Storia negata
Reggio Emilia sospende l’intitolazione di un luogo pubblico in ricordo di Norma Cossetto martire delle foibe ma conserva quella per il Maresciallo Tito infoibatore e assassino

Correva la primavera del 2018 quando Don Eugenio Morlini, un sacerdote reggiano che interpretava la storia alla luce di una naturale sensibilità cristiana, espresse un parere sostanzialmente scontato avallando la richiesta di perdono formulata cinque anni prima a opera di Meris Corghi, figlia di un partigiano che negli anni tempestosi della guerra civile aveva ucciso «in odium fidei» il seminarista Rolando Rivi[1]: la richiesta esprimeva una conclusione logica e moralmente inoppugnabile, se non altro per coerenza con la vocazione e con l’abito di Don Eugenio. Era presumibile che fossero tutti d’accordo ma non fu così: il solerte Istituto Reggiano per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea, tramite il Dottor Massimo Storchi, dirigente del suo archivio, fece sapere che «la riconciliazione è un atto privato che non c’entra con la storia» e che nei commenti alle vicende degli anni Quaranta «non c’è più animosità, salvo quando parliamo con i fascisti». Di qui, secondo lui, la sostanziale impossibilità di elevare a ruolo «pubblico» un perdono che «riguarda solo la morale e la metafisica».

Il carattere opinabile dell’assunto è di tutta evidenza. La riconciliazione, vera o presunta che sia, è un atto pubblico ancor prima che privato, come ha dimostrato, fra tanti episodi, il «pellegrinaggio» a Basovizza compiuto nel luglio 2020 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal suo omologo di Lubiana Borut Pahor per rendere omaggio congiunto a caduti dell’una e dell’altra sponda, sebbene i quattro Sloveni fucilati nel 1930 fossero rei confessi di attentati terroristici causa di vittime civili e di gravi danni. Ciò, senza dire che il perdono appartiene alla sfera etica espressa dalla legge morale sin dai tempi mitici di Antigone (lasciando stare la sua commistione con la metafisica che adombra un errore di natura filosofica, politicamente e culturalmente inaccettabile). Quanto all’animosità dei fascisti, anch’essa vera o presunta che sia, resta da vedere in qual misura sia causa, e in qual misura effetto: cosa che nella fattispecie non dovrebbe essere ardua, perché il Dottor Storchi è storico capace di essere oggettivo, avendo scritto senza remore – e distinguendosi da talune «vulgate» spesso prevalenti – che «la Resistenza non fu fenomeno di massa»[2].

La premessa era necessaria per mettere a fuoco la figura del medesimo Storchi, assurto alla ribalta non soltanto emiliana per avere indotto la Commissione Toponomastica del Comune di Reggio, di cui egli fa parte in rappresentanza dell’IRECO, a porre in lista d’attesa la delibera di intitolare un luogo pubblico alla memoria di Norma Cossetto sulla falsariga di quanto hanno già fatto 72 Amministrazioni Comunali, senza contare le 850 italiane (e quelle estere di Austria, Australia, Canada, Croazia e Sudafrica) che hanno adottato analogo provvedimento a carattere generale per le 20.000 vittime infoibate o diversamente massacrate dai partigiani di Tito e per i 350.000 esuli dispersi nel mondo[3].

La Commissione di cinque membri[4], esaminando la precedente iniziativa comunale, cui aveva fatto seguito l’approvazione della proposta (evidentemente condivisa) di ricordare Norma nella toponomastica cittadina, ha sorprendentemente disposto per nuovi accertamenti accogliendo le pregiudiziali di Storchi, riassumibili nel fatto che sulla tragedia della martire istriana esisterebbero solo fonti verbali; che la famiglia era fascista; e che il padre, appartenente alla Milizia, sarebbe morto combattendo contro i partigiani.

C’è di più: non potendo negare che la stessa Norma fu insignita di Medaglia d’Oro dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (2006) per il nobile comportamento assunto davanti ai suoi stupratori e massacratori, la Commissione ha deciso di chiedere chiarimenti al Quirinale nell’ipotesi, oggettivamente offensiva, che l’istruttoria non sia stata sufficientemente «approfondita». Peccato che, a completamento di scrupoli tanto solerti, la richiesta non sia stata inviata anche all’Università di Padova per la laurea «honoris causa» a suo tempo conferita alla memoria di Norma[5].
Medaglia d'Oro in onore di Norma

Medaglia d'Oro in onore di Norma conferita alla sorella Licia dal Presidente Ciampi (2006)

