Fratelli Wright
Il volo a motore diventa una realtà

Oggi si vedono sfrecciare in cielo bolidi che, quando ne senti il rombo, sono già passati e spesso non riesci nemmeno a vederli, spariti. Ma per giungere a tanto, è dovuto passare molto tempo, partendo dalle prime idee di Leonardo, alle quali via via si sono aggiunti tasselli che hanno portato al risultato tanto agognato: il volo umano a motore.

Il XIX secolo fu teatro di tantissimi tentativi, qualcuno dei quali ottenne pure un certo successo, ma si dovettero attendere i risultati dell’impegno e dell’ingegno dei fratelli Wright per cominciare a vedere sorgere il sole sulla futura aeronautica.

Già da tempo, molti oggetti più leggeri dell’aria (palloni e mongolfiere) si erano sollevati dal suolo e avevano solcato i cieli, ma privi come erano di dispositivi di controllo, non potevano essere autonomi, dipendendo rotte e velocità dalla direzione e dalla forza del vento. Perciò, era importante trovare una soluzione che consentisse di poter dirigere a piacimento gli oggetti volanti. E a questo proposito, la maggior parte degli studiosi del problema lo impostava partendo dal presupposto che si doveva imitare il volo degli uccelli, per cui, oltre alla portanza, già di per se stessa di difficile approccio, diventava fondamentale la realizzazione di un meccanismo di moto da dare alle ali, il che era impossibile senza l’aiuto di un motore, essendo l’energia umana insufficiente.

Il primo che si dissociò da tale principio è stato Sir George Cayley, nato a Scarborough, nello Yorkshire, nel 1773: egli puntò tutti i suoi sforzi nella creazione di un mezzo volante ad ala fissa. E i risultati della sua impostazione del problema gli diedero ragione. Infatti, nel 1849, provò il suo aliante con a bordo un ragazzino nel terreno di proprietà a Brompton Dale: volò per poco, ma senza danni. Poi, nel 1853, affidò il volo al suo cocchiere, John Appleby, non sentendosi sicuro a pilotarlo di persona, essendo lui ottantunenne. L’aliante volò per circa 180 metri, prima di schiantarsi al suolo. Alla fine, una serie di incidenti che colpirono le sue creazioni lo convinsero a rinunciare ai suoi tentativi.

Nel 1890, in Francia ci furono i tentativi di volo effettuati da Clement Ader che, convinto che fossero gli uccelli quelli da imitare, costruì un apparecchio con le ali a forma di quelle di pipistrello (in realtà un mammifero, non un uccello), ma i tempi non erano ancora maturi per dotarlo di un motore, soprattutto come nel caso suo, avendo puntato su un pesante motore a vapore. E, come era prevedibile, il risultato fu negativo.

Però, secondo lui, la sua idea era buona, tanto che tentò di venderla al Governo Francese nel 1897, proponendo il bimotore Avion III. Purtroppo, quando si tentò di farlo volare, non si staccò da terra, lasciando i militari delusi, giacché si proponevano di usarlo per voli di ricognizione, se la prova si fosse dimostrata positiva. A quel punto, Ader mollò tutto, essendo rimasto in braghe di tela.

Altro importante pioniere del volo fu lo studioso fisico dello Smithsonian Institution di Washington, Samuel Langley, le cui ricerche furono finanziate dal suo istituto e dal Congresso degli Stati Uniti per giungere a qualche risultato positivo nel volo a motore. Così, a partire dal 1896, costruì diverse macchine volanti in scala ridotta, facendole funzionare prima con motori a vapore e poi con motori a scoppio, proiettandole con una catapulta da una piattaforma di lancio, finché approntò un mezzo previsto con un pilota a bordo. Nel 1903, lo collaudò. Il lancio avvenne da una chiatta galleggiante sul fiume Potomac, ma l’esito fu un tuffo nell’acqua, che si ripeté due mesi dopo, l’8 dicembre, in un tentativo successivo.

Anche Langley tentò di vendere il frutto delle sue ricerche all’US Army, con il suo Great Aerodrome, ma pure in questo caso i risultati furono deludenti.

Altro grande pioniere del volo planato è stato l’ingegnere tedesco Karl Wilhelm Lilienthal, nato a Anklam nel 1848, che si ritenne di essere stato il primo a costruire un aliante capace di volare con un uomo a bordo, ignorando il citato Cailey (non a caso, gli Inglesi lo denominarono Glider King, ossia Re degli Alianti).

Lilienthal basò le sue ricerche sul volo degli uccelli, di cui era un fervido appassionato, cercando di carpirne l’aerodinamica, probabilmente facendo riferimento alle fasi in cui certi volatili effettuano il volo planato, senza sbattere le ali.

