Il negazionismo… negato
Da Via Rasella alle foibe: spunti di riflessione sulla nuova ipotesi di reato

La vicenda di Erich Priebke, per molti aspetti surreale, ha fatto tornare alla ribalta, settant’anni dopo i fatti, la fosca tragedia di Via Rasella e delle Fosse Ardeatine, mettendo in evidenza come nell’Italia contemporanea, più di quanto accada altrove, alcuni nervi siano sempre scoperti. L’occasione è stata utile per scatenare manifestazioni di piazza a tempo scaduto, tanto più opinabili perché Roma, già tollerante con Priebke da vivo quando usciva dagli arresti domiciliari per andare a Messa, non lo è stata da morto, con chiare valenze strumentali. Ancora di più, l’occasione è parsa congrua per proporre, davvero in tempo reale, l’istituzione di un nuovo reato da perseguire penalmente: quello di negazionismo, con riguardo prioritario all’Olocausto.

A questo riguardo, prescindendo dalle puntuali dispute politiche sorte in Parlamento sulla possibilità di legiferare in Commissione deliberante piuttosto che in Aula, vale la pena di sottolineare che il predetto reato, qualora tradotto in una conseguente ottica penale, verrebbe a costituire un «vulnus» costituzionalmente rilevante perché contrario alla libertà di pensiero proclamata nella Carta fondamentale della Repubblica, garantita a chiunque e ribadita più tardi nella legge per la depenalizzazione delle offese ai Capi di Stato, dell’oltraggio alla bandiera nazionale e persino dell’alto tradimento.

Non serve obiettare che in altri Stati Europei, a cominciare dalla Germania e dall’Austria, il reato di negazionismo dell’Olocausto è già stato codificato, con tanto di condanne alla reclusione pronunciate a carico dei responsabili: se è vero che l’Italia, sin dai tempi di Cesare Beccaria, è la patria del diritto e di ogni forma di garantismo, è anche vero che certi paralogismi aberranti dovrebbero essere lasciati al giudizio sovrano delle coscienze, piuttosto che dei tribunali, già oberati da tante leggi e da tante cause. Anzi, proprio a quelle aberrazioni, e se del caso alla loro dettagliata descrizione, deve essere riconosciuto un paradossale compito di deterrente, in modo che la pubblica opinione ne prenda più matura e tranquilla coscienza, ed infine, ne tragga più cosciente rifiuto.

L’iniziativa di istituire il nuovo reato è stata prontamente condivisa da parte di coloro che vi hanno ravvisato uno strumento utile a condannare, assieme a quella dell’Olocausto, ogni altra ipotesi di simile negazionismo, relativa ai tanti genocidi che si sono susseguiti nella storia moderna e contemporanea: solo per fare qualche esempio, si pensi agli Indiani d’America, agli Aborigeni dell’Australia, allo sterminio di massa praticato in Cina od in Cambogia da parte delle Guardie rosse, a quello degli Armeni, ed in Italia, al grande Esodo giuliano e dalmata, con annessa pulizia etnica nelle foibe.

Intendiamoci: chiunque abbia un minimo di formazione civile non ha alcun dubbio sul fatto che ciascuno di questi genocidi, al pari di tutti gli altri, sia da condannare in termini definitivi e senza riserve, non essendovi ragione al mondo che possa darne una motivazione accettabile. Tuttavia, quella stessa sensibilità dovrebbe costituire un buon motivo per conferire alla protesta un contenuto nobilmente etico, senza bisogno di estenderla in sede giudiziaria e di creare nuovi falsi martiri nei responsabili del «delitto» di negazionismo, tanto più che in Italia, come tutti sanno, esiste un grave problema di superaffollamento delle carceri, in guisa da suggerire a Governi di varia estrazione l’impopolare e ricorrente misura dell’amnistia.

Caso mai, si dovrebbe agire nell’ambito giovanile, a cominciare dalle scuole, per informare presto e bene sul dramma universale del genocidio, senza limitare la «lezione» alla tragica vicenda dell’Olocausto, come generalmente accade. Non è un mistero che nei libri di testo quella delle foibe non abbia mai avuto una reale ed efficace disamina, ma per restare agli esempi già fatti, considerazioni analoghe valgono per la pulizia etnica a danno degli Indiani, degli Aborigeni e degli Armeni, o per quella dei tanti «gulag» sovietici ed asiatici.

A proposito delle foibe, c’è un altro pericolo facilmente ipotizzabile alla luce delle vulgate prevalenti: quello di un declassamento del reato, indotto dal cosiddetto giustificazionismo, che del resto è di gran lunga più diffuso rispetto al semplice negazionismo, difficilmente sostenibile (anche se qualcuno continua a perseverare nel pervicace tentativo) alla luce di tante testimonianze e di fin troppe prove. Proprio per questo, urge la massima attenzione, non già perché si debba promuovere ad ogni costo l’istituzione del reato, quanto perché non si vogliano usare moduli diversi di giudizio, come è accaduto da settant’anni a questa parte, escludendo dalle possibili sanzioni la negazione, e naturalmente, la giustificazione dei genocidi politicamente più scomodi.

Nel caso delle foibe, come in quello degli altri genocidi di cui si diceva, non esistono giustificazionismi di sorta, ed a più forte motivo, negazionismi accettabili: ammesso e non concesso che i massacri compiuti in Venezia Giulia e Dalmazia dai partigiani di Tito abbiano assunto i caratteri di una vendetta quanto meno efferata a fronte della precedente occupazione cui le forze dell’Asse erano state costrette dal colpo di Stato del 1941 e dal conseguente cambiamento di campo da parte jugoslava, sia l’ordine civile che lo stesso diritto internazionale di guerra non possono accettare ritorsioni qualificabili alla stregua di autentici delitti contro l’umanità, ed anzi, le condannano senza riserve.

Tornando alla «riscoperta» di Via Rasella nella plumbea stagione del 1944, è doveroso ricordare che le sue vittime, tra le quali alcuni civili come un bambino di dieci anni più innocente di tutti ed un partigiano di fede alternativa (di cui nessuno parla giammai), sono state oggetto di un’opera negazionista non meno antistorica a cura della vulgata, nel tentativo di qualificare come azione bellica la proditoria strage di trentatre anziani militi alto-atesini, per giunta disarmati, che avrebbe innescato la tragica rappresaglia tedesca; e nell’intento, ben riuscito, di accreditare come «eroi» i mandanti e gli autori dell’eccidio, tanto da elevarli al rango ed all’onore di Parlamentari. Ecco un ulteriore esempio di negazionismo da esorcizzare, onde ricondurre l’uomo della strada, ma prima ancora, gli storici e gli addetti ai lavori, ad una conoscenza oggettiva di quanto effettivamente accadde.

La verità non si può e non si deve imporre per decreto, pena la credibilità di un sistema basato sui valori e non sulla coercizione. Cristo non giudicava in base agli articoli del codice penale, ma alla luce delle «alte non scritte ed inconcusse leggi» che vivono nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà.

(aprile 2014)

Tag: Carlo Cesare Montani, Italia, negazionismo, Via Rasella, foibe, Erich Priebke, Fosse Ardeatine, Olocausto, genocidio, giustificazionismo, Tito.