Norma Cossetto

Foto di Norma Cossetto

Le motivazioni della sospensione sono oggettivamente allucinanti: la prima, secondo cui la tragedia della compianta vittima avrebbe riferimenti nella sola tradizione orale, è contraddetta in primo luogo dal buon senso. Non è forse vero che le spoglie mortali della sventurata studentessa istriana furono recuperate dalla squadra dei Vigili del Fuoco di Pola comandata dall’eroico Maresciallo Arnaldo Harzarich, con tanto di verbali e di dettagli angosciosi su cui la «pietas» invita a stendere un velo di commosso silenzio, e già pubblicati dallo storico Guido Rumici[6]? Quelle spoglie non sono forse una prova? Non è forse vero che la storiografia e le testimonianze, fra cui quelle degli ultimi allievi in vita[7], sono state prodighe di testi esaustivi sulla tragedia di Norma, fino a ricostruirne il dramma in ogni dettaglio? Si vuole forse insinuare che la Medaglia d’Oro conferita «motu proprio» dal Presidente Ciampi non abbia avuto il supporto di un’indagine propedeutica che è prassi normalmente dovuta?

Quanto all’affermazione secondo cui Giuseppe Cossetto, padre di Norma, sarebbe caduto combattendo a fianco dei Tedeschi e dei fascisti, si tratta di un vero e proprio falso: in realtà, essendo stato informato della scomparsa di sua figlia, si era affrettato a rientrare in Istria da Trieste, per porsi alla ricerca di ogni traccia utile, assieme al cugino Mario Bellini. Ebbene, ebbero la disgrazia di incrociare una squadra partigiana: entrambi furono catturati e passati per le armi, e a loro volta gettati in foiba. Certo, Giuseppe era fascista (come buona parte degli Italiani) e apparteneva a una famiglia altolocata e benestante, ma si distingueva per l’atteggiamento collaborativo nei confronti di chiunque, se non anche per l’opera di benefattore, sia a vantaggio dei concittadini italiani, sia in favore della minoranza croata.

Un’ultima considerazione riguarda i dubbi che possono essere avanzati sulla reale idoneità giuridica della Commissione Toponomastica a entrare nel merito della questione, di competenza degli Organi volitivi del Comune che avevano già deliberato[8], laddove il parere della Commissione in parola è richiesto funzionalmente ai soli fini delle valutazioni circa la collocazione, in funzione della disponibilità effettiva dei luoghi, o l’eventuale opportunità di «rinomina» sia pure parziale di altri già in essere, ma allo stato delle cose si tratta di un argomento secondario: la questione, prima di essere rilevante in linea di diritto, ha finito per diventare soprattutto etica e politica. A quest’ultimo proposito, è bene rammentare agli ignari che sin dal 2007 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, celebrando il «Giorno del Ricordo» (10 febbraio) aveva posto chiaramente in luce come quello perpetrato a danno del popolo giuliano, istriano e dalmata fosse stato un delitto contro l’umanità; e che il suo successore Sergio Mattarella ha confermato l’affermazione nella ricorrenza del 2019.

Nondimeno, la storia del confine orientale si sta rivelando ancor più «complessa» di quanto effettivamente sia, a causa di un negazionismo strisciante davvero degno di miglior causa. Sul piano morale l’Olocausto di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia non è certo inferiore a quello di tanti altri popoli, se non altro per essersi distinto nell’alta visione cristiana della sua lunga tragedia.


Note

1 L’uccisione di Rolando Rivi fu «uno dei crimini più odiosi» compiuti dalla Resistenza Reggiana. Il giovane seminarista aveva 14 anni appena compiuti, essendo nato a Castellarano il 7 gennaio 1931, e aveva vestito l’abito, come da consuetudine dell’epoca, sin dal 1942 quando aveva scelto di farsi Servo di Dio. Nei tempi plumbei della guerra civile i partigiani non portarono rispetto alla giovane età né all’abito talare: lo sequestrarono il 10 aprile 1945, lo sottoposero a tre giorni di torture inaudite, lo costrinsero a scavarsi la fossa e lo finirono a colpi di pistola il giorno 13; al morituro fu concesso solo di recitare una preghiera. A quasi 70 anni dai fatti la Beatitudine del caduto è stata solennemente proclamata da Papa Francesco (5 ottobre 2013). In tale data il Vescovo di Reggio Emilia, Monsignor Massimo Camisasca, ha definito tutta la vicenda di Rolando come un vero e proprio «miracolo»: non ha avuto torto, perché nell’occasione la figlia di Giuseppe Corghi, responsabile dell’assassinio assieme a un altro partigiano nella persona di Delciso Rioli, chiese e ottenne il perdono di Rosanna Rivi, sorella del caduto, e quello di altri congiunti, suggellato da un abbraccio. Gli autori del delitto erano stati processati a suo tempo e condannati a 23 anni di reclusione, 17 dei quali condonati per sopraggiunta amnistia.

