Dignano d’Istria: un volantino per la storia
Origini di un falso strumentale a danno dell’Italia

La propaganda filo-slava comune a non poca storiografia e a parte non trascurabile dell’informazione giornalistica continua a conferire grande importanza mediatica al noto manifestino che secondo la vulgata sarebbe stato predisposto durante il Ventennio a Dignano d’Istria – la romana Vicus Attinianum – laddove si esortava la popolazione a usare la lingua italiana perché in caso contrario sarebbero stati assunti i provvedimenti del caso a opera degli squadristi. Nella fattispecie, come è stato evidenziato dall’Unione degli Istriani agli inizi del 2020 anche attraverso il web, si tratterebbe di un clamoroso falso storico, tanto più rilevante perché riproposto pedissequamente in diversi documenti di tempi successivi al fascismo: secondo la predetta fonte, il volantino in parola sarebbe stato preparato alla fine del 1945 – quando la guerra si era conclusa da parecchi mesi e il fascismo era passato alla storia – a cura del momento politico croato in previsione delle trattative di pace che si dovevano aprire a Parigi, onde implementare la documentazione di parte avversa circa le «malefatte» istriane del lungo Governo Mussolini[1].

In proposito, è bene rammentare che la Conferenza della pace avrebbe disatteso i documenti di parte italiana, diversamente da quelli slavi. Infatti, il celebre Trattamento degli Italiani da parte jugoslava dopo l’8 Settembre 1943 (volume di 132 pagine realizzato in lingua inglese dal Governo di Alcide De Gasperi con scopo analogo, e oggetto di recente ristampa italiana a cura dell’Associazione Nazionale Dalmata) non venne accettato dagli Alleati: verosimilmente, perché conteneva documenti tanto scomodi quanto ineccepibili, e supportati da crude fotografie, circa le stragi delle foibe e gli altri massacri indiscriminati avvenuti a iniziativa della Jugoslavia titoista che faceva parte dei 21 Stati vincitori (mentre quella monarchica in esilio a Londra era stata disconosciuta dagli Alleati, senza dire che Belgrado si apprestava a fucilare Draza Mihajlovic, suo massimo difensore militare, dopo un processo farsa).

Per quanto concerne Dignano e a scanso di equivoci è d’obbligo fare una premessa: già nel 1910 l’ultimo censimento austriaco effettuato prima della Grande Guerra aveva evidenziato che, a fronte di una popolazione di poco superiore ai 6.000 abitanti, essa risultava italofona nella schiacciante misura del 95,7%[2]; in definitiva, i Croati assommavano a meno di 200 (con l’aggiunta di una novantina di Tedeschi) e risiedevano generalmente nel contado, dove esercitavano l’attività di coltivatori, in scarso contatto col capoluogo: fattore che rende a più forte ragione condivisibile la tesi del falso, in quanto sottolinea il carattere marginale della presenza slava a Dignano.

La cosa non è sorprendente perché trova conferma nelle rilevazioni concernenti Pola e le altre città della riviera istriana: ciò, nonostante le strategie di slavizzazione forzosa perseguite dal Governo di Vienna soprattutto a far tempo dal 1866 dopo la sconfitta nella Terza Guerra d’Indipendenza e la perdita di Veneto e Friuli, e a fronte delle nuove istanze proposte in crescendo dall’irredentismo giuliano e dalmata, espressione largamente prevalente – giova rammentarlo – della sinistra democratica (con particolare riguardo a quella repubblicana e radicale che ebbe il suo massimo esponente in Matteo Renato Imbriani).

Nel corso del Ventennio, dopo l’estensione della sovranità italiana a Venezia Giulia, Fiume e Zara (ma non alla massima parte della Dalmazia e quindi in deroga al Patto di Londra del 1915), le pregiudiziali slave non vennero meno e alimentarono attività sovversive e terroristiche, con particolare riguardo a quelle perseguite dalle Associazioni segrete slave come Orjuna e TIGR, responsabili di attentati con Vittime (e con cinque condanne capitali, all’epoca diffuse e accettate dovunque, che vennero pronunciate a carico dei rei confessi: dapprima Vladimir Gortan e poi i cosiddetti Quattro di Basovizza).

Successivamente, si ebbe una relativa distensione, anche alla luce del grande programma di realizzazioni infrastrutturali e di investimenti produttivi a Trieste, in Istria e a Fiume, fino al patto di amicizia italo-jugoslavo del 1937 che venne meno nella primavera del 1941 a seguito del colpo di Stato di Belgrado e del conseguente cambio di campo contro le forze dell’Asse italo-tedesca, a guerra mondiale già in corso. Tutto questo per la precisione storica e per un inquadramento delle effettive responsabilità circa il nuovo conflitto che ne ebbe origine, con immediata sconfitta jugoslava (ma con avviamento della successiva guerriglia).

Tornando alla questione del volantino, fermi restando il falso di cui in premessa e la sostanziale improponibilità di un problema linguistico a Dignano tenuto conto dell’etnia in altissima prevalenza italiana, bisogna aggiungere che i suoi contenuti si inquadrerebbero comunque nello spirito del tempo (proprio di tutti i maggiori Stati) e nella politica fascista volta a potenziare al massimo l’elemento nazionale italiano, pur dovendosi sottolineare che anche gli Slavi trassero notevoli vantaggi dagli investimenti innovativi, in specie per le favorevoli ricadute sull’occupazione e sui servizi (per fare qualche esempio di sintesi, basti pensare al grande acquedotto istriano, alle infrastrutture viarie e ai massicci investimenti per lo sviluppo dell’industria mineraria o di quella alimentare). È vero che la stampa alloglotta venne silenziata, al pari delle scuole slovene e croate, ma è ugualmente vero che non ebbe luogo alcun apprezzabile esodo verso la Jugoslavia, mentre quello italiano protrattosi dal 1943 al 1954 avrebbe avuto carattere plebiscitario; e soprattutto, è vero che le conclamate «persecuzioni» fasciste restano ben lontane dal delitto contro l’umanità perpetrato dagli Slavi comunisti nei confronti di ogni dissidenza, e proseguito a lungo termine, cosa che ne sottolinea ulteriormente gli aspetti criminali[3].

