La menzogna dell’apartheid
Quanto la variazione demografica influisca sulla vita di una civiltà e della sua cultura; l’apartheid fu un sistema impraticabile e inattuabile per mantenere pochi al governo su molti

Avvertenza: nell’articolo quando si parla di Boeri e Afrikaner non si intende rappresentare l’intera comunità dei Bianchi; questi erano i primi coloni prevalentemente olandesi emigrati in Sudafrica a partire dal Cinquecento. Quando si parla di Bianchi, ad essi si intendono aggiunti i successivi immigrati inglesi che non si fusero con i precedenti.

Una delle ironie più amare relative al Sudafrica è che la politica dell’apartheid – a cui per decenni si aggrapparono tanti Afrikaner (bianchi di lingua afrikaans) come loro unica speranza e salvezza da una dominazione terzomondista – in realtà era un sistema impraticabile e inattuabile che li ha cancellati come forza politica in quel Paese.

I politici – il National Party (NP) – fautori dell’apartheid sono stati i più grandi criminali in questa tragedia, propagandando una speranza illusoria agli Afrikaner, e poi, quando l’inevitabile arrivò, si arresero e cambiarono strada, abbandonando i loro seguaci al dominio dell’African National Congress (ANC), nello stesso modo cinico con cui prima avevano loro mentito.

L’apartheid – in realtà segregazione sociale forzata – non era altro che un’illusione, una contorta distorsione della realtà demografica del Sudafrica, per non dire, in un’ultima analisi, che fosse anche moralmente ripugnante. I politici conservatori bianchi del Sudafrica non hanno mai capito che la forza principale del potere politico è, letteralmente, l’occupazione fisica. Il potere politico viene dall’occupazione fisica: non dai diritti storici, non dal titolo alla proprietà, non dai soli diritti morali all’occupazione. Le persone che occupano un territorio determinano la natura della società in quella regione.

Due esempi, conosciuti da tutti, illustrano bene questo punto.

Esempio 1: America del Nord. In questo continente, gli Indiani d’America (Amerindi) avevano vissuto per migliaia di anni, creando una cultura che dominò tale continente. La cultura del Nord America rifletteva il fatto che gli Amerindi ci vivevano ed erano la maggioranza della popolazione.

Dopo il 1500, tuttavia, il continente si riempì di immigrati bianchi provenienti dall’Europa. Questi bianchi immigrati espropriarono gli Amerindi e presero possesso del Nord America. La cultura degli Amerindi era stata dominante per migliaia di anni, perché questi erano la maggioranza della popolazione. In un centinaio di anni le cose sono cambiate. Questo dipende dal fatto che la maggioranza degli abitanti del Nord America era diventata di bianchi europei. La civiltà amerinda «cadde» perché la popolazione del Nord America era cambiata.

Questo effetto – lo spostamento dei popoli e la conseguente scomparsa della loro civiltà – ha dirette implicazioni dal punto di vista razziale. L’ascesa e la caduta di una particolare civiltà può quindi essere tracciata, non dalla presenza della sua economia, della sua politica, della sua morale, eccetera, ma piuttosto dalla presenza razziale effettiva del popolo stesso.

Se la società che ha prodotto una particolare civiltà rimane intatta come unità razziale omogenea, allora tale civiltà rimane attiva. Se, invece, la società su una particolare area cambia la sua composizione razziale – attraverso invasioni, immigrazioni, o qualsiasi declino nel numero – allora la civiltà che tale società ha prodotto sparirà con essa, e sarà rimpiazzata da una nuova civiltà che rifletterà i nuovi abitanti di quel territorio.

Esempio 2: Israele (con riferimento allo Stato Ebraico nella regione della Palestina). Lo Stato di Israele è oggi una realtà politica, non perché la Bibbia sostenga che tale terra appartiene agli Ebrei, ma perché il movimento sionista ha fatto in modo che gli Ebrei siano una maggioranza su tale territorio. Questo attraverso una deliberata politica di insediamento e immigrazione, coordinata per decenni.

Questa è la logica alla base dei piani del Governo di Israele per costruire insediamenti in Cisgiordania: occupando fisicamente il territorio, si spera di modificare la composizione demografica, fino al punto di trasformare la regione, «de facto», in parte del loro stato.

