Tragedia giuliana e dalmata
Spunti di riflessione dal Ricordo di Esodo e Foibe nella Scuola Italiana.
Fede e speranza nella celebrazione al liceo ginnasio statale «Giulio Cesare» di Roma

Il Ricordo del grande Esodo di un intero popolo incolpevole, della terribile tragedia delle Foibe, e della complessa vicenda storica di Venezia Giulia e Dalmazia, istituito con voto quasi unanime dalla Legge 30 marzo 2004 numero 92, continua ad essere oggetto di attenzioni non effimere, in specie nell’ambito scolastico, esorcizzando il rischio, tipico di ogni celebrazione ripetitiva, di indulgere alla retorica: in parecchi casi, non mancano approfondimenti di significativo rilievo, sia sul piano delle informazioni documentali, sia su quello della conseguente riflessione storica.

Un caso emblematico è quello dell’incontro con 200 studenti del prestigioso Liceo «Giulio Cesare» di Roma, tenutosi nel marzo 2018, con la presentazione del puntuale, pertinente ed esaustivo documentario a suo tempo realizzato dal Professor Claudio Schwarzemberg, compianto Sindaco del Comune di Fiume in Esilio; l’introduzione della Professoressa Paola Senesi, Dirigente dell’Istituto; l’intervento dello studente Piero Insola che ha curato i dettagli dell’iniziativa; la relazione storica del Dottor Arrigo Bonifacio dell’Università «La Sapienza»; la testimonianza di alcuni Esuli, ed uno spazio di costruttivo e sereno dibattito.

Quel documentario costituisce sempre uno strumento di puntuale e commovente attestazione di un dramma davvero epocale, dall’elenco quasi interminabile delle Foibe utilizzate dai partigiani di Tito per compiere il loro delitto contro l’umanità, alle immagini dei profughi in partenza da Pola con il loro carico di dolore, per finire con le struggenti, nobili parole scritte nella prigione di Fiume da Stefano Petris, eroe dell’ultima difesa di Cherso italiana, alla vigilia della fucilazione in quella plumbea stagione del 1945, contraddistinta dalla morte di ogni «pietas».

Immagini come quelle di Esodo e Foibe, seguite ancora una volta in attento e commosso silenzio, sono in grado di costituire una testimonianza ineccepibile, idonea a trascendere ogni pur legittima interpretazione, nella loro tragica fissità, e nello stesso tempo, indispensabile strumento di premessa all’analisi storiografica ed alle ultime testimonianze di prima mano.

Il Dottor Bonifacio, nel duro compito di illustrare due millenni di storia nel breve spazio di 30 minuti, non ha mancato di sottolineare la continuità della presenza latina e veneta sulla sponda orientale dell’Adriatico, nonostante le invasioni barbariche e slave, ed in tempi più recenti, la politica asburgica di fagocitazione delle nuove aspirazioni irredentiste compiute solo parzialmente al termine della Grande Guerra, e la drammatica conclusione del Secondo Conflitto Mondiale, con la perdita della sovranità italiana sulla Dalmazia e su massima parte della Venezia Giulia, contestuale al grande Esodo ed alla tragedia delle Foibe, che ne fu concausa non meno decisiva delle altre, di natura religiosa, sociale ed economica: la salvezza fisica era diventata un’ovvia, angosciosa priorità.

Hanno portato testimonianze il Dottor Guido Cace, Presidente dell’Associazione Nazionale Dalmata, con ulteriori spunti tratti dal documentario e dalle cifre delle Vittime; l’Ambasciatore Gianfranco Giorgolo, Esule da Veglia, che si è soffermato sul carattere di autentico genocidio attribuibile, dottrina alla mano[1], alla pulizia etnica compiuta nelle Foibe e negli altri massacri, e nell’Esodo forzoso dei 350.000; il Dottor Carlo Montani, Esule da Fiume, che ha sottolineato come quella dei giuliano-dalmati sia stata una scelta di civiltà e di forte impegno contro l’iniquità; e Laura Brussi, Esule da Pola, Delegata regionale dell’Associazione Nazionale Congiunti Deportati e dispersi in Jugoslavia (ANCDJ) che non ha mancato di ricordare la «solitudine» vissuta dai profughi dopo l’arrivo in una patria talvolta matrigna, e l’amarezza di una diaspora diretta in tutto il mondo; non senza onorare la memoria della Medaglia d’Oro Norma Cossetto, infoibata dopo atroci sevizie nell’ottobre 1943, e dopo avere nobilmente rifiutato la turpe pretesa di passare dalla parte dei suoi aguzzini.

