Armi e strategie della Prima Guerra Mondiale
Enormi masse di eserciti e nuove armi micidiali provocarono un conflitto di dimensioni prima inimmaginabili

Più volte, nella storia dell’umanità, le Nazioni si trovarono in conflitto su vari fronti: durante la Seconda Guerra Punica, per esempio, i combattimenti avvennero su ben tre continenti estendendosi dalla Spagna alla Siria; mentre la guerra dei Sette Anni tra Francia e Inghilterra (1756-1763) si sviluppò contemporaneamente su Europa, Nord America, India ed Africa Occidentale – l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Ma è indubbio che nessun conflitto precedente ebbe un’estensione territoriale ed numero di morti pari alla Prima Guerra Mondiale. Le Nazioni che entrarono in guerra nel 1914 ritenevano che sarebbe stata una questione di mesi. Si ritrovarono su fronti opposti da una parte le Nazioni dell’Intesa (Francia, Inghilterra, Russia, a cui poi si uniranno l’Italia ed altri Stati minori, oltre al Giappone, alla Cina ed agli Stati Uniti d’America), dall’altra gli Imperi Centrali (Germania ed Austria-Ungheria), insieme ad Impero Ottomano e Bulgaria; per molti mesi ogni Nazione tese a fare una sua propria guerra, senza informare dei suoi piani gli alleati. Prima che il conflitto avesse fine, nel 1918, erano morti oltre otto milioni di soldati (su 65 milioni di combattenti) e cinque milioni e mezzo di civili; 21 milioni furono i feriti.

Rispetto al passato, il volto stesso della guerra era cambiato radicalmente. Oltre ad essersi svolta su una scala di dimensioni enormi, produsse una vera e propria mobilitazione totale di immensi eserciti, delle strutture produttive e industriali degli Stati belligeranti, delle opinioni pubbliche nazionali, degli intellettuali, degli apparati propagandistici e della stampa; in essa giocarono un ruolo decisivo per un verso le ideologie del nazionalismo e dell’imperialismo (che divennero ideologie di massa), e per un altro le capacità produttive ed economiche dei Paesi in guerra, che risultarono essenziali per reggere allo sforzo di un conflitto durato cinque lunghissimi anni e determinanti per la vittoria.

Si combatté ovunque: sulle terra, sui mari, nell’aria e... sotto i mari. Mentre le navi da guerra, realizzate con acciaio e con una stazza di migliaia di tonnellate, pattugliavano gli oceani del mondo e si scambiavano i colpi da chilometri di distanza, sott’acqua i sottomarini nascosti flagellavano sia i convogli militari di superficie, sia i bastimenti addetti al trasporto di merci. I Tedeschi impiegarono 398 sottomarini (i famosi U-Boote) che affondarono 6.000 navi nemiche ed anche di Paesi neutrali; tale indiscriminata aggressività spinse però all’intervento nel conflitto degli Stati Uniti, che rompevano così una lunga tradizione di isolamento, e la cui partecipazione fu uno dei fattori decisivi che mutarono le sorti della guerra. Si può così affermare che l’arma più devastante a disposizione della Germania si rivelò determinante per la sconfitta degli Imperi Centrali.

Nei cieli si svolsero i primi duelli aerei, con velivoli fatti ancora di legno e tela. Grazie ad uno speciale meccanismo di interruttori, le mitragliatrici installate erano in grado di sparare fra le eliche rotanti dell’aereo, e ciò consentiva ai piloti di puntare il loro velivolo direttamente contro il bersaglio, aumentando la precisione di tiro. L’aviazione era sfruttata per ricognizioni, bombardamenti, assalti. I piloti più preparati ricordavano il numero di velivoli abbattuti: era nato il concetto di «asso dei cieli». Di tutti gli assi della guerra, Manfred von Richthofen, meglio conosciuto come «Barone Rosso» (dal suo titolo nobiliare e dal caratteristico colore del suo velivolo), guadagnò la vetta della classifica con ben 80 abbattimenti! Persino i palloni frenati, cioè trattenuti a terra da corde robuste, furono impiegati per osservare dal cielo i movimenti e le manovre delle truppe avversarie.

