Ricordo di Esodo e Foibe
A proposito di una ritualità ripetitiva

Ogni anno, in occasione del 10 febbraio, il grande Esodo dei 350.000 Giuliani, Istriani e Dalmati, ed il Martirio dei 20.000 Infoibati o diversamente massacrati dai partigiani di Tito, costituiscono l’oggetto di molte iniziative aventi lo scopo di ricordare, alla stregua di quanto statuito nella Legge 30 marzo 2004 numero 92. In effetti, quella grande tragedia storica fu dimenticata volutamente per parecchi decenni, determinando anche a livello istituzionale e politico un tardivo senso di colpa esorcizzato almeno sul piano formale dalla maggioranza plebiscitaria con cui la Camera ed il Senato si compiacquero di approvare quel provvedimento.

Nondimeno, con lo scorrere del tempo le iniziative del «Ricordo» sono diventate generalmente rituali, senza dire che l’osservanza delle norme codificate nella Legge 92 rimane largamente discrezionale, perché prive di adeguate sanzioni nel caso di inosservanza, purtroppo assai frequente, in specie per quanto riguarda la commemorazione nelle scuole, dove la conclamata libertà d’insegnamento non dovrebbe coartare il diritto all’educazione ed all’informazione, come accade puntualmente, invece, anche per Esodo e Foibe. In effetti, non è infondato eccepire quanto sia opinabile «ricordare» in un solo giorno dell’anno, sia pure significativo (il 10 febbraio è l’anniversario del «diktat» con cui l’Italia venne costretta a cedere alla Jugoslavia gran parte della Venezia Giulia e tutta la Dalmazia) mentre negli altri 364 è consentito dimenticare impunemente.

Come si evidenzia nel Grande Vocabolario Treccani, la semantica «ricordo» sta a significare «il fatto di avere ancora in mente immagini, nozioni, persone, avvenimenti»: cosa che può naturalmente sbiadire fino ad essere cancellata. Diverso è, secondo la medesima fonte, il caso della «memoria», da intendersi quale «capacità della mente di ritenere traccia di informazioni relative ad eventi, immagini, sensazioni, idee» e prima ancora, «di rievocarle quando lo stimolo originario sia cessato».

In altri termini, il ricordo ha carattere fisiologico, mentre la memoria sottintende una componente volitiva. In questo senso, non è casuale che le rispettive leggi istitutive abbiano parlato di «Giornata della Memoria» nel caso della Shoah, e di «Giorno del Ricordo» in quello di Esodo, Foibe e «complesse vicende del Confine Orientale». Ciò significa, secondo logica, che il ricordo, per sua stessa natura, è destinato ad impallidire, ed infine a scomparire, mentre la memoria può sopravvivere, come avrebbe detto Croce, grazie all’impegno di una «volontà che veramente vuole». Del resto, un’altra fonte inoppugnabile quale la Grande Enciclopedia Italiana conferma come il ricordo possieda «accezioni più limitate rispetto alla memoria», che diversamente dal primo «indica la funzione psichica», ovvero la facoltà, la capacità, e quindi la forza di ricordare.

Le grandi tragedie storiche, e quelle che continuano ad insanguinare un mondo sempre più piccolo ma inguaribilmente crudele, come attestano le cronache quotidiane, non debbono essere dimenticate, ma per Esodo e Foibe non si può dire che esista un impegno generale condiviso da tutti, ad onta della sostanziale unanimità con cui la Legge 92 venne approvata (a Montecitorio i voti contrari furono soltanto 15). Anzi, negli ultimi tempi si è giunti ad auspicare addirittura un «Giorno della vergogna» con pretestuoso riferimento alle presunte responsabilità italiane in Jugoslavia, obiettivamente infondate (durante il Ventennio l’Istria visse una stagione di sviluppo senza precedenti); ciò, senza dire che, secondo qualche solone del mondo esule, soltanto nella «maggioranza» dei casi le Vittime della pulizia etnica sarebbero state «incolpevoli», donde una surreale legittimità di sevizie, torture ed uccisioni nei confronti di una «minoranza» indefinita non esente da colpe e da misfatti tanto gravi da essere punibili con la foiba!

Sta di fatto che la ritualità dei ricordi è destinata ad appannarsi ulteriormente, da un lato perché le menti non sono corroborate dall’impegno volitivo, e dall’altro perché manca una visione unitaria della realtà storica: ne consegue che, diversamente dalla Shoah, per Esodo e Foibe quello del Ricordo resta un esercizio dialettico incapace di porre le basi di un autentico Riscatto, e se si vuole, di un Risveglio delle coscienze da troppo tempo vanamente atteso. Nella migliore delle ipotesi, si indulge all’auspicio del perdono generalizzato ed indiscriminato, ignorando che proprio un protagonista israelita di prima grandezza come Ben Gurion aveva sottolineato che soltanto i morti hanno il diritto di perdonare, mentre i vivi hanno il dovere di non dimenticare.

