Foibe: per un ricordo maturo e consapevole
Riflessioni e auspici a un quindicennio dall’istituzione del Ricordo

Il 30 marzo 2004 venne approvata la legge che istituiva il «Giorno del Ricordo» di Esodo e Foibe: è bene rammentare che venne condivisa, quasi all’unanimità, dal voto favorevole del Parlamento Italiano, pur essendo stata proposta dalle forze di Destra, primo firmatario l’Onorevole Roberto Menia, di famiglia esule dall’Istria. In effetti, alla Camera i voti contrari (espressi dall’estrema Sinistra) furono soltanto 15, mentre al Senato non si ebbero dissensi.

Quella legge è ancora piuttosto giovane, ma è riuscita a promuovere un numero importante di manifestazioni celebrative, tanto più notevoli perché destinate spesso alle scuole, e quindi a tanti giovani ignari, non certo per responsabilità propria: il lungo silenzio sulla grande tragedia istriana, fiumana e dalmata, indotto da ben conosciute ragioni di politica internazionale (non bisognava disturbare la Jugoslavia dei non allineati) e di politica interna (la Sinistra socialista era entrata nell’area governativa spianando la strada anche a quella comunista), era stato davvero assordante, nonostante il grido di dolore degli esuli e dei loro amici, sempre più flebile per la legge inesorabile del tempo.

La conoscenza della storia, tuttora minoritaria, ne ha tratto giovamento, tanto più che ha trovato un buon supporto nel rapido ampliamento della bibliografia specifica. È tempo, quindi, che la fase delle celebrazioni e dell’informazione di base vada a maturare nell’ambito di una consapevolezza critica più ampia e motivata, in una prospettiva strategica capace di conferire nuove opportunità alle permanenti speranze del mondo esule (pur se spesso inespresse) e di quanti continuano a condividerne la collocazione etica, ben prima che politica.

Diverse iniziative realizzate nel quindicennio di vigenza della legge sono state utili e illuminanti anche in questo senso. A parte le doverose attenzioni per gli alti richiami dei Presidenti della Repubblica Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella sull’Esodo e sulle Foibe, con riguardo prioritario a quelli rispettivi del 2007 e del 2019, e a parte gli interventi istituzionali che si sono avuti nelle Regioni e nei Comuni, a conferma di uno spirito tendenzialmente unitario e dell’isolamento di ogni pervicace sortita negazionista, vale la pena di mettere a fuoco, a titolo esemplificativo, talune analisi di diversa ampiezza, estese alla proposta di celebrazioni meno formali, non senza talune ragguardevoli originalità.

A più riprese, Marcello Veneziani ha affermato che il «Giorno del Ricordo» deve costituire l’occasione per acquisire una coscienza nazionale meno episodica, nel quadro di un efficace approfondimento storico, e mettendo in secondo piano la componente dell’orrore, che potrebbe diventare un deterrente negativo, in specie nei confronti di tanti giovani dall’animo piuttosto «delicato»: input certamente da condividere nell’assunto principale ma poco realistico nel corollario. In certi casi, come attestano altre tragiche realtà tra cui quelle dell’Olocausto ebraico, del genocidio armeno o di quello perpetrato dai Khmer rossi in Cambogia, l’orrore è parte essenziale della storia e non può essere ragionevolmente rimosso se non in taluni dettagli agghiaccianti, affidati all’attenzione degli addetti ai lavori.

Una tesi in apparenza ardita ma senz’altro accettabile è quella di Pietro Cappellari, secondo cui bisogna archiviare la stagione del «piangersi addosso» (pur comprensibilmente ineliminabile nell’anima degli esuli di prima generazione) e programmare un avvenire più maturo, se non altro in senso progettuale: non tanto nelle rivendicazioni contingenti, come quelle dei beni da restituire o da indennizzare, ma nell’evoluzione del «Giorno del Ricordo» sino a trasformarlo, in prospettiva, nel «Giorno del Ritorno». Si tratta di un obiettivo assai alto ma eticamente non utopistico, che nello spirito primigenio dell’Unione Europea dovrebbe essere perseguibile in modo condiviso, con forti valenze sul piano della cooperazione economica e di quella culturale, a iniziare dalla storiografia. Naturalmente, ciò significa assimilare il principio secondo cui la Casa comune implica un affievolimento programmato delle singole sovranità statuali, cosa piuttosto scontata in Italia; assai meno, allo stato delle cose, in Croazia e Slovenia (e non solo).

