività terroristica contro il Paese (UK, Olanda, Francia) di cui avevano chiesto di essere ospiti od addirittura cittadini.

Se poi guardiamo ai fini, ci dobbiamo chiedere per quale fine combattano i ribelli iracheni od afghani, rammentando che i menzionati Mattei e Taviani non combatterono per instaurare uno Stato teocratico pontificio in Italia, o per sostituire il codice civile con il codice di diritto canonico ed applicarlo coercitivamente anche ai non Cristiani ed ai non credenti. Francamente non si capisce quale difficoltà trovi una certa Sinistra ad individuare nei ribelli islamici i gemelli dei briganti sanfedisti del Cardinale Ruffo e nei ribelli ex-bahathisti gli omologhi dei militanti nella RSI. Si rendono conto gli Europei del torto che fanno alla propria resistenza contro nazisti e fascisti equiparando ad essa i terroristi islamici che mandano al suicidio bambini di dieci anni imbottiti di esplosivo?

La strumentalizzazione politica nostrana. In conclusione l’unico fattore di legittimazione dei ribelli iracheni od afghani che resta alla Sinistra massimalista è l’antiamericanismo, o se vogliamo l’antimperialismo, adducendo che è per il petrolio e non per la libertà degli Iracheni o degli Afghani che gli alleati hanno invaso quei Paesi. Ma questa storia della guerra fatta per liberare popolazioni soggette, è una storia ad uso di Peter Pan. Sovietici, Statunitensi, Inglesi, Francesi ed alleati vari fecero guerra ad Hitler, Tojo e Mussolini non certo per liberare gli incauti Tedeschi, Giapponesi ed Italiani che li avevano lasciati salire al potere, ma per bloccare l’espansionismo imperialistico di questi dittatori, altrimenti incontenibile. E benché sia doloroso ammetterlo, la democrazia è stata imposta dalle armi straniere a Giapponesi, Tedeschi e sostanzialmente anche Italiani, dopo che essi avevano plebiscitariamente (anche in Italia) dato sostegno a governi nazionali criminali. In Italia le azioni di resistenza iniziarono solo dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 (dopo l’occupazione angloamericana della Sicilia), e per reazione alle brutalità dell’occupante nazista piuttosto che per antifascismo.

Tuttavia ammettiamo pure che l’ipotesi della guerra per il petrolio sia vera, ossia che un bel giorno qualcuno al Dipartimento di Stato USA si sia convinto che il petrolio saudita era perso perché ormai in balia di quaedisti e wahabiti, e pertanto bisognava sostituirlo con quello iracheno. Ma la crescente richiesta di petrolio viene dal mercato, ed il mercato siamo noi, i quali sotto la tambureggiante propaganda di ecologisti dilettanti, abbiamo rifiutato di sviluppare l’elettricità dall’atomo e, nascondendo la testa sotto la sabbia, pur di non diminuire i nostri consumi energetici non ci vergogniamo di comprarla da chi la produce dall’atomo sull’uscio di casa nostra.

Prodi «tra le cause (del terrorismo) non mette al primo posto la mancanza di democrazia ma la povertà e gli errori dell’arroganza americana» («Il Riformista», 21/02/05). Ma esiste un problema che i nostri islamofili non si pongono: Paesi come l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Iraq, l’Algeria, la Libia, sono detentori di una ricchezza grandissima ed hanno conquistato l’indipendenza politica ormai da decenni. Eppure dal punto di vista sociale questi Paesi sono al livello del nostro Medioevo, o delle nostre Signorie nei casi migliori, essendovi regrediti dopo la fine del dominio coloniale, ed essendosi dati dei governi autoritari, spesso corrotti e violenti con i propri concittadini. Questo non dipende dalle Sette Sorelle, dato che lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi è ormai da tempo in mano ad enti nazionali, e gli Occidentali pagano profumatamente il petrolio a prezzi OPEC, ma è un fatto intrinseco a quelle società ed a quelle culture. La manovalanza del terrorismo e dell’integralismo è in parte raccolta anche tra i diseredati, ma soprattutto tra i borghesi spostati e disadattati socialmente, ed addirittura tutti i quadri ed i finanziatori appartengono alla borghesia od all’élite culturale, sociale, religiosa e laica, con il caso emblematico di Bin Laden. Quindi il terrorismo religioso e politico è un’espressione sociale genuina ed intrinseca di quei Paesi, per i quali vale tuttora quello che si diceva un tempo: da essi non si sa se gli ambasciatori torneranno o no.

