Esodo giuliano-dalmata e foibe: luci e ombre di un ricordo senza pace
Dall’obbligo etico di onore ai martiri al paralogismo dei conati riduzionisti

Sono trascorsi tre quarti di secolo, ma come accade per molte vicende storiche su cui non si riesce a trovare un denominatore di comune riferimento, a causa di evidenti carenze volitive, la questione dell’esodo giuliano-dalmata e delle foibe continua a essere oggetto di interpretazioni difformi e di valutazioni strumentali. Eppure, le 20.000 vittime del genocidio continuano a far udire alto e forte il proprio grido di dolore dagli anfratti del Carso e dell’Istria, cui si unisce quello dei 350.000 esuli, sradicati dalla propria terra per un’elementare ricerca di salvezza fisica, integrata dal rifiuto dell’ateismo di Stato e del collettivismo forzoso.

Le celebrazioni del Ricordo volute dalla Legge 30 marzo 2004 numero 92 non hanno fatto eccezione, nonostante la particolare visibilità delle manifestazioni istituzionali di Roma e di Basovizza (Trieste). Alla prima, preceduta dalla deposizione di corone d’alloro all’Altare della Patria, presso il sacello del Milite Ignoto, sono intervenuti la Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che hanno consegnato di persona agli eredi dei caduti gli attestati a firma del Presidente della Repubblica, e le Medaglie d’Onore di cui all’articolo 3 della Legge in parola, con un importante e apprezzato salto di qualità rispetto alla prassi degli esercizi precedenti. Alla seconda hanno partecipato il Ministro per i Rapporti col Parlamento Federico d’Incà in rappresentanza del Governo, assieme al Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, al Sindaco di Trieste Roberto Di Piazza, al Vescovo Monsignor Gianpaolo Crepaldi e a diversi parlamentari, fra cui Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Maurizio Gasparri[1].

Un altro elemento positivo è ravvisabile nelle tante iniziative periferiche in onore dei caduti, tra cui la consegna di ulteriori onorificenze da parte di parecchie prefetture[2] e la scopertura di memoriali toponomastici o celebrativi in ricordo di singoli caduti, tra cui piace ricordare quello di Massarosa (Lucca) in memoria dei martiri infoibati o diversamente massacrati, come Alberto Picchiani, Direttore tecnico delle miniere di Arsia, gettatosi in foiba al grido di «Viva l’Italia» per sfuggire all’aguzzino di turno[3]; e quello di Bisceglie (Barletta/Andria/Trani) in onore dell’Agente di Polizia Antonio Papagni, catturato a Trieste a guerra finita, probabilmente ucciso nell’Abisso di Roditti, e ricordato – assieme a tanti commilitoni – nel Famedio della Questura Triestina[4].

Si diceva delle ulteriori iniziative negazioniste, anche in concomitanza col Ricordo, e soprattutto, di quelle paradossalmente giustificatrici di un autentico delitto contro l’umanità, cui non sono estranei gli organi d’informazione, anche quando vengono chiamati a svolgere un servizio pubblico, che proprio in quanto tale dovrebbe porsi al di sopra delle parti.

In occasione del 10 Febbraio 2020, la storia si è ripetuta, anche a opera delle maggiori reti televisive nazionali, senza dire di iniziative quanto meno opinabili come la concessione di luoghi istituzionali agli eredi di chi si rese responsabile, giova sottolinearlo, di reati imprescrittibili. D’altro canto, è sempre vero che «oportet ut scandala eveniant»: almeno in questa ottica ne è scaturita una maggiore visibilità, idonea a consentire riflessioni mature da parte dei cittadini che abbiano orecchie per intendere e testa per ragionare.

Durante l’ultimo «Giorno del Ricordo» sono andate in onda parecchie testimonianze e rievocazioni, non sempre improntate allo spirito e alla lettera della Legge istitutiva, volte a informare gli ignari e a onorare i caduti. Ad esempio, per limitare il riferimento alla sola televisione di Stato, non sono mancati testimoni di rilievo che hanno affermato come la destra politica abbia «strumentalizzato a piene mani» esodo e foibe[5] senza pensare che la sinistra ha fatto e sta facendo di molto peggio, mentre qualcun altro ha rammentato un classico del verbo negazionista, secondo cui la strage di Vergarolla e le sue 110 vittime si devono imputare ai cittadini di Pola che cuocevano la carne sulle mine accatastate in spiaggia, sino al punto di farle scoppiare, mentre tutti sanno che erano già state opportunamente disinnescate[6].