Il successivo dibattito, introdotto da attenti e pertinenti quesiti di parte studentesca, ha permesso di mettere a fuoco ulteriori aspetti del dramma vissuto da un intero popolo tra il 1943 e gli anni del dopoguerra: in primo luogo, la totale assenza di qualsivoglia sua responsabilità storica e politica, ed il carattere davvero sacrificale di quella tragedia, esaltato dal determinante contributo italiano alla salvezza di un alto numero di Ebrei, di cui all’intervento di Giorgolo, per non dire del ripudio di ogni violenza, tipico della profonda tradizione cristiana del popolo Esule; ma nello stesso tempo, della sicura consapevolezza di dover lasciare la propria terra, con una scelta tremenda e dolorosa, ma ormai ineludibile.

Sono considerazioni più che sufficienti, per evidenziare una volta per tutte il carattere sostanzialmente strumentale di ogni pur frequente suggestione riduzionista e negazionista, e per porre le basi, nonostante le permanenti difficoltà, di una vera ed efficace cooperazione: in effetti, è bene rammentare che dopo la Grande Guerra ed il trasferimento della sovranità italiana sulla Venezia Giulia il progresso socio-economico, civile e culturale dell’intera regione aveva conosciuto un’accelerazione senza pari[2], a tutto vantaggio delle stesse minoranze slave.

È stato detto che soltanto la memoria storica è arra di un futuro moralmente e spiritualmente consapevole, degno della natura autentica dell’umanità: in questo senso, la lezione del «Giulio Cesare» è motivo di fede e di speranza. A più forte ragione, in quanto suffragata dalla commendevole attenzione di un ampio e partecipe pubblico giovanile, ma dall’animo, come avrebbe detto Giambattista Vico, palesemente «perturbato e commosso».


Note

1 Confronta Italo Gabrielli, Istria Fiume Dalmazia: Diritti negati, Genocidio programmato, Udine 2011. L’Autore, per la definizione di genocidio, si riferisce alla dottrina del giurista polacco Raphael Lemkin, secondo cui deve intendersi per tale, oltre alla persecuzione ed all’uccisione indiscriminata, anche la pulizia etnica che si traduce in un Esodo forzato come quello del popolo di Istria, Fiume e Dalmazia.

2 Nel ventennio compreso fra il 1921 ed il 1940 furono realizzati nella sola Istria 370 chilometri di nuove strade, 230 chilometri di elettrodotti, e venne compiuto il grande acquedotto per l’approvvigionamento idrico di 145.000 persone, grazie allo scavo di sei chilometri di gallerie, alla posa di 260 chilometri di tubi e di 19 serbatoi, ed all’installazione di cinque centrali di sollevamento. Nella politica di industrializzazione, gli investimenti consentirono di quadruplicare l’occupazione, salita a 27.000 addetti nei soli comparti di alluminio, carbone, cemento e pietra. Quanto all’edilizia scolastica, vennero costruite 1.300 nuove aule, triplicandone il numero precedente e raddoppiando quello degli alunni, con ovvio vantaggio dell’alfabetizzazione e dell’acculturamento, anche a favore delle minoranze (confronta «Il Grido dell’Istria – Foglio della resistenza istriana», anno II, numero 45, 7 novembre 1946 – Reprint a cura dell’Unione degli Istriani, Trieste 2007).

(maggio 2018)

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