Non è facile conferire al Ricordo una dimensione etica che prescinda dalla ritualità e ponga le basi di un effettivo impegno per la verità e la giustizia, quando il negazionismo continua a trovare spazi crescenti per le proprie provocazioni, senza contare un giustificazionismo condiviso in modi più o meno accentuati dalle varie vulgate, comprese quelle di una storiografia inguaribilmente targata. Tuttavia, non sarebbe impossibile conferire alle stesse iniziative rituali una cornice meno effimera e più funzionale sul piano organizzativo: basti dire che le attenzioni riservate ai congiunti delle Vittime nelle cerimonie di commemorazione, compresa quella nazionale che si svolge a Roma ogni 10 febbraio[1], sono diventate marginali, a vantaggio della solita passerella ad uso del momento politico ed associativo.

In primo luogo, serve ripristinare la verità storica. Per fare un solo esempio significativo, sia sufficiente rammentare che, in esecuzione del trattato di pace, nel 1947 la Jugoslavia chiese all’Italia la consegna di oltre 700 criminali di guerra o presunti tali, mentre altri stati vincitori, quali Gran Bretagna, Stati Uniti, Albania ed Etiopia ne chiesero un numero minimo, da potersi contare sulle dita delle mani: ebbene, è mai possibile che tutti i criminali si fossero concentrati sul fronte jugoslavo? A prescindere dal fatto che i vincitori hanno sempre ragione e scrivono la storia a loro uso e consumo, inventando crimini altrui ed ignorando i propri, la semplice differenza quantitativa tra quelle cifre dovrebbe far pensare, e promuovere approfondimenti meno approssimativi, se non altro sull’obiettività di Tito e dei suoi corifei.

Non si deve trascurare, poi, che la stessa Legge 92 non si limita a proporre il Ricordo di Esodo e Foibe, cui si aggiunge, come si diceva, quello di tutte le vicende del Confine Orientale, nel cui ambito la storia ha fatto registrare eventi non meno gravi ed offensivi. Fra i tanti, basti pensare al martirio degli Eroi irredenti, alla disposizione con cui il Governo Scelba aveva stabilito di rilevare le impronte digitali dei profughi (poi rientrata per l’energica protesta del Vescovo di Trieste, Monsignor Antonio Santin) e, soprattutto, all’alto tradimento perpetrato nel 1975 ad Osimo, quando, senza qualsivoglia contropartita, venne ceduta la sovranità sulla Zona «B» del mai costituito Territorio Libero di Trieste. Si tratta di momenti essenziali nella recente storia giuliana e dalmata, ma sostanzialmente accantonati persino nel Ricordo, quasi fossero nervi scoperti da non toccare.

Come è stato opportunamente auspicato, sarebbe il caso che l’Italia si faccia promotrice di una politica estera degna di tal nome, annullando la tradizionale vocazione a «fare molto bene gli interessi degli altri»[2]. In caso contrario, le celebrazioni del Ricordo – con tutto il rispetto per le Vittime troppo spesso offese e strumentalizzate – correranno il rischio di avvitarsi in ripetizioni stereotipe, analoghe a quelle che in tanti casi contraddistinguono anche le cerimonie in onore dei Caduti del Risorgimento o della Grande Guerra. È tempo, invece, di onorare senza «se» e senza «ma» tutti coloro che hanno dato la vita per la Patria, ripudiando una volta per sempre ulteriori discriminazioni politicamente ingiustificabili quanto eticamente inique.


Note

1 Nei primi dodici anni di operatività della Legge 92, i conferimenti delle Medaglie e degli Attestati in onore dei Caduti infoibati, fucilati od altrimenti massacrati da parte jugoslava (1943-1950), come è stato chiarito dai competenti Uffici della Presidenza del Consiglio, sono stati soltanto 1.095, a fronte di potenziali aventi causa in un numero superiore di almeno venti volte. Da un lato, ciò suffraga l’avvenuta proroga della parte relativa alla concessione delle onorificenze fino al 2024, ma dall’altro sottolinea la permanenza di una disinformazione attribuibile alle distrazioni della volontà politica, e nello stesso tempo, a quelle del mondo esule.

2 La tesi, motivata da una lunga serie di esempi altamente significativi e sostanzialmente condivisa da parecchia storiografia, si deve all’Ambasciatore (A. R.) Gianfranco Giorgolo, Esule da Veglia, e venne proposta durante la presentazione in Senato dell’opera di Italo Gabrielli (Istria Fiume Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, Udine 2011).

(marzo 2017)

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