In effetti, negazionismo e riduzionismo esistono da sempre: come è emerso da altre testimonianze, il recupero di una vita apparentemente normale da parte di molti esuli richiese parecchi anni se non addirittura decenni (Egea Haffner); senza dire degli episodi di ostracismo che consigliavano di non dichiarare le proprie origini giuliane o istriane (Anna Maria Mori) onde prevenire le accuse secondo cui i profughi erano tutti fascisti in fuga dal «paradiso» di Tito. Non a caso, qualcun altro, come la Medaglia d’Oro olimpica Nino Benvenuti, ha soggiunto che l’Esule resta sempre tale, per tutta la durata della propria vita, mentre uno storico di buon riferimento come Paolo Mieli ha affermato che quello degli esuli fu duplice eroismo: da un lato per la rinuncia alla terra e agli affetti, e dall’altro per la civile tolleranza con cui seppero sopportare parecchie accoglienze inqualificabili come quelle del treno di Bologna o della definizione di «banditi» data da parte comunista[7] fino al punto da spingere molti di loro all’emigrazione in Paesi lontani.

Testimonianze a parte, la scelta di alcuni programmi senza il conforto di adeguati commenti – come è accaduto per la proiezione di Cuore nel pozzo – ha portato ulteriori contributi alle tesi giustificatrici, se non altro per le sin troppo frequenti e insistenti ripetizioni del capo partigiano con la stella rossa, secondo cui gli Slavi rendevano pan per focaccia, a fronte delle precedenti persecuzioni italiane o presunte tali. È accaduto di peggio, quando si è data voce ad alcuni giovani che non sono stati alieni dall’ammettere «apertis verbis» la propria totale ignoranza su esodo e foibe, mentre un’altra studentessa non meglio identificata ha detto che Venezia Giulia e Dalmazia «furono date» alla Jugoslavia quale compenso non meglio specificato[8].

In linea generale, si è trattato di contributi spesso effimeri, finalizzati a ricordare gli eventi[9] ma non certo ad approfondire, anche se la responsabilità dei comunisti slavi e dei loro collaboratori italiani, in alcuni casi, è emersa in modo finalmente chiaro. Del resto, la concentrazione in un solo giorno, e comunque nell’ovvio inserimento fra gli altri programmi maggioritari, non giova a un approccio storico veramente esaustivo pur non essendo mancato qualche «flash» tendente a una riflessione meno approssimativa, come nel caso di Raoul Pupo, quando ha sottolineato la facilità con cui esodo e foibe possono essere oggetto di strumentalizzazioni, spesso antitetiche: la storia «non è un tronco da spaccare in due».

Per concludere, nulla di nuovo sotto il sole. Il Ricordo continua a tradursi in celebrazioni che tendono a diventare prevalentemente rituali, non senza concessioni fuori luogo a negazionismo e riduzionismo, tanto da aver promosso l’idea di possibili interventi legislativi «ad hoc» sulla falsariga di quanto fatto per l’Olocausto. La Legge 92, nella sua qualità di atto prescrittivo, deve «essere osservata e fatta osservare da chiunque».

Ciò, anche nelle sue statuizioni circa la commemorazione nelle scuole, spesso lasciata alla discrezionalità dei singoli Istituti, e circa il conferimento di riconoscimenti in onore delle vittime, per cui sarebbe auspicabile l’estensione del diritto d’istanza alle Amministrazioni Comunali d’origine dei caduti, già proposta in passato. Si potrebbe aggiungere che la mancanza di specifiche sanzioni a fronte delle inadempienze ne favorisce la proliferazione, ma questa è un’altra storia.

L’auspicio di tutti deve essere quello di accelerare al massimo l’assunto di Monsignor Antonio Santin, Vescovo di Trieste e Capodistria colpito a sangue dai partigiani, secondo cui le vie dell’iniquità non possono essere eterne. È un obiettivo da condividere lungi da ogni sterile logomachia, e da perseguire alacremente con l’impegno di tutti e di ciascuno.


