Nazario Sauro: figlio dell’Istria, eroe d’Italia
Un centenario scomodo (10 agosto 1916)

Sono passati cento anni da quando il Comandante Nazario Sauro immolò la giovane vita (era nato a Capodistria nel 1880) sulla forca dell’Austria: uno stato autocratico incapace di comprendere che le illusioni della Santa Alleanza erano state inequivocabilmente travolte dal trionfo dell’idea di nazionalità, matrice prima del Risorgimento Italiano.

La storia di questo grande protagonista della storia nazionale, tuttora viva nella toponomastica, a cominciare da quella delle quaranta scuole intitolate alla memoria di Nazario Sauro, e negli innumerevoli monumenti, tra cui quello eretto a Trieste sulla riva omonima nel cinquantenario della scomparsa (1966) con la significativa dedica al «Figlio dell’Istria – Eroe d’Italia» è nota anche nei dettagli: cosa tanto più commendevole in un’Italia come quella contemporanea che ha perduto tante parti significative di una corretta memoria storica.

Qui, nella ricorrenza del centenario, basti ricordare che Sauro, dopo gli studi nautici ed il comando di molte navi, tra cui la mitica San Giusto che faceva la spola quotidiana fra Capodistria e Trieste, volle confermare la fedeltà al suo ideale irredentista emigrando a Venezia ancor prima che l’Italia denunciasse la Triplice Alleanza con gli Imperi Centrali, ed arruolandosi nella Marina Militare Italiana come Capitano di Vascello. Nell’ottica della miope legge asburgica, si trattava di un conclamato atto di «diserzione» da parte di un cittadino «austriaco» che in caso di cattura sarebbe stato punibile con la forca (non a caso, l’eroe era imbarcato con un nome di fantasia).

Dopo diverse missioni di emblematica audacia nei porti adriatici in cui la flotta austriaca aveva trovato sicuro rifugio cullandosi nella vecchia «gloriuzza» di Lissa (1866), il sommergibile di Sauro ebbe la ventura di incagliarsi in uno scoglio del Quarnaro a causa di avverse condizioni del mare. Ebbene, l’eroe venne subito catturato dal nemico, riconosciuto da alcuni austriacanti, rapidamente processato e condannato a morte, con sentenza rapidamente eseguita nel carcere polese la sera del 10 agosto: la tragedia di Sauro fu compiuta in una dozzina di giorni, con l’aggiunta di quella della madre, che volle ostinarsi nel non riconoscerlo, quale ultimo disperato tentativo di evitargli il capestro.

Nazario non ebbe nemmeno il tempo di dedicare un pensiero alla famiglia, ma quasi presago del destino che lo attendeva, lo aveva già fatto in maggio, con due nobilissime lettere alla moglie ed al primogenito Nino, che sono state eternate in tanti manuali ed in cui ribadiva la propria fede nell’Italia, raccomandando ai figli di anteporre a tutto la Patria ed i valori per cui tanti altri eroi avevano dato la vita. Fedele – al pari di Cesare Battisti e di Fabio Filzi (che lo avevano preceduto il 12 luglio nell’estremo sacrificio di Trento) e di altri irredentisti – agli ideali mazziniani di sicura impronta laica che erano stati anche quelli di martiri dell’Ottocento come Guglielmo Oberdan, condannato a morte per un’intenzione, disattese l’offerta dei conforti religiosi e riuscì a gridare più volte «Viva l’Italia!» in faccia al boia, prima che il cappio austriaco recidesse la giovane vita dell’eroe, ma non l’altissimo esempio.

Nazario Sauro

L'ultima foto di Nazario Sauro, poche ore prima dell'esecuzione

La storia di Sauro non finisce quel 10 agosto: anzitutto, prosegue con il conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, che ebbe luogo a conflitto terminato e che faceva seguito a quella d’Argento già conseguita sul campo. Poi, si deve aggiungere che durante la Seconda Guerra Mondiale la statua eretta da Capodistria in onore del suo concittadino venne smantellata nel 1944 (ufficialmente per preservarla da possibili incursioni nemiche) e che dopo l’invasione slava dell’anno successivo venne fusa dall’usurpatore, mentre le spoglie mortali dell’eroe, poste nel cimitero della marina di Pola (dove erano state trasferite nel primo dopoguerra – subito dopo la liberazione ed in concomitanza con la concessione della MOVM – sottraendole all’ultimo oltraggio austriaco di una fossa anonima), vennero esumate nel 1947, durante l’esodo plebiscitario dal capoluogo istriano, e trasferite a Venezia dove ebbero definitiva ed onorata sepoltura, in faccia alle terre italiane nuovamente irredente.

Cento anni dopo, nonostante la scomodità politica di questo anniversario, l’esempio di Sauro resta a perenne memoria di un lucido e nobile impegno patriottico. Non a caso, si era impegnato alacremente anche a favore della nazionalità albanese, con i cui esponenti ebbe vincoli di consolidata amicizia, tanto da imporre alla figlia il nome di Albania (in aggiunta a quelli di Italo e di Libero che aveva scelto per gli altri due dei quattro figli); senza dire delle costanti attenzioni per le classi inferiori, nella cui condizione aveva visto gli effetti di un esercizio del potere non dissimile da quello delle vecchie monarchie di diritto divino, tradizionalmente insensibili ai valori sociali per una sorta di atavico oscurantismo.

Come disse Orazio, «non omnis moriar»: è quanto si può affermare oggi per Nazario Sauro, che vive sempre nel cuore e nella mente di tutti gli Italiani di buona volontà.

(giugno 2014)

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