Ciò posto, la tesi della storiografia riduzionista secondo cui le foibe sarebbero state una reazione a precedenti prevaricazioni italiane risulta quanto meno opinabile, in quanto carente di fondamenti oggettivi. Del resto, a cose fatte i massimi collaboratori di Tito, quali Edvard Kardelj e Milovan Gilas, ammisero senza mezzi termini di avere eseguito la pulizia etnica a danno degli Italiani, in conformità alle direttive di Belgrado, non già per vendetta antifascista ma per predisporre una condizione di maggiore presenza slava in vista delle decisioni finali che la Conferenza di Parigi avrebbe dovuto assumere in tema di confini.

Un’ultima considerazione. Nel 1947 l’infame trattato di pace imposto all’Italia e ratificato a maggioranza dalla Costituente con 60 voti contrari, ivi compresi quelli motivati nelle alte parole di Benedetto Croce e di Vittorio Emanuele Orlando, fra le tante clausole vessatorie stabilì che l’Italia avrebbe dovuto consegnare agli Stati vincitori i suoi «criminali di guerra» (o presunti tali). Ebbene, la Jugoslavia ne chiese parecchie centinaia: di gran lunga più di quanti furono richiesti dagli altri Paesi globalmente considerati. E allora, delle due l’una: o le efferatezze italiane furono di gran lunga, ma inspiegabilmente prevalenti sul fronte jugoslavo, o la Repubblica Federativa si fece premura, se non altro per ragioni propagandistiche e per alzare il prezzo della pace, di alimentare il mito di una presunta, parossistica criminalità italiana. Grazie al cielo e all’avallo statunitense, almeno in quella circostanza il Governo De Gasperi tenne duro e non diede luogo a restituzioni, ma inducendo ulteriori delitti a danno degli Italiani ancora prigionieri di Tito, molti dei quali non avrebbero più rivisto la Patria, mentre diversi superstiti fecero ritorno in condizioni pietose.

Per richiamarci a un antico aforisma, il volantino di Dignano costituisce uno scandalo, ma come tanti scandali è bene che abbia avuto luogo: se non altro, permette alla storia di sceverare il buon grano dalla zizzania nel tradizionale spirito di Tacito, secondo cui «chi professa incorrotta fedeltà al vero, di ciascuno deve parlare senza amore e senza odio» evitando la frequente tentazione di ammannire verità taroccate iterando inveterate invenzioni di falsi. In effetti, è sempre attuale l’insegnamento del grande storico latino secondo cui perseguitare il pensiero equivale a esaltarlo.


Note

1 Il volantino, firmato da un sedicente «Comando Squadristi» che peraltro non risulta sia stato mai operante a Dignano, è redatto in termini brevi ma categorici che vale la pena di riprodurre integralmente: «Attenzione! Si proibisce nel modo più assoluto che nei ritrovi pubblici e per le strade di Dignano si canti o si parli in lingua slava. Anche nei negozi di qualsiasi genere deve essere una buona volta adoperata SOLO LA LINGUA ITALIANA. Noi squadristi, con metodi persuasivi, faremo rispettare il presente ordine». Il documento è privo di data, suffragando anche per tale aspetto la tesi del falso, che peraltro non è stata accettata da storici giuliani come Diego Redivo secondo cui sarebbe in ogni caso «ininfluente» e soprattutto come Raoul Pupo, Ordinario di storia all’Università di Trieste, che si è riservato di «controllare».

2 Nonostante l’esodo quasi plebiscitario in attesa o a seguito del trasferimento di sovranità avvenuto col trattato di pace del 1947 meglio noto come «diktat» – e tradotto nella partenza di 86 Italiani ogni 100 abitanti di Dignano – agli inizi del nuovo millennio la cittadina istriana poteva ancora contare su circa un quinto di abitanti italofoni. Per maggiori dettagli in materia, si veda lo studio di Luca Costantini prodotto nel 2013 a cura dell’Università di Bergen e disponibile anche «online».

3 La storiografia più matura è orientata a considerare la tragedia delle foibe e degli altri massacri, assieme al grande Esodo dei 350.000, alla stregua di un autentico genocidio, anche in base alla dottrina del giurista polacco Raphael Lemkin. Al riguardo, per un primo inquadramento di sintesi, confronta Italo Gabrielli, Venezia Giulia e Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, seconda edizione, Luglio, Trieste 2018, 138 pagine.

(luglio 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, Dignano d’Istria, Benito Mussolini, Draza Mihajlovic, Unione degli Istriani, Alcide De Gasperi, Associazione Nazionale Dalmata, Grande Guerra, Matteo Renato Imbriani, Patto di Londra, Orjuna, TIGR, Josip Broz detto Tito, Vladimir Gortan, Quattro di Basovizza, Edvard Kardelj, Milovan Gilas, Assemblea Costituente, Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando, Publio Cornelio Tacito, Diego Redivo, Raoul Pupo, Luca Costantini, Raphael Lemkin, Italo Gabrielli, volantino di Dignano d’Istria.