Note

1 Alla celebrazione di Basovizza, svoltasi alla presenza di circa 3.000 persone fra cui tanti appartenenti alle Associazioni d’Arma e al mondo esule, erano intervenuti anche i parlamentari della sinistra Debora Serracchiani e Luigi Zanda, salvo lasciare inopinatamente il luogo della cerimonia quale gesto di protesta contro talune affermazioni «sovraniste» ritenute inaccettabili (in realtà, aveva preso la parola il solo Maurizio Gasparri per portare il saluto della Presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati e per confermare il giudizio, ormai condiviso da buona parte della storiografia, circa il delitto contro l’umanità compiutosi con esodo e foibe).

2 In occasione del «Giorno del Ricordo» per il 2020 sono state effettuate cerimonie specifiche, con conferimento contestuale delle onorificenze di legge, a cura delle Prefetture di Agrigento, Brescia, Campobasso, Catania, Gorizia, Messina, Oristano, Roma, Siracusa, Trapani, Trieste, Udine. Tali cerimonie si sono aggiunte a quella, descritta nel testo, tenutasi presso il Senato della Repubblica. Giova aggiungere che dopo 15 anni di vigenza del provvedimento le onorificenze consegnate si ragguagliano a circa 1.500: cifra notevole laddove si consideri l’ampiezza del tempo ormai trascorso e la conseguente difficoltà d’informazione da parte degli aventi causa, ma certamente limitata quando si pensi al numero largamente superiore delle vittime. Ecco un motivo in più per ribadire l’opportunità di adeguate misure estensive, onde prevenire la dispersione del Ricordo e del suo ruolo costruttivo nella programmazione del futuro, tanto più che la documentazione di supporto è destinata a confluire nell’Archivio di Stato a disposizione di storici e ricercatori.

3 Le spoglie mortali dell’Ingegner Alberto Picchiani vennero recuperate a poche settimane dall’infoibamento, grazie all’opera dell’eroica squadra di Vigili del Fuoco di Pola comandata dal Maresciallo Arnaldo Harzarich, e trasferite nel Cimitero di Forte dei Marmi (Lucca) dove riposano tuttora. Alla memoria del martire la Repubblica Italiana ha conferito le onorificenze di cui alla Legge 30 marzo 2004 numero 92.

4 Una lapide in perenne omaggio al concittadino Antonio Papagni, vittima del dovere e della fedeltà alla Patria, è stata scoperta sulla sua casa natale con ampio e commosso concorso della cittadinanza e del momento politico nazionale, regionale e comunale. Anche a questo caduto sono stati conferiti, ai sensi della Legge 92, la Medaglia del Ricordo e l’Attestato a firma del Presidente della Repubblica.

5 Prescindendo dalla tradizionale e antichissima definizione di Aristotele secondo cui l’uomo è animale politico, l’accusa di utilizzare esodo e foibe per ragioni di convenienza e opportunità politica risale sino all’epoca dei fatti, e a ben vedere può essere estesa a tutti i partiti. A tre quarti di secolo dalla tragedia, l’occasione è congrua per auspicare giudizi oggettivi, in ossequio all’insegnamento di Tacito per cui «chi professa fedeltà al vero» deve essere immune da paralogismi o preconcetti di sorta.

6 Sulla tragedia di Vergarolla, avvenuta a 16 mesi da fine guerra, a fronte di responsabilità ormai accertate dell’OZNA, esiste un’ampia bibliografia, per non dire di una sterminata emeroteca, con tante testimonianze di prima mano: se non altro, a conferma che l’eccidio coinvolse soprattutto donne e bambini (l’età media delle 64 vittime che fu possibile identificare è di 26 anni). Fra i testi più documentati ed esaustivi, confronta in particolare: Paolo Radivo, La strage di Vergarolla (18 agosto 1946), a cura del Libero Comune di Pola in Esilio, Edizioni «L’Arena di Pola», Trieste 2015, 648 pagine.