La storia ci insegna che ci sono due ragioni principali per un cambiamento della composizione razziale della società: l’occupazione militare o l’impiego di manodopera allogena. Gli Indiani d’America sono un esempio da manuale di «occupazione militare», mentre il Sudafrica è un esempio da manuale per «l’impiego di manodopera straniera». Quando si verificano cambiamenti attraverso l’impiego di manodopera allogena, i processi sono i seguenti:

1) la società dominante importa lavoro straniero (solitamente di altre razze) per compiere i lavori più umili;

2) gli stranieri di altre razze una volta stabilitisi in loco iniziano a moltiplicarsi di numero utilizzando le strutture della società che li ospita (nei Paesi bianchi: la loro scienza, sanità, tecnologia, eccetera);

3) assumono il dominio della società grazie al loro numero.

Si tratta, molto semplicemente, di una realtà demografica: chi occupa una terra determina la natura di tale società. E così è stato – ed è – in Sudafrica, dove i dati demografici mostrano con precisione come l’uso di manodopera allogena da parte degli Afrikaner li abbia espropriati dalla propria patria.

Ad esempio: nel 1904 il primo censimento della popolazione del vecchio Transvaal contava 297.277 bianchi e 937.127 non-bianchi nella regione (Transvaal, 1911, «Enciclopedia Britannica»).

(Questo dato arriva dopo la fine della Seconda Guerra di Liberazione Boera, e dopo che il Transvaal boero era stato stravolto dall’invasione di migliaia e migliaia di persone – specie nel Witwatersrand – con la scoperta dell’oro).

È importante sottolineare che il censimento del 1904 ci dice anche che tra questi non-bianchi, 135.042 non erano del Transvaal, ed erano nel «Witwatersrand a lavorare nel miniere d’oro e in altre miniere», e che solo il 77% di tutti i neri nel Transvaal nel 1904 erano effettivamente nati lì.

Sottraendo i lavoratori in transito dal totale, significa che vi erano 297.277 bianchi e 802.085 non-bianchi nati nel Transvaal.

(Questo censimento è molto superficiale e arbitrario: perché non divide le persone per nazionalità. Parlando di Transvaal – ex Repubblica Boera – il dato base doveva essere quello dei Boeri, da confrontare con gli altri stranieri, divisi per nazionalità).

Secondo il censimento del 1960, la popolazione del Transvaal era di 6.255.052 persone, di queste i bianchi erano soltanto 1.455.372 (Transvaal, «Enciclopedia Britannica», 1966, volume 22, pagina 423).

Va detto che questi dati si riferiscono solo al Transvaal. In riferimento all’intero Paese, le cifre erano ancora più spaventose: 4,5 milioni di bianchi, in totale, tra 30-35 milioni di non-bianchi.

Che cosa ha causato quest’impennata della popolazione nera da 802.000 nella (ex) patria boera nel 1904, a 4.769.680 nel 1960 – in soli cinquantasei anni? La risposta: i neri si moltiplicarono perché erano attratti dall’offerta di lavoro nel Transvaal. Una volta insediatisi, usavano i servizi della società bianca (sanità, tecnologia, eccetera) per aumentare esponenzialmente il loro numero.

La formalizzazione dell’apartheid da parte del National Party dopo il 1948, non affrontò il vero problema che ha affrontato ogni minoranza che, nel corso della storia, ha cercato di imporsi sulla maggioranza. La contraddizione intrinseca di permettere l’insediamento di un enorme numero di appartenenti ad altre razze in un territorio, mentre si cerca di impedire che la maggioranza della popolazione domini la società, non fu mai risolto.

La verità è che non è possibile.

In Sudafrica, quasi ogni famiglia bianca aveva (e ancora ha) uno o più dipendenti neri.

Gli agricoltori afrikaner, che sono vittime di un alto numero di orrendi attacchi e omicidi, generalmente hanno centinaia di operai neri che lavorano i loro vasti terreni agricoli.

Nelle miniere, il cuore economico del Paese, la stragrande maggioranza di operai, molte centinaia di migliaia, è nera.

In tutto il Paese la stragrande maggioranza di operai che fa quasi tutto, dal lavoro in fabbrica, alla costruzione di strade e case, dal servizio nei ristoranti a quello nei negozi, è nera.

Nonostante questa massa fosse integrata economicamente, il Governo dell’apartheid cercò di applicare una segregazione sociale per mantenere un Governo bianco: un piano che era destinato a fallire fin dal suo inizio.

L’apartheid era basata su un errore: l’errore che i non-bianchi potessero essere usati come forza lavoro della società; che i non-bianchi potessero essere maggioranza in Sudafrica, ma senza che questi determinassero la natura della società sudafricana.