Il combattimento sulla terraferma era degenerato in una guerra di trincea a partire dal 1915, con l’artiglieria e le mitragliatrici che servivano solo a rafforzare la fase di stallo: sul fronte occidentale, nel solo 1915 furono sacrificate centinaia di migliaia di vite da entrambe le parti, con conquiste marginali. Gli uomini erano utilizzati come «carne da cannone», costretti a passare lunghi mesi immersi nel fango, per poi morire sotto i reticolati o sepolti nel crollo delle difese. La strategia del «punto forte», che consisteva nell’attaccare il nemico per annientarlo, si rivelò costosa ed inefficacie: nella sola battaglia di Verdun tra Francesi e Tedeschi (febbraio-dicembre 1916) persero la vita oltre 600.000 uomini senza che si raggiungessero risultati apprezzabili. Durante la battaglia della Somme, gli Inglesi andarono all’attacco seguendo le loro tradizioni, ovvero a passo di marcia e facendo rimbalzare davanti alle schiere un pallone da rugby, direttamente in bocca alle mitragliatrici tedesche: 40.000 uomini messi fuori combattimento in un giorno solo! Coi loro potenti cannoni, i Tedeschi bombardavano Parigi da 110 chilometri di distanza. Per snidare i difensori dalle trincee si usarono anche armi terribili, come i gas asfissianti che si diffondevano nell’aria e portavano silenziosamente la morte. Le armi, sia leggere che pesanti, erano assai diversificate: mitragliatrici, potenti cannoni, mortai, lanciafiamme, bombe a mano; soprattutto furono le artiglierie a dominare la guerra.

Una trincea della Grande Guerra

Una trincea durante la Prima Guerra Mondiale

Soldati inglesi nella battaglia della Somme

Soldati inglesi in trincea durante la battaglia della Somme con le maschere antigas

Gli eserciti potevano contare sui veicoli a motore, usati per trasportare truppe, ma che potevano anche essere adoperati in battaglia; da qui si sviluppò l’idea del carro armato, un mezzo dotato di spesse corazze e cannoni a tiro rapido, ottimo per aprire la strada alla fanteria: nel novembre del 1917, 474 carri armati inglesi si resero protagonisti di una spettacolare, seppur breve, avanzata contro i Tedeschi, nella battaglia di Cambrai. Dalle prime autoblinde Ehrhardt di fabbricazione tedesca, semplici autocarri con protezioni, si passò alle auto corazzate italiane Lancia ed alle automitragliatrici francesi White, dipinte con colori mimetici; un mezzo blindato in anticipo sui tempi fu il francese Renault FT 17 (alcuni esemplari furono in azione anche nella Seconda Guerra Mondiale), col motore a quattro cilindri che derivava da quello di un’automobile da turismo; il Mark VIII di 37 tonnellate, di fabbricazione inglese, aveva un motore di 300 cavalli (usato anche per gli aerei) e comparve sul fronte verso la fine del conflitto; mentre apparve troppo tardi per essere utilizzato in guerra il carro armato italiano Fiat 2000: nonostante presentasse ancora delle caratteristiche tipiche dei primi carri, all’interno c’era molto spazio per il personale e non si verificavano quei fenomeni di asfissia derivanti dalle esalazoni dei gas del motore che si ebbero sui primi mezzi britannici, inoltre il motore sviluppava 240 cavalli, il peso era di 40 tonnellate e la velocità sugli otto chilometri orari. Solo verso la fine del conflitto si comprese come sfruttare al meglio l’enorme potenziale bellico di cui si poteva disporre: se nel 1914 i belligeranti non possedevano più di 20.000 mezzi motorizzati, nel 1918 questi erano 400.000; gli aerei erano nel 1914 meno di un migliaio, nel corso del conflitto ne vennero messi in produzione 200.000. La guerra di uomini divenne insomma una guerra di macchine, aprendo le porte a quella che, da guerra di posizione, si sarebbe tramutata in guerra di movimento (la Seconda Guerra Mondiale).

Carro d'assalto Fiat 2000

Carro d'assalto italiano Fiat 2000, vista tre quarti posteriore, 1° aprile 1919

A farne le spese erano soprattutto gli uomini appiedati, la fanteria: i soldati italiani e francesi all’entrata in guerra non avevano in dotazione elmetti, almeno però gli Italiani indossavano divise grigio-verdi, mentre i transalpini mantennero per un po’ ancora i tradizionali pantaloni rossi, che li rendevano un bersaglio ideale per i cecchini nemici (un Ministro Francese aveva proposto di abbandonare le tinte vistose, ma aveva suscitato violente proteste, ed un giornale di Parigi aveva addirittura scritto che «privare il nostro soldato di ogni nota di colore, di tutto quanto rende vivace il suo aspetto, significa violare contemporaneamente il buon gusto francese e la funzione stessa dell’esercito»). Si potrebbe continuare a lungo. Per esempio, il 2° corpo di armata italiano possedeva allo scoppio del conflitto solo un’automobile, quella del comandante; nel contempo, gli Austro-Ungarici schierarono alcuni reparti che erano ancora armati di fucili non a ripetizione e che andavano ricaricati dopo ogni sparo.