7 I profughi dalla Venezia Giulia vennero assimilati al celebre bandito Salvatore Giuliano, che all’epoca infestava varie zone della Sicilia, anche da Eros de Franceschini, candidato ligure del Fronte Democratico Popolare alle elezioni legislative del 18 aprile 1948 che videro la sconfitta del blocco social-comunista e la vittoria della Democrazia Cristiana. Non meno surreali ma altrettanto autentiche sono le testimonianze di quanti ricordano come certe madri, per tenere buoni i bambini, ricorressero alla minaccia che – in caso contrario – li avrebbero fatti «mangiare da un profugo».

8 In qualche misura, si tratta di un’ignoranza giustificabile, qualora si pensi alle omissioni e agli errori presenti in tanti libri di testo per le scuole. Quello citato non è dissimile dall’affermazione dello storico Gabriele de Rosa (1917-2009) secondo cui l’Italia avrebbe «restituito» alla Jugoslavia le terre acquisite a fronte della Grande Guerra: cosa impossibile, se non altro perché il Regno degli Slavi del Sud, creato a opera dei vincitori e in primo luogo del Presidente Americano Woodrow Wilson, non era mai esistito in precedenza. A onor del vero è da aggiungere che l’ignoranza giovanile non è universale: una buona eccezione è stata proposta anche in TV dal Liceo Ginnasio «Giulio Cesare» di Roma, con particolare riguardo alla ricerca effettuata in modo oggettivo e pertinente da otto maturandi delle terze classi, anche a seguito di apposito viaggio di studio a Trieste.

9 Il 10 Febbraio, data dell’iniquo trattato di pace – poi scelta per la ricorrenza del Ricordo – richiama alla memoria collettiva anche un’altra tragedia avvenuta nello stesso giorno del 1947, che si tende ad accantonare sebbene sia stata diretta conseguenza del «diktat»: quella di Maria Pasquinelli (Firenze 1913-Bergamo 2013) e della sua vittima di Pola, il Generale Robert de Winton, colpito dalla giovane patriota quale estremo nonché unico gesto di protesta nei confronti degli Alleati. Sull’episodio esiste una bibliografia ugualmente ampia, tra le cui accessioni più recenti vanno ricordate le opere di Carla Carloni Mocavero (La donna che uccise il generale, Ibiskos Editrice Risolo, Empoli 2012, 246 pagine), di Stefano Zecchi (Maria: una storia italiana d’altri tempi, Edizioni Vertigo, Roma 2011, 110 pagine) e di Rosanna Turcinovich Giuricin (La giustizia secondo Maria, Del Bianco Editore, Udine 2008, 136 pagine): qui, basti ricordare – in assenza di specifici richiami nella ricorrenza del 2020 – che Maria, dopo la condanna a morte, la commutazione nell’ergastolo e la grazia intervenuta al termine di 17 anni di prigione, ha vissuto fino a diventare centenaria in un’esperienza di fede religiosa e di ritiro spirituale, mentre il Generale De Winton ha trovato l’eterno riposo nel Cimitero Militare Britannico di Adegliacco (Udine) in un sepolcro che si distingue dagli altri, tutti uguali, per la presenza di una piccola croce in marmo bianco fatta installare da Maria.

(aprile 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, esodo giuliano-dalmata, foibe, riduzionismo, negazionismo, ateismo di Stato, collettivismo, Giorno del Ricordo, Legge 30 marzo 2004 numero 92, Abisso di Roditti, Altare della Patria, Maria Elisabetta Alberti Casellati, Giuseppe Conte, Federico d’Incà, Massimiliano Fedriga, Roberto Di Piazza, Giampaolo Crepaldi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Maurizio Gasparri, celebrazioni del Giorno del Ricordo, Alberto Picchiani, Antonio Papagni, Egea Haffner, Anna Maria Mori, Josip Broz detto Tito, Nino Benvenuti, Paolo Mieli, Raoul Pupo, Antonio Santin, Debora Serracchiani, Luigi Zanda, celebrazione del Giorno del Ricordo 2020, Aristotele, Publio Cornelio Tacito, Paolo Radivo, Arnaldo Harzarich, Salvatore Giuliano, Eros de Franceschini, Gabriele de Rosa, Woodrow Wilson, Maria Pasquinelli, Robert de Winton, Carla Carloni Mocavero, Stefano Zecchi, Rosanna Turcinovich Giuricin, celebrazione del Giorno del Ricordo.