Quanto all’arroganza americana, sarà pur vera, ma bisogna rammentare che i Paesi Islamici ex-colonie o protettorati (dall’Arabia Saudita all’Algeria) hanno conquistato l’indipendenza dalle potenze colonialiste con il benevolo e compiaciuto placet degli Stati Uniti, e che UK e Francia, quando cercarono di riprendersi il Canale di Suez «manu militari» dopo la nazionalizzazione fatta da Nasser nel 1956, lo dovettero mollare per ordine degli USA. Inoltre gli USA, pur con tutta l’influenza che hanno avuto sugli affari interni dell’Arabia Saudita dal 1938 (scoperta del petrolio in Arabia Saudita) ad oggi, non hanno mai «arrogantemente» interferito sul mantenimento della legislazione coranica in quel Paese, talché tuttora la legge saudita prevede il taglio delle mani per i ladri e la lapidazione per le adultere. La verità è l’esatto contrario di quanto dice Prodi: è la democrazia che determina una più equa distribuzione della ricchezza e conseguentemente una maggior pace sociale, la quale previene il terrorismo. Dove la democrazia manca, comandano ed arricchiscono solo i satrapi e gli oligarchi ed alla popolazione non resta altra espressione che la rivolta ed il terrorismo. Imputare tutte le colpe alla povertà ed all’arroganza americana è un tradizionale ma mendace alibi demagogico della Sinistra buonista e piagnona.

Un altro luogo comune della Sinistra radicale è l’equiparazione Saddam/Bush (perfezionando l’assunto di Khomeini sugli USA come Grane Satana), con il connesso dilemma se i neocons USA costituiscano o no un male minore rispetto agli integralisti islamici.

In merito si consideri che basta vincere una votazione per mandare Bush a casa, mentre ci sono voluti i carri armati sull’uscio del mausoleo di Alì per convincere al-Sadr e Sistani. Ma soprattutto si consideri che i ribelli iracheni, tutti, vogliono impedire una votazione o farla avvenire sotto il controllo delle proprie armi, ed allo scopo hanno massacrato ed annientato la delegazione dell’ONU. L’11 settembre non sono stati gli USA ad andare in Afghanistan e Iraq, ma sono stati gli islamici ad andare in USA per gli scopi che sappiamo. I soldati USA, pur responsabili di episodi di aberrazione militare, non uccidono per deliberata scelta strategica gli spettatori di un teatro, i turisti, i bambini di una scuola elementare, non scannano i cuochi, gli uomini delle pulizie, le persone caritatevoli, né, di norma, lo fecero i partigiani italiani, anche se essi pure ebbero bisogno dell’amnistia di Togliatti. Baldoni è stato ucciso non per ciò che faceva, ma per ciò che era: un Occidentale ed un moderato, e penosamente grottesca e strumentale è apparsa l’accusa di spionaggio a Porretta e Pari. Di che altro c’è bisogno per capire che l’integralismo islamico è il nuovo nazismo, che come il precedente ripete il suo «Gott mit Uns» ad ogni omicidio che compie? Felice Orsini, Gavrilo Princip, Gaetano Bresci hanno eseguito mortali attentati, ma hanno scelto bersagli istituzionali e se anche civili innocenti hanno perso la vita per le loro azioni ciò è stato un fatto qualitativamente incidentale e quantitativamente marginale. Il terrorismo che sceglie programmaticamente se non esclusivamente vittime inermi nell’intento di terrorizzare e manipolare l’opinione pubblica è piuttosto esemplificato dalle cannonate di Bava Beccaris, dalle V2 su Londra, dal bombardamento di Dresda, ed appunto dal terrorismo islamico.

La falsa integrazione. Dobbiamo serenamente dichiarare il fallimento dell’integrazione degli islamici nella società occidentale. In UK e nei Paesi Bassi, dove il multiculturalismo ha incubato i reati terroristici compiuti da islamici divenuti cittadini del Paese ospitante, od ivi addirittura nati. In Francia, tradizionale luogo di villeggiatura per terroristi di varie nazionalità e dove i medesimi «nuotano come un pesce nell’acqua», l’assimilazione è fallita e gli islamici non hanno alcuna lealtà verso le istituzioni, come si è visto nella serie di attentati del 1995-1996, nei più recenti tentativi sventati (Alberto Toscano, «Il Giornale» del 28 settembre 2005, pagina 11) e negli abnormi disordini del novembre 2005. Parimenti in Germania ed in Italia (D’Ambruoso, 2004; Andreoli, 2005), usate come base logistica per attività terroristiche internazionali, ed in Australia, con la recente scoperta (novembre 2005) di un attentato sul punto di essere compiuto. Non esiste un Paese occidentale che si possa sentire sicuro della fedeltà alle istituzioni della comunità islamica in esso stanziata («Il Riformista», 26/07/05, pagina 3).

