La Somalia dall’indipendenza alla disgregazione
1960-1991

La teoria dell’inversione della fortuna, «reversal of fortune»[1], di cui il colonialismo europeo sarebbe stato, volontariamente o no, patrocinatore nelle zone povere del mondo, non trova alcun riscontro nel caso della Somalia, in preda all’anarchia e alla guerra civile, senza un Governo centrale che abbia piena sovranità su tutto il Paese e con parti del territorio nazionale che si sono dichiarate indipendenti o autonome, come il Somaliland, il Putland, il Galmudug, il Khatumo e l’Azania.

Lo Stato unitario somalo è esistito soltanto per pochi decenni, dal 1960 al 1991, per poi decadere alla categoria di quasi Stato[2] o Stato fallito[3], ripresentando così alla Comunità Internazionale, in tutta la sua complessità e drammaticità, i problemi derivanti da una decolonizzazione poco lungimirante.

Con l’indipendenza aveva formalmente termine, dopo dieci anni, l’esperienza dell’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia (AFIS)[4], iniziata il 22 febbraio del 1950 ed accettata dopo un complesso e difficile dibattito parlamentare[5].

Le clausole dell’Accordo, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 2 dicembre 1950, differentemente da quelle degli altri accordi di amministrazione fiduciaria stipulati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, presentavano la particolarità di stabilire un termine di decadenza di dieci anni dopo i quali il territorio amministrato sarebbe diventato uno Stato sovrano, unitario ed indipendente.

L’Italia non riuscì a garantire un approdo sicuro alla sovranità e transizioni ordinate all’ex colonia, tuttavia è opportuno ricordare che era difficile trasformare un Paese a base prettamente tribale in uno Stato democratico con istituzioni occidentali nel breve lasso di tempo dell’amministrazione fiduciaria e con un apparato burocratico nostalgico dell’ex Ministero dell’Africa Italiana[6].

Il progetto di una Somalia unita trovava riscontro anche nel così detto Piano Bevin, dal nome del Ministro degli Esteri Inglese; la Gran Bretagna avrebbe avuto così una forte influenza su uno Stato pansomalo, esercitando una specie di protettorato informale[7].

La nascita della Repubblica somala, avvenuta nel 1960, recava già in sé tutte le difficoltà di una decolonizzazione non gestita efficacemente, infatti, l’unificazione nasceva dall’unione della Somalia Italiana con il Somaliland inglese, due entità statali con differenti sistemi amministrativi, legali e di istruzione e con due lingue diverse[8]. Dal punto di vista economico, le due regioni non avevano mai avuto interscambi significativi[9].

Questi problemi furono aggravati dalla scelta di Mogadiscio come capitale, mentre Hargeysa, in precedenza capitale del Somaliland, era declassata a città di provincia[10].

Nell’Assemblea Nazionale gli esponenti delle Regioni del Nord, così era definito il Somaliland, furono soltanto 33 su 123 membri. Inoltre, le più alte cariche del nuovo Stato furono appannaggio di esponenti dell’ex Somalia Italiana, fra cui le funzioni di Presidente e Primo Ministro ed i più importanti Ministeri, Difesa, Affari Esteri, Finanze ed Interni.

La frettolosa unificazione aveva lasciato in sospeso anche una questione legale molto importante. I due Decreti di Unificazione approvati dai rispettivi Corpi Legislativi differivano in qualche punto, ed inoltre, non vi era un unico documento legale che unisse i due territori[11]. La nuova Assemblea Nazionale riconobbe l’errore e promulgò un nuovo Decreto di Unificazione nel gennaio del 1961, tuttavia, alcuni osservatori affermarono che fino a quando i due territori non fossero stati legalmente uniti il nuovo Decreto non avrebbe avuto alcun’efficacia nel Nord del Paese, nell’ex Somaliland[12].