Bisogna però precisare che i soldati degli opposti schieramenti non si odiavano affatto: il giorno di Natale del 1914, sul fronte delle Fiandre, Francesi e Tedeschi uscirono dalle rispettive trincee, si scambiarono sigarette ed improvvisarono una partita di calcio; in seguito, un soldato inglese ed uno tedesco cooperarono per liberare un cavallo rimasto impigliato in un reticolato che correva tra le opposte trincee. Gli episodi di «affratellamento», che gli ufficiali cercavano con tutti i modi di impedire, erano frequenti sul fronte italiano: poiché gli Austriaci abbondavano di tabacco e difettavano di cibo, mentre gli Italiani avevano cibo a sufficienza ma ben poco tabacco, i soldati provvedevano ad incontrarsi per degli scambi. Invece, furono i Tedeschi che combattevano sul fronte italiano a rendersi protagonisti di violenze e stupri su donne (fatti che non avvennero invece sul fronte francese).

Rispetto al passato, le comunicazioni erano facilitate dall’uso del telegrafo e del telefono.

Anche gli animali vennero coinvolti nel conflitto, e non si trattava solamente dei cavalli: i Francesi acquistarono in Canada oltre 400 cani da slitta da impiegare sul fronte francese dei Vosgi – essi trainarono slitte per rifornire postazioni rimaste isolate dalla neve ed evacuare feriti, dando un aiuto insostituibile ed essenziale all’impedimento dell’invasione tedesca. Mentre il soldato italiano non contò su un amico migliore del mulo: la ghirba con l’acqua, la cassa di cottura, le munizioni, i pacchi della famiglia, la posta, giungevano puntualmente a dorso di mulo su qualunque sommità, nel punto più remoto; mulo e conducente costituivano un gruppo inscindibile. Sempre da parte italiana, il servizio segreto dell’Esercito utilizzò i piccioni viaggiatori non solo come postini: su un’imbracatura fissata sui piccioni veniva inserita una piccola macchina fotografica che entrava in funzione non appena l’animale spiccava il volo; i piccioni attraversavano le linee italo-austriache, fotografavano le posizioni delle fortificazioni avversarie e tornavano indietro.

Il fronte dove si svolsero i combattimenti più accaniti e sanguinosi fu quello italiano del Trentino: se i combattimenti di Verdun durarono pochi mesi, le battaglie sul fronte carsico proseguirono per due anni praticamente senza interruzione. Sulle montagne si sparava di continuo, i cannoni battevano le fortificazioni, le mitraglie falciavano i soldati che si gettavano all’assalto all’arma bianca, tutti i monti all’intorno, il Sabotino, il San Michele, il Podgora erano percorsi da fitte trincee, da gallerie, da stretti cunicoli; centinaia di migliaia di soldati passavano le loro giornate immersi nel fango, accovacciati dentro un buco, fra la morsa del freddo, la pioggia continua, il pericolo delle granate. Anche sulla frontiera italo-svizzera si svilupparono trincee, per timore che la Germania e l’Austria invadessero l’Italia dopo l’occupazione del piccolo Stato alpino: nella Val d’Intelvi si sviluppavano per 72 chilometri, ma non vi si è mai sparato un colpo. L’Italia era entrata in guerra il 24 maggio 1915, con una parte del popolo ed il Parlamento contrari all’intervento, trascinata da una frangia di opinione pubblica composta di grossi nomi (tra i quali Luigi Albertini, direttore del «Corriere della Sera», il più grande giornale della Penisola, il poeta Gabriele d’Annunzio e Benito Mussolini): ma la Nazione non era pronta per il conflitto, l’esercito non era equipaggiato, mancavano ufficiali esperti, e mancava soprattutto una vera tradizione militare. Nell’Esercito Italiano militavano molti contadini analfabeti, che non sapevano distinguere nemmeno la destra dalla sinistra: per questo nei loro stivali si mettevano paglia da una parte, fieno dall’altra, e quando l’ufficiale voleva che andassero a destra o a sinistra, non doveva far altro che gridare «paglia» o «fieno». Periodicamente, questi contadini venivano lanciati in offensive condotte col metodo dell’assalto frontale: erano scaraventati fuori dalle buche in cui si riparavano e costretti ad avanzare sotto il fuoco nemico, di cui erano facile bersaglio; una strategia, questa, che causò perdite gravissime e garantì pochissimi vantaggi. Truppe d’èlite furono invece gli Alpini, che svolsero un ruolo di grande importanza. Si batterono con eroismo anche i 50.000 Italiani spediti sul fronte francese perché considerati inaffidabili, e che invece fecero onore al proprio nome ed a quello dell’intera Nazione: a Bligny, nella battaglia che fermò l’ultima offensiva tedesca (1918), lasciarono sul terreno 5.000 morti. Morirono sul fronte del Trentino oltre 600.000 soldati italiani, a causa degli attacchi frontali sotto il fuoco nemico; le perdite degli Austriaci furono il doppio, dato che dopo aver perso delle postazioni si lanciavano immediatamente al contrattacco tentando di riconquistarle.