2 Confronta Massimo Storchi, Antifascismo: il fragile fiore, Reggio Emilia, 29 ottobre 2018. L’assunto di tale articolo pubblicato sulla stampa locale non si riferisce alla sola tradizionale dicotomia tra Italia Centro-Settentrionale e Mezzogiorno, ma anche al Nord, con le brave eccezioni, in particolare, di Parma e della stessa Reggio. L’Autore ha dedicato diversi saggi sulla storia della Resistenza: l’ultimo della serie (Massimo Storchi, Anche contro donne e bambini: stragi naziste e fasciste nella terra dei Cervi, Edizioni Imprimatur, Reggio Emilia 2016) propone una singolare coincidenza con la vicenda delle foibe, dove molte vittime, come da puntuali ricostruzioni storiografiche, furono proprio donne e minori (al riguardo, confronta Giuseppina Mellace, Una grande tragedia dimenticata: la vera storia delle foibe, Newton Compton Editori, Roma 2015: il volume consente di valutare l’alta incidenza di dette vittime, e contiene l’elenco – sia pure incompleto – delle centinaia di donne infoibate o altrimenti massacrate, pagine 239-261). E non è male precisare che la strage dei Cervi fu analoga a quella dei sette fratelli Govoni uccisi dai partigiani ma condannati all’oblio perché appartenenti alla «parte sbagliata».

3 L’occasione è congrua per rammentare che Reggio Emilia, assieme a Parma e Nuoro (oltre ad altri otto Comuni) è il solo capoluogo di provincia ad avere intitolato un luogo pubblico a Tito, che a suo tempo fu riconosciuto «infoibatore ed assassino» dalla giustizia italiana quando il Tribunale di Roma assolse con formula piena (1961) il Direttore di «Difesa Adriatica» Silvano Drago dall’accusa di averlo definito tale: era la verità! Quanto a Reggio, resta la prima della classe, come si deduce dall’analogo omaggio toponomastico in onore del compagno Lenin, tuttora perenne visto che nessuno ne propone la rimozione. Ebbene, in Croazia, in Slovenia e negli altri Stati ex Jugoslavi analoghe intitolazioni sono generalmente scomparse, mentre in Italia resistono tuttora, certo non a caso. Sono considerazioni oggettive che intendono porre in evidenza l’opportunità che il Comune Italiano dove la Bandiera Tricolore ebbe il glorioso battesimo voglia considerare in un’ottica altrettanto obiettiva una «realtà effettuale» ormai consolidata come la storia di esodo e foibe, e le «complesse vicende del confine orientale» (Legge 30 marzo 2004 numero 92). E quindi, voglia onorare il martirio di Norma Cossetto, che è diventata il simbolo della tragedia di un intero popolo per il nobile comportamento assunto nei confronti degli assassini, rifiutando la vile profferta di passare dalla loro parte.
Del resto, oltre ai 72 Comuni che hanno reso esecutive analoghe delibere, sono circa 50 quelli in cui sono state avanzate proposte «ad hoc»: in genere, per commendevole iniziativa propria condivisa da maggioranza e minoranza, anche se talune Organizzazioni del mondo esule si sono attribuite a posteriori il merito di tali iniziative.

4 La sospensiva è stata approvata il 27 ottobre 2020 da Chiara Piacentini, Delegata del Sindaco, dall’Assessore alla Toponomastica Lanfranco De Franco, da Giuseppe Adriano Rossi in rappresentanza della Deputazione di Storia Patria, da Marco Bertani nella veste di Dirigente del Comune, e dallo stesso Storchi, in qualità di Direttore del Polo Archivistico. In tempi successivi, l’Assessore, a fronte dei dissensi esplosi a livello nazionale non appena la notizia si è diffusa, ha affermato che la Commissione non ha voluto esprimere un giudizio revisionista, limitandosi a sottolineare l’esigenza di un approfondimento: ecco un interessante paralogismo, idoneo a far conoscere agli ignari un concetto assolutamente nuovo di logica formale.