Questa, dunque, era la menzogna dell’apartheid: che fosse possibile, attraverso una rigida segregazione, garantire che i neri non regnassero su un Paese nel quale erano la maggioranza.

La storia parla chiaro: non c’è mai stata una società nella quale la maggioranza della popolazione non ne ha determinato la natura.

I Sudafricani bianchi, va detto, più o meno hanno creduto alla menzogna. Erano felici di avere domestici neri che pulissero le loro case, che stirassero i loro vestiti, che facessero il letto nel quale dormivano – ed erano disposti a credere che questa massa di lavoro nero che si era insediata sul loro territorio non avrebbe mai avuto alcun effetto sulle strutture del potere politico del proprio Paese.

Si dice, in effetti, che la definizione di un Sudafricano bianco è «qualcuno che preferisce essere assassinato nel proprio letto piuttosto che rifarselo».

Divertente? Non proprio – considerate questi esempi reali.

Durante l’apartheid, i neri (tutti i non-bianchi) non potevano usare i servizi igienici dei bianchi, ma potevano essere impiegati per pulire gli stessi gabinetti ogni giorno. Ci si può solo meravigliare di fronte ad una cosa di questo genere.

Durante l’apartheid, i neri (tutti i non-bianchi) potevano lavorare nelle cucine dei ristoranti, preparare il cibo, servirlo nei piatti, e portarlo al tavolo dei clienti bianchi, ma non potevano mangiare allo stesso tavolo nello stesso ristorante. Che ipocrisia è mai questa? Sicuramente se si voleva essere coerenti bisognava proibire ai neri di lavorare nei ristoranti. Ma no, l’apartheid non voleva questo, giacché era stata costituita proprio affinché i neri potessero lavorare.

Cinici osservatori parlarono della sindrome dell’«erba tagliata» in relazione ai bianchi sudafricani. Giacché questi consideravano il lavoro dei neri come quello delle falciatrici. Un tosaerba rimane immobile in garage finché non è necessario, dopodiché viene portato sull’erba, e dopo aver finito viene riposto dov’era, per rimanere in silenzio, senza causare nessun tipo di problema, fino alla prossima volta che sarà necessario usarlo.

La realtà è, ovviamente, drammaticamente diversa.

Un altro fondamento importante della menzogna dell’apartheid è che la forza militare poteva mantenere il sistema integro. La realtà demografica ancora una volta smentiva questa ipotesi: la popolazione bianca sudafricana era in totale di 5 milioni, mentre quella nera a quel tempo era di circa 30 milioni.

Dei 5 milioni di bianchi, meno di 800.000 erano in età per poter prestare servizio militare, e non tutti questi potevano essere richiamati contemporaneamente. Lo stato poteva contare su non più di poche centinaia di migliaia di militari per provare a controllare una popolazione di milioni di neri.

Alla luce di questa realtà demografica, si può ben vedere come l’apartheid fosse insostenibile con mezzi militari. Eppure la menzogna continuò, e i giovani bianchi sudafricani furono coscritti nell’esercito e nella polizia per combattere e morire per un sistema che era condannato fin dall’inizio.

Contemporaneamente, la sanità bianca occidentale e la tecnologia furono rese disponibili su larga scala. Il più grande ospedale dell’emisfero Sud fu costruito nella township nera di Soweto, fuori Johannesburg, specificatamente per la popolazione nera.

Il tasso di mortalità infantile tra i neri diminuì grandemente (rimanendo ben al di sotto di quello del resto d’Africa governato dai neri). Questa rapida crescita della popolazione stravolse ancora maggiormente la demografia del Paese.

Mentre la composizione demografica peggiorava, il Governo dell’apartheid era costretto a varare leggi sempre più severe ed oppressive per proteggere i bianchi dai neri che, anno dopo anno, diventavano sempre più maggioranza schiacciante.

Furono varate leggi come la detenzione senza processo e la messa al bando di libri e persone, già sufficientemente gravi di per sé, ma anche il conflitto si intensificò, ed entrambe le parti iniziarono ad utilizzare metodi riprovevoli. Lo stato dell’apartheid utilizzò fondi per finanziare squadroni della morte e la tortura della polizia diventò la routine. L’ANC – tra le varie azioni riprovevoli – piazzò bombe nei ristoranti, e incoraggiò la gente ad ammazzare i presunti collaborazionisti con «collane della morte» (uno pneumatico bagnato di benzina è messo al collo della vittima, dopodiché viene incendiato).