Una seconda strategia per ottenere la vittoria era quella del cosiddetto «punto debole», che mirava a disorganizzare il nemico e ridurre il numero dei suoi alleati. Gli Imperi Centrali cercarono di sollevare le nazionalità non russe dell’Impero Zarista: pubblicarono un Bollettino delle nazionalità di Russia, istituirono una legione finlandese e proclamarono nel 1916 l’indipendenza della Polonia. Contro la Gran Bretagna, i Tedeschi diedero man forte ai nazionalisti irlandesi, fino alla rivolta della «Pasqua di sangue» del 1916. In Belgio, la Germania tentò di indebolire la coalizione alleata riproponendo l’ideale fiammingo: venne persino istituito un Consiglio Nazionale delle Fiandre. Infine, Austriaci e Tedeschi tentarono di suscitare la guerra santa contro gli avversari e, almeno in Libia, riuscirono a fomentare una rivolta contro gli Italiani.

Nello schieramento opposto, gli alleati agirono in modo indiretto contro il predominio asburgico in Europa Centrale promettendo, in caso di vittoria, l’indipendenza alle nazionalità oppresse: Croati, Sloveni, Cechi, Slovacchi e via dicendo; tale tattica portò ad una diserzione di massa, quella del 29° Reggimento di Praga. Maggiore successo ebbe la rivolta degli Arabi, appoggiati dal Colonnello Lawrence (divenuto poi popolare come «Lawrence d’Arabia»), contro l’Impero Ottomano: gli insorti entrarono a Damasco a fianco degli Inglesi, spingendosi poi fino ad Aleppo.

A questa strategia se ne affiancò una nuova, mirante al soffocamento degli avversari: fin dal 1914, le potenze dell’Intesa tentarono di danneggiare il commercio marittimo degli Imperi Centrali cercando di impedirne i rifornimenti e di ridurli alla fame – il precedente napoleonico forniva l’idea di un blocco continentale. La Germania riuscì a controbilanciare per lungo tempo l’effetto del blocco, in primo luogo perché la Gran Bretagna – ritenendo che un aumento di ricchezza non avrebbe potuto che aumentare le proprie speranze di vittoria – continuava ad intrattenere proprio con essa relazioni commerciali tramite i Paesi neutrali, ed in secondo luogo perché la Germania aveva mobilitato e razionalizzato la propria economia prima degli altri Paesi belligeranti. Quando l’arma del blocco minacciò di diventare fatale, i Tedeschi reagirono con la guerra sottomarina, che condussero senza limitazioni a partire dal 1° febbraio 1917. Invece di provocare il cedimento degli alleati e di terrorizzare le potenze nautrali, tale strategia intensificò dapprima la guerra sul mare, e determinò poi l’intervento degli Stati Uniti, col loro massicco apporto di mezzi e truppe.

Fu l’entrata degli Stati Uniti, sia dal punto di vista economico che militare, a far pendere l’ago della bilancia a favore degli alleati, mentre fu la decisiva sconfitta dell’Austria-Ungheria ad opera dell’Italia a portare, tra la fine di ottobre e il novembre del 1918, alla firma dei primi armistizi.

(aprile 2018)

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