5 L’Università Patavina conferì la laurea postuma a Norma Cossetto nel 1949 (a fronte della tesi in Geografia dell’Istria già predisposta prima della tragica scomparsa, con il Professor Arrigo Lorenzi in qualità di relatore) per iniziativa del Rettore Professor Aldo Ferrabino e del celebre latinista Professor Concetto Marchesi, comunista di provata fede e parlamentare della Repubblica, ma onestamente obiettivo. L’Ateneo Veneto, inoltre, ha ricordato Norma fra gli studenti caduti per la libertà nella grande lapide dell’atrio, e in tempi successivi, nel cartiglio personalizzato che ha trovato visibile collocazione nel cortile del Bo assieme ad altri memoriali.

6 Confronta Guido Rumici, Infoibati: i nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Gruppo Editoriale Mursia, Milano 2002, 498 pagine (con ampia bibliografia). Il verbale dei recuperi dalla foiba di Villa Surani è reperibile alle pagine 431 e seguenti. Il volume contiene anche i documenti circa le altre foibe che furono oggetto delle prospezioni e dei recuperi da parte della squadra di Arnaldo Harzarich.

7 Norma, ormai laureanda, aveva ottenuto una supplenza annuale di lettere nella scuola media di Parenzo: ne sono rimaste testimonianze degli allievi fra cui quella di Ottavio Sicconi, oggi novantenne e titolare di una libreria a Latina, sempre attento e solerte nel ricordare le doti umane e professionali della sua giovane insegnante fino al commiato del giugno 1943: appena tre mesi prima della cattura di Norma a opera partigiana (immediatamente successiva al disastro dell’8 settembre) e del calvario concluso nella foiba. Una ricostruzione esauriente è quella di Frediano Sessi, Foibe rosse: Vita di Norma Cossetto – uccisa in Istria nel ’43, Marsilio, Venezia 2007, 154 pagine (l’Autore propone un quadro obiettivo corredato da una congrua bibliografia, da coinvolgenti testimonianze della sorella Licia e di una compagna di studi, da un pensiero per la mamma Margherita scomparsa per il dolore dopo breve tempo, e non senza ricostruire gli ultimi giorni prima della cattura con un diario di fantasia, da leggere con le cautele del caso). Si deve aggiungere «ad abundantiam» che la vicenda di Norma ha trovato un’importante documentazione audiovisiva nel recente film Red Land (Terra Rossa) del regista Maximiliano Hernando Bruno, distribuito nel 2018 e diffuso con successo nelle sale italiane ma ritirato dalla programmazione nel giro di breve tempo: un fatto che itera le ragioni politiche del lungo silenzio circa la tragedia giuliana e dalmata, o meglio, della «pietra tombale» di cui alla lucida diagnosi espressa nella fondamentale opera di Italo Gabrielli (Istria Fiume Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, Luglio Editore, Trieste 2018).

8 La questione è stata posta formalmente dall’Avvocato Claudio Bassi, Vice Presidente del Consiglio Comunale di Reggio Emilia e Capo Gruppo di Forza Italia che ha contestato la delibera della Commissione Toponomastica chiedendone la decadenza, con relativa sostituzione totalitaria. Analoga richiesta figura in un’interrogazione parlamentare dell’Onorevole Maurizio Gasparri, anch’egli di Forza Italia, cui ha fatto seguito l’Onorevole Galeazzo Bignami (Fratelli d’Italia), con una denuncia presentata alla Procura della Repubblica a fronte del vilipendio perpetrato nei confronti di Norma. Dal canto suo, il Gruppo Parlamentare della Lega ha posto in evidenza che a Reggio si continua a tollerare l’esistenza di una Via Tito pur essendo ormai noto quali e quante siano state le responsabilità del dittatore jugoslavo anche nella tragedia giuliana, istriana e dalmata. Tutte queste iniziative, di ampia rilevanza mediatica a livello nazionale, dimostrano che il problema è molto sentito, sia dal punto di vista morale che da quello giuridico, ma nello stesso tempo, che urgono sanzioni a carico di quanti continuano a oltraggiare impunemente i martiri infoibati o altrimenti massacrati dai partigiani di Tito: a quando una legge «ad hoc» sulla falsariga delle iniziative già assunte – anche all’estero – contro i negazionisti dell’Olocausto Ebraico? In caso contrario, le offese a Norma Cossetto, alle vittime delle foibe, agli esuli giuliani e dalmati rei di avere abbandonato il «paradiso» di Tito, e a quanti offrirono la vita per l’onore d’Italia, resteranno impunite: al massimo, costituendo un’occasione per l’ennesima passerella.

(gennaio 2021)

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