Dal 1901 al 1906, egli costruì alianti in legno a struttura leggera, e con una o due ali, rivestite in tessuto. Si appendeva sotto la struttura (deltaplano «ante litteram») e si gettava con grande sprezzo del pericolo da qualsiasi posto che gli consentisse di planare (colline o tetti che fossero), tentando di controllare la direzione del volo con movimenti laterali del corpo. Secondo le cronache, i tentativi andarono avanti per più di mille volte, però i percorsi non superarono mai i 300 metri. Tutto procedeva per il meglio, finché il 9 agosto 1896 il diavolo ci mise la coda e accadde il fattaccio: per un brusco colpo di vento, un’ala si ruppe e l’aliante, perduta la portanza, cadde rovinosamente da 17 metri di quota. Lilienthal, purtroppo, ebbe la peggio, essendosi spezzata la colonna vertebrale. Morì il giorno successivo. Le ultime sue parole furono lapidarie: «Opfer müssen gebracht werden!» («I sacrifici devono esser fatti!») Otto fu tumulato nel cimitero di Lankwitz nei dintorni di Berlino.

In ogni modo, gli alianti di Lilienthal ebbero successo, tanto che furono molti gli appassionati di volo che ne acquistarono esemplari.

Nello stesso periodo, altro pioniere del volo era Percy Sinclair Pilcher, nato nel 1867, un inventore inglese, che era in contatto con Lilienthal. Pure i suoi alianti volarono ed ebbero un grande successo. Non contento, tentò pure l’avventura con mezzi a motore; purtroppo uno di questi, in fase di prova, gli fu fatale quando, durante un volo, ci fu un cedimento strutturale e Pilcher precipitò rovinosamente al suolo sul suo mezzo in avaria. Comunque aveva volato con un mezzo munito di motore e, se fosse vissuto, probabilmente sarebbe passato alla storia come il primo a realizzare un tale evento.

Però, come si dice, il mondo va avanti e comparvero sulla scena del volo i fratelli Wright, ai quali va un elogio particolare in merito al volo planato prima e a motore successivamente. Essi, Wilbur e Orville, che vissero a cavallo fra il XIX e il XX secolo, in un periodo in cui erano un grande fermento e un ansioso desiderio di volare, con il loro indefesso lavoro hanno contribuito alla scalata dell’uomo al cielo. Erano il terzo e il sesto di sette fratelli, figli della coppia formata dal pastore evangelista Milton Wright (Anglo-Olandese) e da Susan Catherine Koerner (Svizzero-Tedesca). Wilbur era nato a Milville nel 1887, mentre Orville aveva visto la luce a Dayton nel 1871. Erano entrambi ingegneri «fai da te», giacché non avevano frequentato l’università, ma avevano studiato privatamente. Del resto, in famiglia esistevano due biblioteche, di cui la prima era ricca di testi teologici, come giustamente doveva essere, essendo Milton un pastore di anime, mentre l’altra era piena di opere varie, ma soprattutto tecniche, volute da Susan poiché, essendo figlia di un costruttore di carri ed esperto nella lavorazione del legno e del metallo, era in possesso di buone cognizioni tecniche che si adoperò per inculcarle nei due figli che maggiormente dimostravano interesse a questo ramo delle attività umane, aiutandoli a costruire oggetti vari.

Inizialmente, Wilbur e Orville si dedicarono al settore della stampa, tanto da fondare il giornale «West side news» nel 1889, poi, dopo essersi interessati al commercio delle biciclette, aprendo un negozio a Dayton, città dell’Ohio, si orientarono verso la loro progettazione e costruzione.

Il padre era sempre occupato per la sua missione in viaggi e una volta regalò ai due un modellino di elicottero che volava grazie all’azione di un elastico che faceva ruotare il rotore.

La passione per il volo divenne per loro un’idea fissa e così il loro laboratorio di biciclette divenne la culla delle loro creazioni. La loro prima creatura fu un aliante fatto volare senza pilota, cioè trattenuto da terra con un cavo, come ancor oggi si fa con gli aquiloni.

Furono tentativi che, anno dopo anno, erano sempre più approfonditi e coerenti con le leggi basilari dell’aerodinamica.

Come detto, era un’epoca nella quale gli appassionati degli studi del volo umano erano tanti, al punto che era stata istituita un’associazione di tecnici appassionati della quale i fratelli Wright divennero membri.

