Per il centenario dell’Imperatore Francesco Giuseppe
Riflessioni alla luce degli ultimi studi storici

Il centenario dell’Imperatore Asburgico che ha contraddistinto un’intera epoca (1830-1916) è stato ricordato alla Biblioteca Statale di Trieste nel corso di un Convegno internazionale di grande rilievo «oggettivo» pur nell’ambito di valutazioni ed interpretazioni improntate ad una permanente «attualità». In effetti, le idee e gli eventi del cosiddetto «secolo breve» (così chiamato in quanto diversi storici – come ha ricordato il Professor Stefano Pilotto nella sua lucida e pertinente prolusione – lo hanno fatto decorrere dall’attentato di Sarajevo del 1914 che diede inizio alla Grande Guerra) hanno avuto diverse matrici essenziali nell’Ottocento europeo, e segnatamente nell’età di Francesco Giuseppe, caratterizzata dal forte confronto tra l’Antico Regime ed il principio di nazionalità scaturito dalla Rivoluzione Francese.

Nel primo ventennio del suo regno, l’antitesi ebbe toni particolarmente vivaci e talvolta tragici, con particolare riguardo alla fagocitazione del patriottismo italiano e di quello ungherese culminata nel sacrificio di tanti martiri, e poi nelle infauste guerre contro il nuovo astro prussiano di Bismarck, vero punto di svolta delle fortune asburgiche verso il basso. Nei decenni successivi il contrasto si sarebbe relativamente affievolito, anche se la Casa rimase fedele alle sue vecchie pregiudiziali assolutiste, scegliendo sia pure «obtorto collo» la strada di una progressiva balcanizzazione: come è stato messo in luce nell’intervento di Pilotto, durante il periodo di Francesco Giuseppe l’Impero perse la Lombardia ed il Veneto e dovette riconoscere all’Ungheria almeno una parte dei diritti per cui si erano immolati i patrioti del 1848-1849, e per cui Luigi Kossuth avrebbe affrontato il lungo esilio in Piemonte; ma acquisì l’amministrazione della Bosnia Erzegovina, che di fatto divenne una provincia austriaca.

L’impegno posto dal Governo di Vienna nell’affossare le speranze ungheresi, dapprima di autonomia e poi d’indipendenza, fu tanto cruento quanto pervicace, in misura superiore allo stesso impatto terroristico che Radetzky avrebbe riservato ai territori italiani dell’Impero, e proprio nel 1849 si avvalse del supporto militare russo nel comune segno dell’Antico Regime, quando i patrioti magiari si videro costretti a fronteggiare un attacco concentrico di forze nemiche soverchianti: si trattava di circa 250.000 uomini, nei cui confronti altro non era possibile se non una breve ma gloriosa difesa, con una rapida serie di sconfitte fino a quella conclusiva del 13 agosto. A ben vedere, fu una fosca anticipazione di quanto sarebbe nuovamente accaduto dopo oltre un secolo quando i carri armati sovietici schiacciarono nel sangue la nuova Rivoluzione ungherese, con un drammatico «ricorso» che fa pensare all’ipotesi ciclica di Giambattista Vico.

Ciò non significa, come il Professor Gianluca Volpi ha evidenziato nel titolo del proprio intervento, che Francesco Giuseppe sia «caduto senza onore». Al contrario, il suo crepuscolo, pur essendo stato improntato ad una gestione del potere tipica del monarca assoluto, anche quando fu costretto ad assumere atteggiamenti da sovrano formalmente costituzionale, si distinse per la dignità con cui seppe affrontare una congiuntura politica sempre più lontana dalle suggestioni della Santa Alleanza, e contemporaneamente, le ricorrenti sventure culminate nella morte violenta della consorte Elisabetta, del figlio Rodolfo e del fratello Massimiliano, per non dire dell’erede designato ucciso a Sarajevo, l’arciduca Francesco Ferdinando.

Si diceva dell’attualità di questo grande Imperatore, o quanto meno, della sua storia e dell’influenza che ebbe in quella del Novecento, con particolare riguardo, nell’ottica italiana, alla Grande Guerra, alla creazione del nuovo Regno degli Slavi del Sud e quindi della Jugoslavia, ed al Secondo Conflitto Mondiale; infine, alla perdita della sovranità nazionale sulla Dalmazia, su Fiume, e su buona parte della Venezia Giulia, per non dire delle successive vicissitudini del cosiddetto Territorio Libero di Trieste fino al trattato di Osimo del 1975, quando l’Italia finì per accettare la «realtà effettuale» rinunciando alla sovranità sulla Zona «B» del medesimo Territorio Libero di Trieste.

Lo stravolgimento dei vecchi equilibri, pur basati su decisioni di vertice non condivise dai popoli, ha dato luogo all’avvento di nazionalità innovative, e poi di stati sovrani, come quelli scaturiti dal disfacimento della Repubblica Federativa agli inizi degli anni Novanta, con forti contrasti irrisolti ed una conflittualità tuttora strisciante. In particolare, dal punto di vista italiano, è da ricordare il diverso atteggiamento della Serbia rispetto a quello di Slovenia e Croazia – menzionato da Pilotto –, quando parve che Belgrado non fosse aliena dall’avallare eventuali attese di Roma circa le sorti dell’Istria, lasciate peraltro cadere prima che potessero essere formulate in una qualsiasi ipotesi di proposta politica. A ben vedere, anche questa è un’eredità sia pure indiretta di Francesco Giuseppe e della sua epoca, se non altro per la pervicacia con cui l’Austria, dal luglio 1914 in poi, non aveva saputo o voluto cogliere l’opportunità di recuperare l’Italia al sistema degli Imperi Centrali, limitandosi ad «offrire» la sola provincia di Trento, oltretutto quando il Patto di Londra era già stato firmato (aprile 1915).

La storia non si può certamente interpretare alla luce di proposizioni avversative o dubitative, ma il centenario dell’Imperatore Francesco Giuseppe è un’occasione utile per sottolineare che le responsabilità del celebre Monarca furono comunque significative, al di là dei vincoli imposti dalla Corte e dalla classe militare. Se non altro, per non avere compreso il carattere irreversibile delle mutazioni ideologiche e psicologiche del suo tempo, e prima ancora, per avere idealizzato la conservazione alla stregua di un improbabile ethos, e per non avere tratto dalla successione degli eventi un’interpretazione capace di indurre il realismo, ed in ultima analisi, la duttilità ed il consapevole pragmatismo della grande politica.

(marzo 2017)

Tag: Carlo Cesare Montani, Biblioteca Statale di Trieste, Stefano Pilotto, Sarajevo, Antico Regime, Rivoluzione francese, Bismarck, Lombardia, Veneto, Ungheria, Luigi Kossuth, Piemonte, Bosnia Erzegovina, Vienna, Radetzky, Giambattista Vico, Gianluca Volpi, Santa Alleanza, Elisabetta d’Asburgo, Rodolfo d’Asburgo, Massimiliano d’Asburgo, Francesco Ferdinando d’Asburgo, Grande Guerra, Regno degli Slavi del Sud, Jugoslavia, Venezia Giulia, Dalmazia, Fiume, Territorio Libero di Trieste, Trattato di Osimo, Slovenia, Croazia, Belgrado, Roma, Austria, Italia, Trento, Patto di Londra.