In sostegno alle rivolte arabe in Palestina. L’antisionismo del fascistizzato «Corriere della Sera»
Diverse visioni dei fatti palestinesi del 1929

Durante la rivolta araba in Palestina del 1929, il «Corriere della Sera» prese una posizione contro gli Ebrei attaccati, e contestualmente di critica all’Inghilterra, Potenza mandataria, adoperando, in alcuni servizi, argomentazioni tipiche della polemica antisemita. È pensabile che, oltre alla politica prevalentemente filo-araba, in competizione mediterranea con l’Inghilterra, di Mussolini, l’avvenuta conciliazione con il Vaticano[1], da sempre contrario al ritorno ebraico in Terra Santa, abbia influenzato questa linea.

Le prime corrispondenze si presentavano prive di qualsiasi commento, ma molto accurate nel fornire la cronaca degli avvenimenti. L’agitazione ebbe inizio a Gerusalemme con uno scontro fra Arabi ed Ebrei presso il Muro del Pianto, ma con il passare dei giorni si estese alle maggiori città della Palestina, provocando centinaia di vittime fra gli Ebrei[2]. L’esiguità delle forze di polizia britanniche era la questione al centro delle proteste delle associazioni sionistiche mondiali, che biasimavano la Potenza mandataria giudicandola debole ed incapace[3]. In un brevissimo trafiletto, pubblicato in prima pagina, il «Corriere della Sera» rendeva nota anche l’iniziativa della federazione sionista italiana, che aveva presentato una protesta all’ambasciata inglese a Roma per i massacri avvenuti. Inoltre, si informava che il 12 settembre in tutte le comunità israelitiche italiane si sarebbe tenuta una solenne commemorazione degli Ebrei caduti in Palestina[4].

Possiamo trovare un primo commento in un breve paragrafo, non firmato e senza titolo, inserito in un più ampio articolo riguardante il ristabilimento dell’ordine[5]. Per il redattore, le sanguinose giornate in Palestina traevano origine dal «formidabile errore politico» della dichiarazione Balfour, che aveva immesso in quella regione un’enorme massa sionista, composta quasi completamente da elementi provenienti dall’Europa Centrale ed Orientale, «per gran parte infetti di bolscevismo». La nomina come Alto Commissario della Palestina di Sir Herbert Samuel rappresentava un ulteriore sbaglio, poiché, essendo egli stesso Ebreo, avrebbe sempre ed in ogni modo favorito gli Israeliti. L’articolista concludeva affermando che le efferate violenze antisemite di Gerusalemme provavano l’esistenza di una profonda agitazione nel mondo arabo, agitazione che poteva minare le basi dell’Impero Britannico. È possibile che lo stesso autore abbia scritto poi un editoriale[6], dal significativo titolo L’errore dell’Impero. L’errore cui si riferisce il titolo del servizio è sicuramente la dichiarazione Balfour, già definita tale. Egli scriveva che il numero dei morti da parte araba doveva essere molto superiore a quanto riportato nei comunicati inglesi, poiché era uso presso queste popolazioni nascondere i cadaveri. La stampa mondiale presente in Palestina, «che gli Ebrei avevano nelle loro mani», aveva registrato soltanto i morti israeliti, omettendo gli altri. In modo sbrigativo, il sionismo era considerato alla stregua di un’opera di beneficenza rivolta agli Ebrei perseguitati dell’Europa Orientale, una soluzione pietosa ai pogrom ricorrenti. Nell’accettare i programmi sionisti, l’Inghilterra aveva dimenticato che la Palestina non era un deserto, ma una terra abitata da popolazioni arabe, con tradizioni secolari e santuari importanti come le moschee di Omar e di Hebron. Dal piano politico e religioso il giornale passava all’ammirazione per la cultura araba, mentre nell’araba Libia il regime intensificava le operazioni militari e repressive per il controllo del territorio.

L’autore concludeva affermando che il denaro, «l’arma formidabile degli Ebrei», non sarebbe servita alla fondazione di una sede nazionale, poiché notevoli somme erano state spese per progetti inutili e improduttivi. Era opportuno invece, secondo il giornalista, che i sogni e gli ideali sionisti facessero i conti con la presenza e gli ideali degli altri, «i padroni di casa».