Il referendum, indetto nel giugno del 1961, sulla nuova Costituzione unitaria rappresentava un importante test per misurare l’appoggio della popolazione all’unificazione. Qualunque entusiasmo per l’unione fosse esistito inizialmente nell’ex Somaliland era ormai svanito, infatti, solo 100.000 votanti su 650.000 parteciparono alla votazione, e di questi più della metà rifiutò la Costituzione[13].

Nell’ottobre del 1969 un colpo di Stato militare impose la dittatura del Generale Mohamed Siad Barre. Il Generale affermò, poco dopo essersi impadronito del potere e aver abolito la Costituzione, che il nuovo Governo avrebbe posto fine all’organizzazione tribale della società somala, al nepotismo, alla corruzione e al malgoverno, obiettivi che sarebbero stati raggiunti attraverso l’applicazione del socialismo. L’Unione Sovietica ed altri Paesi comunisti fornirono al regime beni, capitali finanziari ed armi, aiutandolo a creare un’economia pianificata[14].

Sebbene Barre avesse vietato l’utilizzo di ogni terminologia che si riferisse ai clan, egli fornì illegalmente terre e accesso all’acqua a quei clan che supportavano il suo Governo[15]. È importante ricordare che la Somalia non era una Nazione omogenea dal punto di vista etnico, infatti, al suo interno esistevano svariati clan, come gli Isaaq, i Darood o i Bantu, e la lealtà verso il proprio clan aveva la precedenza sulla lealtà verso il Governo nazionale; i voti segreti dei membri dell’Assemblea Nazionale basati sull’appartenenza ai clan dimostravano quanto la democrazia somala fosse lontana dall’idea occidentale di Stato democratico[16]. In questo ambito, è doveroso anche domandarsi dove fossero finite le istituzioni democratiche che l’Italia aveva creduto doverosamente di trasmettere attraverso l’AFIS, l’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia, all’ex colonia.

Agli inizi degli anni Settanta, le Leggi di nazionalizzazione per l’accesso alla terra e all’acqua imposero severe restrizioni al commercio di bestiame, togliendo ai contadini e ai pastori nomadi un elemento fondamentale della loro produzione[17]. Nel decennio 1970-1980 le terre più fertili furono nazionalizzate e trasferite a gruppi di politici o uomini d’affari legati ai politici nazionali; interi villaggi di agricoltori nel Nord, e un numero minore nel Sud, divennero vittime del socialismo di Barre[18].

Formalmente il socialismo fu abbandonato nel 1980, ma ciò non implicò un miglioramento della politica economica, poiché l’ampio programma di investimenti pubblici fu improduttivo, aumentando notevolmente il debito pubblico[19]. Il 90% della spesa pubblica confluiva nella Difesa e nell’Amministrazione, meno dell’1% era riservato ai servizi sociali.

La conseguenza della noncuranza del regime di Barre verso le pessime condizioni sociali della popolazione somala fu la sopravvivenza e il rafforzarsi dei legami di clan all’interno della società civile.

Nel 1978 iniziò il declino politico del regime di Barre. Alla distruzione del mercato interno, si aggiunse la fine dell’aiuto finanziario da parte dell’Unione Sovietica a causa della guerra con l’Etiopia, un altro satellite sovietico, per il territorio dell’Ogaden, tradizionalmente abitato da una popolazione in maggioranza somala.

La guerra contro l’Etiopia nel 1977-1978 comportò un più forte acuirsi delle tensioni fra clan, infatti, il regime non solo elargiva aiuti considerevoli ai profughi somali dell’Ogaden[20], ma riforniva di armi i combattenti somali del Fronte di Liberazione che usavano quelle armi non contro il Governo Etiope, ma contro i civili del clan Isaaq. Nel 1981 un gruppo di importanti membri del clan Isaaq, esuli in Inghilterra, formò il Somali National Movement (SNM) con il fine di rovesciare il regime di Barre. Come risposta alla guerriglia instauratasi nelle regioni del Nord-Ovest, il Governo nazionale attuò una sistematica opera di repressione del clan Isaaq: arresti illegali; stupri; sentenze sommarie; confische di beni privati; rapimenti[21]. Allo stesso tempo, il regime cercò, con parziale successo, di ottenere l’appoggio degli altri clan.