Ciò che viene chiamato «politica dell’accoglienza» in realtà è stata la politica dell’acquiescenza. Con piena ragione Magdi Allam («Corriere della Sera» del 23/9/2005, pagina 50) ripete che i governi occidentali hanno regalato le moschee ed i centri culturali islamici in Occidente ai predicatori dell’odio maestri ed organizzatori del terrorismo. E Khaled Fouad Allam («La Repubblica», 20 settembre 2005) ribadisce che le scuole islamiche sono una «…prigione psicologica per quei ragazzi…» che le frequentano, i quali vivono «…una identità completamente chiusa al mondo esterno…». Un multiculturalismo ipocrita e miope ha prodotto il peggio, favorendo i peggiori estremisti, poiché gli Occidentali si sono rifiutati di assumere la responsabilità di scegliere chi accettare e chi respingere (Emanuele Boffi, «Il Giornale», 29 settembre 2005). Tale tentativo non merita il nome di integrazione, in quanto si è trattato di una mera giustapposizione, in cui la cultura più ricca ha sovvenzionato la frazione estremista della più povera purché questa non creasse problemi nel territorio nazionale ospitante. Come poteva reggere questa infantile illusione se le due culture non venivano cementate da una base ideale comune? Dobbiamo ricordare che storicamente le integrazioni riuscite sono state solamente quelle in cui ciascuna cultura ha dato qualcosa del proprio e preso qualcosa dell’altro. Ci dobbiamo quindi chiedere: quali valori dell’odierno Islam possiamo noi desiderare essendone privi? E viceversa, che cosa della nostra cultura e dei nostri valori (non dei nostri manufatti!) hanno mostrato di desiderare gli islamici?


Conclusioni

Riteniamo che la decadenza dell’Islam derivi dalle sinergie di tutti i fattori precedentemente enunciati, senza che valga la pena di definire quale pesi di più o di meno. Da questo quadro risulta un mondo con poca speranza di pace per la prossima generazione. Ma ciò che più preoccupa è che non appare chiara e determinata la volontà di sopravvivere dell’Occidente, presuntuosamente sicuro della propria superiorità tecnologica e culturale ed indebolito da vaste correnti di autolesionismo e di buonismo rinunciatario ed ipocrita. Speriamo che sotto la pressione dell’aggressività islamica, l’Occidente, soprattutto quello europeo, risvegli le sue forze vitali e comprenda che per sopravvivere è indispensabile ed urgente prevalere sugli islamici integralisti, se necessario con la forza. C’è tuttavia un problema che non possiamo eludere: quella speranza di riscattare il proprio futuro che gli islamici non hanno, dobbiamo tentare di dargliela noi Occidentali, credenti e/o non credenti. A più lunga scadenza dobbiamo riuscire a coinvolgere gli islamici non estremisti in progetti da realizzare insieme, facendo loro sentire che i loro problemi, noi li consideriamo parimenti nostri. Un esempio di questo coinvolgimento è dato dalla possibilità di votare che è stata regalata agli Iracheni dagli eserciti di occupazione, al prezzo delle vite di tanti soldati e civili occidentali, rammentando che la stessa possibilità è stata identicamente regalata anche a noi Italiani dalla sconfitta inflitta dagli Angloamericani alla dittatura nazifascista cui ci eravamo dati in balia. E rammentando che gli Angloamericani sarebbero venuti a capo dei nazifascisti anche senza partigiani (come avvenuto in Giappone e Germania), mentre senza Angloamericani noi saremmo ancora oggi sotto un governo nazifascista. Un altro esempio è dato dalle pressioni sulla Siria per sloggiarla dal Libano, bonificare il Libano dai terroristi e restituire l’indipendenza ai Libanesi. Se non riusciremo in questi tentativi di solidarietà e di reciproco riconoscimento umano, potremo anche riuscire a reprimere con la forza materiale l’aggressività nei nostri confronti, ma solo momentaneamente. Tuttavia per il momento deve essere spiegato agli Italiani, senza bellicismi propagandistici, che il 60% delle riserve petrolifere mondiali si trova in aree islamiche, che l’accessibilità a queste riserve significa la sopravvivenza per le prossime generazioni, che l’accessibilità può implicare anche l’occupazione territoriale con la fanteria. Sulla base di tali premesse ciascuno dovrà poi decidere se garantirsi l’accessibilità a quel 60% o se delegarla agli islamici khomeinisti e quaedisti, sperando nel loro buon volere e nella loro leale disponibilità al commercio. Enrico Mattei giustamente pretendeva che al suo Paese fosse consentito di accedere alle risorse petrolifere senza pagare il pedaggio alle Sette Sorelle, ed in questa battaglia perse la vita. Ma se oggi noi abbiamo la stessa pretesa senza pagare il pedaggio alle teocrazie islamiche, bisogna che partecipiamo allo sforzo militare per eliminare il fanatismo religioso dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale, ove si trova quel 60%. Oppure pretendiamo di riempire il nostro secchiello di petrolio mentre i costi militari (in vite umane e risorse finanziarie) per mantenere libero questo accesso sono a carico di altri?