Ma a loro ciò non bastava, in quell’epoca nella quale erano tanti coloro che si interessavano al probabile e possibile volo umano, non si accontentavano di discuterne, bensì volevano volare. I fratelli approfondirono le loro conoscenze in merito alle scienze aeronautiche e alla meccanica del volo e iniziarono a cercare di avvicinarsi alla realtà, facendo sperimentazioni sul volo planato da effettuarsi con alianti. Erano sulla stessa lunghezza d’onda di Otto Lilienthal, nel senso che, prima di pensare di inserire un motore in un mezzo volante, era più importante conoscere tutto quanto riguardasse il comportamento in volo dello stesso. I punti fondamentali su cui muoversi interessavano la superficie alare necessaria a sostenere il mezzo in volo, le modalità e i dispositivi affinché il volo avvenisse in maniera regolare e, una volta risolti questi problemi, passare allo studio dell’introduzione nell’aliante di un propulsore per l’avanzamento.

Dopo i risultati poco soddisfacenti delle loro ricerche fatte tra il 1900 e il 1901, continuarono imperterriti sulla loro strada, finché nel 1902, perfezionati i loro calcoli attraverso gli esami in una galleria del vento, costruita appositamente per determinare la portanza, costruirono un nuovo aliante che, provato nel 1902, diede esiti positivi sulla stessa e, con i corretti aggiustamenti, fu pure abbastanza agevolmente controllabile.

I loro tentativi, alla fine, sfociarono nella costruzione di un aliante che, con l’applicazione dei principi aerodinamici sulla forma delle ali, era dotato di un’ottima manovrabilità da parte di un pilota. Il risultato fu più che soddisfacente anche quando furono loro, in prima persona, a provare a farlo volare: il che significa che i calcoli fatti erano corretti.

Ma non erano soddisfatti fino in fondo del loro operato, giacché non offriva autonomia nelle prestazioni, cosa che, invece, sarebbe stata possibile se si fosse riusciti a far volare una macchina munita di motore, perché avrebbe consentito di muoversi in cielo a proprio piacimento.

Così, il passo successivo fu quello di munire il loro aliante, pilota compreso, di un motore a scoppio a quattro tempi a benzina da 12 cavalli di potenza, relativamente leggero e ben funzionante; il motore era stato progettato e realizzato con successo dal loro assistente Charlie Taylor, perché l’acquisto di un motore da un’impresa di costruzioni era ritenuto troppo costoso. Logicamente, usando un motore, era necessario costruire pure le eliche per ottenere la possibilità del mezzo di avanzare nell’ambiente aereo: insieme affrontarono il problema della forma delle pale e lo risolsero positivamente.

Uno dei problemi maggiori riguardava la controllabilità del mezzo, per cui si concentrarono al massimo, riuscendo a contrastare lo svergolamento alare (geometrico e aerodinamico, con il cambiamento dell’inclinazione del profilo alare e della sua curvatura, rispettivamente) e le oscillazioni (rollio, beccheggio e imbardata), secondo i tre assi dello spazio.

Così, nel 1903 si videro i frutti del loro impegno: si trattava di un biplano, avente ali di 12 metri, ricoperte da un tessuto pesante, una lunghezza di 6 metri e un peso attorno ai 3 quintali (pilota compreso), denominato Flyer; era costruito in legno di frassino e abete rosso; naturalmente tutto il resto, costituito da motore, tiranti dei comandi, radiatore di raffreddamento ad acqua, catene da bicicletta di trasmissione, come era indubitabile, non poteva essere altro che di metallo. Il controllo del volo si sarebbe ottenuto con l’azione di un timone collegato a tiranti.

Una volta pronti, fu deciso di fare la prima prova sulla collina di Kill Devil, nello Stato della Carolina del Nord, con Wilbur a pilotare. Le cose non andarono nel verso giusto, poiché l’apparecchio cadde al suolo, fortunatamente senza che si verificassero danni gravi. Dopo aver sistemate le varie rotture e aver rimesso il Flyer in sesto, il 17 dicembre 1903 riprovarono a farlo volare, questa volta con alla guida Orville: il biplano, orientato controvento e scorrendo su un carrellino, si alzò da terra, volò per soli 12 secondi, percorrendo una distanza di 36 metri; onestamente, non fu un grande volo (si potrebbe ironizzare che fu un volo come quello di un’oca domestica), però fu sufficiente per comprendere di essere sulla giusta strada e di invogliare ad andare avanti con coraggio e determinazione. Del resto, era il primo volo a motore della storia e, onestamente, non si trattava di uno scherzo.