Altri, come il compianto patriota istriano Italo Gabrielli, hanno sostenuto che il «Giorno del Ricordo» altro non sarebbe se non una pietra tombale, più pesante e inamovibile delle precedenti, che il potere politico avrebbe posto sulle attese degli esuli giuliani e dalmati e su quelle dei loro eredi: ipotesi suggestiva, che probabilmente sopravvaluta le stesse intenzioni della «casta» perché la legge istitutiva è soltanto uno strumento giuridico, o se si preferisce, un contenitore che poi sarebbe stato compito precipuo delle Organizzazioni esuli «riempire» con iniziative opportune. Invece, bisogna ammettere che le divisioni vecchie e nuove impediscono la predisposizione di un programma sia pure minimo: il solo motivo condiviso e ricorrente parrebbe essere l’invito a fare in modo che una tragedia come quella delle Foibe «non abbia più a ripetersi». Ci mancherebbe altro, e ci mancherebbe che siano sufficienti le varie corone poste sui monumenti ai Caduti, strumento di tradizionale «pietas» ma non altro, per scongiurare siffatta eventualità!

Si diceva della scarsa sensibilità altrui per una riconciliazione internazionale che in realtà è già avvenuta da parecchio tempo: per lo meno, da quando il Santo Padre Giovanni Paolo II vi fece riferimento dalla Cattedra più alta del mondo nel corso di una non dimenticata udienza agli esuli (27 ottobre 1985). Invece, chi volesse la dimostrazione di un certo tipo di ostracismo da parte ex Jugoslavia si potrebbe documentare su quanto accadde nel 2010 a Firenze, dove Boris Pahor, fedele alla «vulgata» secondo cui le Foibe sarebbero state una «vendetta» per i «crimini» fascisti a danno degli Slavi, si spinse al punto di offendere il Presidente Napolitano, non tanto accusandolo di connivenza con le tesi degli esuli, quanto gratificandolo con la definizione di razzista: un bel biglietto da visita per chi, come il noto intellettuale sloveno, aspirava al Premio Nobel (ed era già stato insignito della Legion d’Onore).

Gli ostacoli sulla strada della riconciliazione condivisa, e non solo di quella diplomatica, sono stati confermati da quanto accadde al Sacrario Nazionale di Basovizza (Trieste) quando i soliti ignoti deturparono vilmente il monumento e danneggiarono le strutture esterne del contiguo Museo: comportamento che non ha bisogno di commenti, impliciti nella sua inciviltà. È come se i Caduti delle Foibe fossero stati uccisi una seconda volta, nella fallace e immorale supposizione che le idee non possano risorgere dai patiboli, più feconde di prima (come stava scritto nell’occhiello della «Vedetta d’Italia» rifondata dai patrioti fiumani all’indomani dell’esilio): eppure, quel fatto esecrabile non è rimasto isolato, essendosi ripetuto con forte visibilità in altre città italiane fra cui Venezia, Torino, Firenze e Livorno, a dimostrazione di un disegno tanto perverso quanto pervicace.

A suo tempo, il Governo Croato, nell’intento di promuovere una collaborazione costruttiva sul piano dei rapporti internazionali, e prima ancora nell’ambito di quelli interni, dispose che venisse effettuato un censimento delle Foibe e degli altri luoghi teatro dei delitti dell’Armata Popolare jugoslava e dell’OZNA nei confronti degli Italiani e delle varie dissidenze locali, impegnandosi a effettuare le ricerche del caso, sia pure dopo due terzi di secolo, e compatibilmente con le prevedibili difficoltà operative: ciò, in modo da poter dare sepoltura ufficiale alle Vittime e da consentire ai loro eredi di deporvi un fiore. L’iniziativa era quasi pleonastica, dato che una prima mappatura delle Foibe risultava disponibile sin dal dopoguerra, ma venne sostanzialmente insabbiata, onde non disturbare le vecchie nomenclature sempre pronte a nuovi osanna per il defunto sistema comunista.

Da questi fatti, e dalle interpretazioni di cui si è detto, è lecito dedurre che la strada da fare è ancora lunga. A 15 anni dalla Legge istitutiva del Ricordo si deve certamente condividere l’esigenza di evitare ogni anacronistico «piagnisteo» e soprattutto quella di avviare la realizzazione di un progetto etico e politico degno di questo nome, nel quadro di una redenzione prioritaria delle coscienze che presume l’obbligo di esorcizzare preventivamente il falso e l’iniquo: non è attraverso la menzogna, oltre tutto consapevole e a più forte ragione perversa, che si costruisce una memoria storica oggettiva.

(settembre 2019)

Tag: Laura Brussi, Foibe, esodo, Giorno del Ricordo, Roberto Menia, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella, Marcello Veneziani, Pietro Cappellari, Italo Gabrielli, Organizzazioni esuli, Papa Giovanni Paolo II, Boris Pahor, Premio Nobel, Legion d’Onore, Sacrario Nazionale di Basovizza, Vedetta d’Italia, Armata Popolare Jugoslava, OZNA, crimini jugoslavi.