In nome di una menzogna – che l’apartheid poteva reggere – lo stato causò atti moralmente ripugnanti sui due fronti dello schieramento politico. I movimenti della resistenza nera si diedero alla guerriglia e iniziarono a lanciare attacchi contro obiettivi strategici. Per combattere questa guerra non convenzionale, la polizia sudafricana fu dotata di maggiori poteri per la detenzione e di altre misure draconiane. Queste potevano essere solo misure di primo soccorso, ma il problema principale, prevenire l’occupazione del Paese da parte di una maggioranza nera, non fu mai affrontato da alcuna legge dell’apartheid.

Il Governo bianco cercò di dare applicazione concreta alla politica della «Grande Apartheid». Venne data l’indipendenza vera e propria ad un numero di tradizionali territori neri, ai primi verso la metà degli anni ’70 (le terre separate nere, «homeland», erano state istituite nel 1913, con il Native Land Act).

In questo modo, il Governo dell’apartheid si illudeva che le aspirazioni politiche dei neri potessero essere soddisfatte dal solo diritto di voto in queste terre tribali – nonostante un massiccio numero di neri vivesse fuori da questi territori nelle aree urbane bianche (aree cosiddette «bianche» ma dove la maggioranza non era di Europei; «Europei» è inteso come sinonimo di «bianchi», giacché i Boeri, pur essendo «bianchi», non sono Europei ma Africani), se si contavano tutti i domestici neri, gli operai e i dipendenti al servizio delle fattorie.

Il Governo bianco rifiutò anche di aggiornare le dimensioni di queste aree tribali per adattarle alle modificazioni demografiche, insistendo ostinatamente che le «homeland» nere – circa il 13% dell’intera superficie del Paese (esattamente il 13,7%, dato fissato nel 1936. Nel 1913 era stato fissato al 7,3%) – avrebbero potuto accogliere quello che rapidamente era diventato più dell’80% di tutta la popolazione totale, anche se erano principalmente occupate da terreno agricolo di ottima qualità.

In poche parole, il Governo dell’apartheid rifiutò di accettare una verità fondamentale del dinamismo razziale: chi occupa uno spazio determina la natura della società su tale spazio, e poco importa a chi originariamente fosse appartenuto tale spazio.

Il destino del Sudafrica bianco fu segnato quando la divisione territoriale non fu adeguata alle nuove realtà demografiche, quando tutto lo sforzo fu fatto per creare «homeland» nere e non per creare una «homeland» bianca, mentre si continuava ad insistere ad usare il lavoro dei neri.

Le riforme parziali a metà degli anni ’80 – abrogazione delle leggi che proibivano i matrimoni e i partiti interrazziali, e le riforme costituzionali che davano ad indiani e «coloured» proprie camere parlamentari – servirono poco per fermare la crescente violenza.

In realtà, la violenza razziale aumentò drammaticamente. Le riforme crearono una incompiuta «rivoluzione da aspettative crescenti», e fu precisamente durante questo ciclo di violenze nere e contro-violenze bianche che la guerra razziale nel Paese contò il più alto numero di vittime (questo solo se non si considerano come vittime di attacchi razzisti i circa 35.000 bianchi assassinati tra il 1994 e il 2009 – tra cui circa 3.000 agricoltori).

Nel 1990, il Governo bianco affrontò finalmente la realtà, che non poteva più efficacemente controllare la crescente popolazione nera, così riammise l’ANC alla legalità e rilasciò Nelson Mandela dalla prigione. Nel 1994 il potere fu consegnato all’ANC con un voto a suffragio universale (costringendo insieme tutte le nazioni dell’Africa del Sud). Anche se l’apartheid vera e propria era finita negli anni ’80, è dal 1994 che tale politica è stata completamente dismessa.

È stato un risultato inevitabile: l’apartheid non poteva essere mantenuta. È stata in termini pratici inapplicabile a causa della realtà demografica, ed era moralmente inaccettabile, anche perché basata sulla repressione violenta.

I Sudafricani bianchi, quindi, seminando l’apartheid hanno raccolto la propria rovina, perché un sistema di separazione non poteva essere mantenuto mentre si impiegava il lavoro dei neri.

L’apartheid doveva cadere: la questione era «quando», non «se». I politici, che l’hanno spacciata ai Sudafricani bianchi come la loro unica speranza di salvezza, mentivano: o deliberatamente, o ignorando la realtà delle cose, la relazione tra demografia e potere.

Possono salvarsi gli Afrikaner (non distinguiamo tra Boeri e Afrikaner e li accomuniamo nel termine «Afrikaner»)?