Quanto ai politici nostrani, per un Europeo si impongono delle domande: quale sostegno hanno dato le nostre Sinistre agli Iracheni per portarli all’autodeterminazione ed alla democrazia? Quale sostegno hanno dato le nostre Sinistre ai Palestinesi per liberarli della miope banda di terroristi e profittatori che li ha governati sotto la direzione di Arafat? Quale apporto hanno dato le nostre Sinistre per fronteggiare l’attacco internazionale del terrorismo religioso integralista? Ed in particolare: la strategia della Sinistra italiana è la diffusione della democrazia oppure uno strumentale antiamericanismo o addirittura soltanto l’antiberlusconismo? Per quale motivo le Sinistre (Prodi in testa quando era presidente della Commissione UE) non hanno mai obiettato nulla all’uso di fondi regalati dall’Unione Europea alle scuole palestinesi per allestire libri di testo, i quali in realtà inneggiavano all’annientamento di Israele? Quale miopia ha indotto i governi europei ad essere i maggiori benefattori dei Palestinesi (cinquecento miliardi di euro all’anno dal 2003) i quali hanno deciso di procedere verso la loro democrazia dando la maggioranza elettorale ai terroristi di Hamas (Adriana Cerretelli, «Corriere della Sera», 28 gennaio 2006)? Perché la Sinistra si è distinta in un costante accreditamento dei peggiori tra gli islamici (Rodolfo Casadei, «Il Giornale», 29 settembre 2005)? Gli odierni Algerini del Fronte Islamico di Salvezza (salvezza da che cosa?) desiderano soltanto instaurare la legge coranica come codice civile e penale, ossia desiderano far regredire i propri concittadini alla cultura giuridica di un cammelliere medioevale. Anche se il FIS ha democraticamente conquistato la maggioranza elettorale, per un Occidentale figlio dell’Illuminismo e del socialismo dovrebbe essere arduo accettare un militante del FIS come compagno di strada, dato che la cultura dell’attuale integralismo sharaitico in tutto il mondo islamico pretende da credenti e miscredenti una adesione cieca pena il massacro.

Dobbiamo smettere di nascondere a noi stessi l’essenza di scontro di civiltà oltre che di interessi insito nel nostro attuale rapporto con l’Islam, anche con l’Islam moderato. La reciproca indipendenza ed autonomia dei valori laici e di quelli religiosi è un problema di culture e di civiltà, ed è un problema che, a differenza dell’Islam, l’Occidente ha affrontato al proprio interno (ossia nell’area di diffusione del Cristianesimo) attraverso Rinascimento, Illuminismo e Liberismo, ed ancora non ha finito di risolverlo. Il risultato attuale è la cultura laica e liberale nella quale viviamo, risultato costato infiniti lutti e soprusi, dal rogo di Bruno al processo a Galilei, alle guerre di religione ed alle stragi della Vandea. Oggi lo scontro tra i medesimi valori si svolge sia pure ancora in piccola parte già all’interno dell’Islam, ed ancor di più tra gli islamici e noi. In futuro è auspicabile che un numero crescente di islamici si chieda se sia giusto fare dei figli per mandarli al suicidio nell’interesse di capi religiosi che di proprio non si espongono mai. Se la risposta sarà che non è giusto, allora lo scontro tra culture si attenuerà e resterà in piedi solo lo scontro di interessi materiali, forse più facile da conciliare. Per parte loro gli islamici devono provvedere da se stessi ad eliminare i loro estremisti dalle loro comunità riprendendosi il proprio destino, attualmente in balia di fanatici in tutto simili ad Adolf Hitler. Gli islamici non integralisti devono comprendere che se non provvederanno da se stessi, inevitabilmente provvederà la comunità internazionale, la quale lo farà molto più grossolanamente e senza riconoscere loro la capacità di emendarsi da se stessi.


Bibliografia

Magdi Allam, Kamikaze made in Europe, Oscar Mondadori, 2004

Marcella Andreoli, Il telefonista di Al-Quaida, Baldini Castaldi Dalai, 2005

John K. Cooley, Una guerra empia, Elèuthera, 2000

Stefano Dambruoso e Guido Olimpio, Milano-Bagdad, Mondadori, 2004

Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà, Garzanti, 2000

ISPO, Gli elettori del Centrosinistra e la politica internazionale, http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/home.html, 2004

Bernard Lewis, Il suicidio dell’Islam, Mondadori, 2002

Fatima Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, 2002

Loretta Napoleoni, La nuova economia del terrorismo, Tropea, 2004

Agostino Spataro, Il fondamentalismo islamico, Editori Riuniti, 2001.

(anno 2006)

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