Il primo volo del Flyer

Il primo volo del Flyer, ai comandi di Orville, il 17 dicembre 1903

Incoraggiati dal successo, i fratelli Wright continuarono sulla strada intrapresa, pilotando a turno il Flyer, ottenendo di volta in volta risultati sempre più esaltanti, accrescendo la durata del volo e, conseguentemente, la distanza percorsa. Purtroppo, come in tutte le numerazioni c’è sempre l’ultimo numero; e così, al quarto volo, avvenne anche per il Flyer quando, dopo aver percorsa una distanza di 260 metri in 59 secondi, capottò, con il risultato di rompere il timone di profondità posto sul davanti dell’apparecchio. Il risultato fu la messa a riposo dell’aereo.

Riporto le dichiarazioni di Orville al compimento del volo: «Le prime centinaia di piedi furono un su e giù come nei precedenti voli, ma dopo aver percorso 300 piedi la macchina divenne più controllata. I successivi 4 o 500 piedi non ebbero che pochissime ondulazioni. Tuttavia quando si raggiunsero gli 800 piedi la macchina cominciò a oscillare nuovamente, e in uno dei suoi movimenti verso il basso colpì il suolo. La distanza al suolo fu misurata in 852 piedi; il tempo di volo fu di 59 secondi. La struttura che sosteneva il timone frontale si ruppe, ma la maggior parte della macchina non riportò danni. Stimammo che la macchina poteva essere messa nuovamente in condizioni di volo in un giorno o due».

E i due fratelli non mollarono: testardi come muli andarono avanti, migliorando continuamente gli esiti delle sperimentazioni. Fra il 1904 e il 1905, costruirono nuovi modelli (Flyer II e Flyer III), che collaudarono nella località Hoffman Praire presso Dayton, con importanti innovazioni, fra cui l’aumento delle dimensioni degli equilibratori, posti più lontani dalle ali.

E i risultati non si fecero attendere, al punto che, con le riparazioni e i miglioramenti, il mezzo volante divenne sempre più efficiente, finché i voli potevano durare anche mezz’ora. Infatti, con il Flyer III, Wilbur fece un volo su un mezzo che, ancora in fase sperimentale e necessitando di un supporto per muoversi sul terreno che gli consentisse di spostarsi agevolmente, corrispose ai requisiti della sua manovrabilità e di sicurezza del pilota; e il risultato, più che soddisfacente, fu che il 5 ottobre 1905 fu percorsa la distanza di 39 chilometri nel tempo di 39 minuti e 24 secondi.

A quel punto, onore ai fratelli Wright che, lavorando alacremente, in un accordo perfetto fra di loro senza litigi e screzi, come se fossero una persona sola, erano riusciti a far volare una loro creazione funzionante a motore con un pilota a bordo.

E a coronare la loro fama, il 22 maggio 1906, i fratelli Wilbur e Orville Wright ottennero il brevetto per il loro aereo definito modello Flyer.

Un risultato di tale tipo meritava una certa ricompensa, perciò i fratelli Wright cercarono un acquirente. Provarono con il loro Governo, che non si dimostrò interessato, e allora si rivolsero alla Francia e alla Gran Bretagna, senza avere riscontro positivo. Nel 1908, infine, riuscirono a vendere alcuni aerei agli Stati Uniti. Andarono un po’ meglio i loro affari in Europa, dove vendettero diversi esemplati del Flyer III.

Però, nuvole minacciose stavano coprendo il cielo luminoso sulla testa dei fratelli Wright, perché, mentre gli Stati Uniti restavano al palo, poiché il problema della tecnologia aeronautica non era tenuto nella giusta considerazione, in Europa emersero diversi nomi, che restarono nella storia dell’aviazione: Voisin, Dumont, Farman, Antoinette; oltre a questi, ci fu Louis Bleriot, che divenne famoso per la trasvolata della Manica effettuata con il suo aereo il 27 luglio 1909.

E in Italia si stavano costruendo gli aerei migliori e più veloci, che culminarono nel Macchi, un idrovolante con motore della potenza di 3.000 HP, pilotato dal maresciallo Francesco Agello, che nel 1933 raggiunse il primato di velocità (682 chilometri orari). L’anno successivo, il 23 ottobre, sempre con lo stesso pilota, il Macchi-72 compì quattro giri del lago di Garda, raggiungendo la velocità massima di 711,46 chilometri orari, mentre la velocità media fu omologata a 709,21 chilometri orari.

La strada per il volo a motore era aperta a tutti, grazie al lavoro indefesso dei fratelli Wright, che con il loro impegno e il loro sacrificio riuscirono ad aprire una via che sembrava riservata solamente ai volatili naturali.

(maggio 2022)

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