Da quanto sopra esposto, è evidente che l’utilizzo di manodopera non-bianca è stato la causa diretta della caduta del sistema dell’apartheid e del Governo bianco in Sudafrica. Gli Afrikaner hanno perso il controllo del loro Paese per la loro incapacità a comprendere la demografia, e non a causa di «cospirazioni» o «tradimenti», come molti vorrebbero far credere (in realtà, soprattutto tra il 1990 e il 1994, uno Stato Boero indipendente si sarebbe potuto costituire, se non vi fossero state cospirazioni e tradimenti ad impedirlo).

Quest’occupazione ha avuto luogo perché il Sudafrica bianco non riuscì a capire che se impiegava manodopera nera, questi neri sarebbero diventati la maggioranza in tale società, fino – e giustamente – a pretendere il potere politico.

Sorge pertanto la domanda: data la situazione attuale, possono salvarsi gli Afrikaner?

La risposta è relativamente semplice.

In un Sudafrica unito, nel quale essi sono una minoranza perpetua, la risposta è «no».

In una regione più piccola dove gli Afrikaner siano la maggioranza della popolazione, la risposta è «sì».

Nessuna minoranza è mai sopravvissuta per sempre dinnanzi ad una crescente maggioranza ostile, e questo vale particolarmente in Sudafrica dove la differenza tra bianchi e neri è così grande.

C’è un solo modo in cui gli Afrikaner possono salvarsi. Dovrebbero innanzitutto capire la relazione tra demografia e potere politico; e secondariamente, adeguare le proprie aspettative e aspirazioni politiche ai numeri e all’abilità ad occupare un territorio, e su esso ad esserne maggioranza.

Solo quando la maggioranza degli Afrikaner comprenderà questa verità, si potrà cominciare a parlare di un piano pratico per salvarli da uno sterminio a lungo termine perpetrato dal Terzo Mondo.

Teoricamente, se la maggioranza degli Afrikaner dovesse giungere a comprendere questo, allora gli Afrikaner potrebbero salvarsi – anche perché nessuno andrà a salvarli.

Cerchiamo di essere positivi e diciamo che, teoricamente, gli Afrikaner hanno iniziato a capire la relazione tra demografia e potere politico.

Dopodiché dovrebbero smettere di perdere tempo a lamentare congiure per il loro crollo, e smettere di perdere tempo con i partiti politici in un sistema (multinazionale) che affida il Governo alla maggioranza (di varie nazioni), dove sono destinati ad essere sconfitti come sotto l’apartheid. Invece, dovrebbero avviare iniziative per diventare maggioranza dal punto di vista demografico in un territorio/regione.

Questo dovrebbe essere, alla luce dei loro piccoli numeri, un territorio molto più piccolo dell’intero Sudafrica. La sua collocazione esatta potrà essere decisa se mai arriverà tale momento. Comunque, dovrà essere occupato da una maggioranza afrikaner (così come avvenne per Israele; in realtà lo Stato Ebraico nella regione di Palestina nacque in modo molto diverso. Nel 1947 le Nazioni Unite diedero ai sionisti, che possedevano soltanto il 6% circa della terra, il 56% del territorio della Palestina), e coloro che vi si stabiliranno dovranno essere pronti a farsi tutto da soli. (Ci sono enormi problemi su questo, e sarei piacevolmente sorpresa se la maggioranza degli agricoltori afrikaner si persuadessero a rinunciare alle loro centinaia di operai neri e si meccanizzassero come i loro colleghi americani; o se la maggioranza dei nuclei famigliari bianchi sudafricani si persuadessero a farsi da soli i letti e a lavarsi i piatti invece di utilizzare numerosi domestici, ma questa è un’altra storia).

Sì, questo significa riunire una parte della nazione afrikaner su un’area definita. Ad esempio (e questo è solo un esempio teorico), se 500.000 dovessero insediarsi nel vecchio Transvaal Orientale, e occuparlo fisicamente, tale territorio sarebbe «de facto», e successivamente anche «de iure», uno Stato Afrikaner.

L’unico modo affinché agli Afrikaner sia risparmiata la sorte di tutte le minoranze del Primo Mondo in Africa, è di abbandonare la loro dipendenza dal lavoro non-bianco, comprendendo che loro salvezza è in un territorio più piccolo, e riunirsi in tale territorio, dove dovranno formarne a titolo definitivo la maggioranza demografica.

Non c’è altro modo: tutto il resto è aria fritta. La storia ci dirà se gli Afrikaner se la sentiranno di intraprendere il loro secondo Grande Trek.

(dicembre 2016)

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