Di tono diverso, il contributo del professore Francesco Coletti[7], riguardante l’emigrazione ebraica[8]. L’emigrazione ebraica in Palestina aveva delle caratteristiche differenti rispetto alle altre, dominando nella prima uno «spirito nazionale» che spingeva all’espatrio. Dai dati dell’«Annuaire Statistique International» e del «Report of the Joint Palestine Survey Commission» si poteva notare come, dopo un primo slancio migratorio imponente, era sopraggiunta una crisi che poteva avere molteplici cause: un troppo rapido affollamento, un’incapacità dell’ambiente rurale ad assorbire la nuova popolazione.

Nei tempi recenti, i caratteri particolari dell’emigrazione ebraica si rilevavano anche per il livello molto alto di istruzione, con la presenza di laureati e diplomati in discipline tecniche, giuridiche e filosofiche. Dal punto di vista demografico, era quasi impossibile che gli emigranti ebrei sconvolgessero il rapporto con la maggioranza araba, dato il loro numero esiguo. Il professore conosceva bene la condizione israelita nell’Europa Orientale, da cui proveniva la maggioranza degli Ebrei in Palestina, poiché aveva compiuto un viaggio nella Russia Zarista. In quell’occasione, visitando il ghetto di Varsavia, era rimasto profondamente colpito dall’indigenza esistente e dalle continue persecuzioni. Molti abitanti del ghetto si erano lamentati con lui, «dopo essersi guardati con sospetto intorno ed avere bene capito che avevano dinnanzi un Italiano, un cittadino della Nazione che appena ha potuto ha dato assoluta parità di trattamento agli Israeliti e che conta fra i suoi più grandi scrittori Carlo Cattaneo, l’autore delle mirabili Interdizioni israelitiche». Il professore concludeva osservando come la forza e l’ardore spirituale, alla base di ciò che gli Israeliti stavano facendo in Palestina, destassero un senso di meraviglia.

Si annunciava poi la prossima pubblicazione di un suo articolo sulla situazione venutasi a creare fra Arabi ed Ebrei, che invece fu bloccato e non comparve, perché il favore verso il sionismo e gli Ebrei da lui dimostrato non si accordava con la linea filo-araba del giornale.


Note

1 I Patti Lateranensi furono firmati a Roma l’11 febbraio 1929. Confronta Massimo L. Salvatori, Storia dell’età contemporanea. Dalla restaurazione ad oggi, Torino, Loescher, 1990, pagina 715.

2 Anonimo, Tumulti sanguinosi a Gerusalemme, «Corriere della Sera», 25 agosto 1929;
Anonimo, La legge marziale proclamata in Palestina. Centocinquanta morti? Altre unità inglesi in viaggio, «Corriere della Sera», 26 agosto 1929;
Anonimo, La carneficina di Hebron, «Corriere della Sera», 28 agosto 1929;
Anonimo, Gli orrori della giornata di Hebron nel racconto dei profughi, «Corriere della Sera», 30 agosto 1929.

3 Anonimo, Reazione sionista in tutto il mondo, «Corriere della Sera», 28 agosto 1929.

4 Anonimo, Una protesta dei sionisti italiani, «Corriere della Sera», 4 settembre 1929.

5 Anonimo, L’ordine ristabilito dalle truppe britanniche in Palestina, «Corriere della Sera», 30 agosto 1929.

6 Anonimo, Sangue in Terra Santa. L’errore dell’Impero, «Corriere della Sera», 3 settembre 1929.

7 Francesco Coletti (1866-1940) fu economista, statistico e demografo. Dopo la laurea in statistica all’Università di Roma, seguì a Pavia un corso di perfezionamento sotto la direzione di Achille Doria. Tornato nelle Marche, divenne segretario della Camera di Commercio di Macerata. Successivamente, si concentrò sulla carriera universitaria. Fu antifascista, ma senza esporsi in pubblico, potendo percorrere una carriera universitaria di notevole successo. Voce, curata da Paola Magnarelli, in Dizionario biografico italiano, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1965, pagine 737-742;
Bruno Di Porto, Politica, economia e cultura in una rivista tra le due guerre. «Echi e Commenti» 1920-1943, Torino, Giappichelli, pagine 53, 116.

8 Francesco Coletti, Gli Ebrei in Palestina, «Corriere della Sera», 10 settembre 1929.

(settembre 2015)

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