Nel 1988, dopo un incontro a Djibouti tra Siad Barre e il Primo Ministro Etiope colonnello Mengistu Haile Mariam, il Governo Etiope intimò al Somali National Movement di cessare le operazioni di guerriglia e di allontanarsi dal confine con la Somalia. A questo proposito, è importante ricordare che il Somali National Movement aveva stabilito le sue prime basi operative proprio in Etiopia nel 1982.

Il Somali National Movement decise invece, temendo una sconfitta, di attaccare le città di Hargeysa e Burco, scatenando una guerra civile su vasta scala che coinvolse l’intera area Nord-Ovest della Somalia. La risposta dell’Autorità centrale fu molto forte; l’artiglieria e l’aviazione bombardarono le maggiori città, nello stesso tempo le abitazioni degli Isaaq furono distrutte ed i loro terreni e punti di rifornimento d’acqua sistematicamente minati.

Nel 1989, al Somali National Movement si aggiunsero altre due formazioni, nate nel Sud della Somalia, il Somali Patriotic Movement e lo United Somali Congress.

Nel gennaio del 1991 le milizie dell’United Somali Congress avanzarono fino a Mogadiscio, costringendo il Generale Barre ad abbandonare la capitale, nel frattempo le forze del Somali National Movement lanciavano la loro offensiva finale nel Nord-Ovest.

La coalizione di milizie che mise fine al regime era espressione diretta dei clan, desiderosi di mantenere i privilegi e il potere di cui godevano nei vari spezzoni in cui era divisa la Somalia, oramai priva di un’autorità centrale e dilaniata dall’anarchia tribale.

Il primo territorio somalo che dichiarò la propria indipendenza, anche se non riconosciuta a livello internazionale, fu il Somaliland nel maggio del 1991, affermando così concretamente l’abbandono definitivo dell’idea di uno Stato Somalo unitario.

La Comunità Internazionale ha deciso di non fare ulteriori sforzi, dopo il fallimento dell’operazione Restore Hope nel 1992, per riportare la pace e l’unità in una Nazione «senza vita propria, un deserto di guerra e desolazione, non più degna di essere preservata nella sua unità e sovranità»[22].

La condizione di guerra civile rende attualmente difficile delineare la struttura politica della Somalia; le ultime elezioni regolari si sono tenute nel 1984, prima della caduta del regime di Barre. Dal 2004 si è costituito il Governo Federale di Transizione somalo, un’istituzione piuttosto debole ma riconosciuta a livello internazionale. Il Governo Federale di Transizione è tuttora contrapposto all’organizzazione terroristica islamista Al-Shabaab, che controlla vaste zone del Paese.


Note

1 Daron Acemoglu, Simon Johnson, James A. Robinson, Reversal of Fortune: Geography and Institutions in the Making of the Modern World Income Distribution, in «Quarterly Journal of Economics», 117, 2002, 4, pagine 1231-1294.

2 Robert. H. Jackson, Quasi-States: Sovereignty, International Relations and the Third World, Cambridge, Cambridge University Press, 1990.

3 Christopher Coyne, Reconstructing Weak and Failed States: Foreign Intervention and the Nirvana Fallacy, «Foreign Policy Analysis», volume 2, pagine 343-361.

4 Per l’amministrazione fiduciaria italiana in Somalia si vedano:
Ioan M. Lewis, A modern history of the Somali. Revised, Updated & Expanded, Oxford, J. Currey, 2002;
Renzo Meregazzi, L’amministrazione fiduciaria italiana della Somalia (A.F.I.S.), Milano, Giuffré, 1954;
Antonio Maria Morone, L’ONU e l’amministrazione fiduciaria dell’Italia in Somalia. Dall’idea all’istituzione del trusteeship, in «Italia contemporanea», 242, 2006;
Antonio Maria Morone, L’ultima colonia. Come l’Italia è tornata in Africa (1950-1960), Roma-Bari, Laterza, 2011;
Carlo Guido Raggi, L’amministrazione fiduciaria internazionale, Milano, Giuffrè 1950;
Ministero degli Affari Esteri, L’amministrazione fiduciaria della Somalia e i rapporti dell’Italia con la Repubblica Somala. Relazione presentata al Parlamento Italiano dal Ministro degli Affari Esteri Onorevole Antonio Segni, Ministero degli Affari Esteri, Roma, 1961;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Italia e Somalia: dieci anni di collaborazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri servizio informazioni, Roma, 1962.

5 Per quanto riguarda il dibattito parlamentare sull’amministrazione fiduciaria si vedano gli:
Atti Parlamentari delle legislature I, II, III, dal sito web della Camera dei Deputati
http://legislature.camera.it/
- atto numero 1069, seduta numero. 380 del 02/02/1950 (antimeridiana); seduta numero 382 del 02/02/1950; seduta numero 383 del 04/02/1950;
- atto numero 2034, seduta numero 702 del 15/06/1951; seduta numero 762 del 11/10/1951 (antimeridiana); seduta numero 764 del 12/10/1951;
- atto numero 2860, seduta numero 968 del 18/07/1952; seduta numero 969 del 23/09/1952; seduta numero 1112 del 31/03/1953 (antimeridiana); seduta numero 1113 del 31/03/1953 (pomeridiana);
- atto numero 261, seduta numero 38 del 14/10/1953; seduta numero 55 del 29/10/1953 (antimeridiana); seduta numero 126 del 21/05/1954; seduta numero 129 del 26/05/1954;
- atto numero 2246, seduta numero 293 del 13/06/1960; seduta numero 305 del 24/06/1960 (pomeridiana).

6 Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. Volume IV, Nostalgia delle Colonie, Cles (TN), Mondadori, 2001, pagina 239 e seguenti.
Ennio Di Nolfo, La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra, in Carla Ghezzi, Fonti e problemi della politica coloniale italiana. Atti del convegno, Taormina-Messina, 23-29 ottobre 1989, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma, 1996, pagina 1262.

7 Confronta John Drysdale, The Somali dispute, London, Pall Mall Press, 1964, pagina 67.
Sylvia E. Pankhurst, Ex Italian Somaliland, London, Watts, 1951, pagina 149.

8 Harold D. Nelson, Somalia: A Country Study (United States Government: Department of the Army), pagina 35.

9 Ibidem.

10 Ioan M. Lewis, A modern history of the Somali. Revised, Updated & Expanded, Oxford, J. Currey, 2002, pagina 172.

11 Anthony J. Carroll and B. Rajagopal, The Case for an Independent Somaliland, «American University Journal of Law and Politics», volume 8, numero 653 (1993), pagina 661.

12 Ibidem, pagina 661.

13 Saadia Touval, Somali Nationalism, Cambridge, Cambridge University Press, 1963.

14 Catherine Besteman, Violent Politics and the Politics of Violence: The Dissolution of the Somali Nation-State, «American Ethnologist», volume 23, numero 23 (1996), pagina 581.

15 Catherine Besteman, Representing Violence and Othering Somalia, «Cultural Anthropology», volume 11, numero 1 (1996), pagina 126.

16 Federal Research Division, Somalia: Country Studies. «The Segmentary Social Order», Library of Congress, 1993.

17 Catherine Besteman, Representing Violence and Othering Somalia, opera citata, pagina 127.

18 Ibidem.

19 Jamil Mubarak, The Hidden Hand Behind the Resilience of the Stateless Economy of Somalia, «World Development», volume 25, numero 12, pagine 2027-2041.

20 Per la politica sui rifugiati del regime confronta Maria Brons, Somalia: From Statelessness to Statelessness?, Utrecht, 2001, pagine 187-189.

21 Africa Watch, Somalia: A Government at War with its Own People, Washington/New York, 1990, pagina 7.

22 Gian Paolo Calchi Novati (a cura di), L’Africa d’Italia. Una storia coloniale e postcoloniale, Roma, Carocci, 2011, pagina 375.

(settembre 2013)

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