Tragedie del confine orientale
Foibe: pervicaci interpretazioni d’oltre confine in tema di presunte responsabilità italiane

Il dramma della Venezia Giulia e dell’Istria, culminato nelle 20.000 vittime infoibate o diversamente massacrate, nel grande Esodo dei 350.000 e nella perdita di due intere Regioni Italiane con l’iniquo trattato di pace del 10 febbraio 1947, continua a essere oggetto di interpretazioni piuttosto difformi, in palese distonia da un beninteso spirito di riconciliazione internazionale, segnatamente tra Italia e Repubbliche ex Jugoslave, che si vorrebbe accreditare come chiusura di un confronto non ancora concluso sul piano storiografico, e avvento di una nuova stagione politica ed economica basata sulla collaborazione, intesa ancora una volta a senso unico.

Un esempio significativo fra i tanti, venuto alla luce sulle colonne del «Trillo» (organo della minoranza italiana di Pirano) a firma di Mario Bonifacio, riguarda taluni episodi del Secondo Conflitto Mondiale, con particolare riguardo alla storia di Norma Cossetto, che – come tutti sanno – venne seviziata, violentata e infoibata ai primi di ottobre del 1943, diventando un vero e proprio simbolo del martirio giuliano e dalmata. Il saggio, uscito a iniziativa della suddetta fonte nel secondo numero del 2019 (marzo-aprile), contiene qualche affermazione che si può condividere, mentre tante altre contraddicono in modo palese le più recenti conclusioni dell’indagine storiografica, non soltanto di parte italiana[1].

È certamente vero, come scrive Bonifacio, che gli assassini di Norma non erano partigiani slavi anche se avevano indossato il berretto con la stella rossa, ma Italiani dell’Istria animati da una perversa volontà di rivalsa indotta dall’odio politico e da quello di classe: del resto, si tratta di un fatto inconfutabile, confermato più volte dalla sorella Licia Cossetto Tarantola, che scomparve nell’ottobre del 2013 proprio mentre si recava a Trieste per commemorare il LXX anniversario dell’estremo sacrificio di Norma. Ciò vuol dire che non si trattava di partigiani del Maresciallo Tito, la cui avanzata verso Occidente era appena agli inizi nel cuore della Jugoslavia, bensì di elementi locali ben conosciuti e in qualche caso persino beneficati dalla famiglia della vittima[2] e in particolare dal padre Giuseppe, anch’egli massacrato e infoibato a poche ore di distanza dalla figlia.

Non meno vero, a ulteriore dimostrazione del totale disfacimento che l’armistizio firmato dal Governo di Pietro Badoglio aveva indotto nelle strutture militari italiane, è che nel corso della «blitzkrieg» per la riconquista dell’Istria 300 Tedeschi ebbero ragione senza colpo ferire di 25.000 Italiani della guarnigione di Pola; ed è altrettanto vero quanto afferma il Bonifacio circa le dichiarazioni rilasciate dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione del primo «Giorno del Ricordo» (10 febbraio 2005), quando la suprema Magistratura dello Stato attribuì la causa prioritaria della tragedia giuliano-dalmata alle «ideologie nazionaliste e razziste» senza tenere conto del delitto contro l’umanità perpetrato da parte slava, documentato da tante fonti oggettive, e in primo luogo nella grande opera di Italo Gabrielli[3].

Detto questo, si deve aggiungere che nel contributo di Bonifacio i falsi risultano nettamente superiori. Non è affatto vero, in primo luogo, che la stagione immediatamente successiva all’8 settembre sia stata la «più nera» visto che le vittime conseguenti alla «seconda ondata» delle uccisioni e degli infoibamenti, con particolare riguardo a quelli avvenuti a guerra finita, furono di gran lunga maggiori rispetto alla prima, tanto più che i partigiani slavi (ormai giunti in forze) e i loro corifei italiani non avevano più opposizioni[4].

Del pari, non è vera la sorprendente affermazione secondo cui quello in foiba, più che un sistema di uccisione, sarebbe stato un metodo di seppellimento, reso più surreale dal frequente lancio del famigerato cane nero nelle profondità della voragine, perché i suoi latrati, secondo una perversa leggenda balcanica, avrebbero dovuto precludere alle vittime persino la pace dell’eternità.

A proposito di foibe, un altro falso storico è che la morte nell’abisso fosse sempre immediata: a volte non era affatto così, come hanno evidenziato tante testimonianze circa i lamenti uditi per giorni presso gli inghiottitoi delle foibe, senza dire di quella di Mario Maffi, l’Alpino a cui parecchi anni più tardi venne affidato l’incarico di prospezioni in alcuni di quegli abissi, sia in territorio italiano che jugoslavo, dove avrebbe potuto constatare non senza vive emozioni l’esistenza di uno scheletro infantile, e di un altro appoggiato alla parete dell’anfratto, quale ulteriore prova di una lunga e atroce agonia[5].

Il falso di maggiore rilevanza storiografica è quello secondo cui le uccisioni perpetrate da parte slava a danno degli Italiani sarebbero state una «vendetta» per la lunga persecuzione subita a opera del fascismo. Su questo punto, utilizzato a dismisura nelle ricorrenti interpretazioni riduzioniste e negazioniste[6], la ricerca storica più equilibrata e oggettiva ha dimostrato l’inconsistenza di una tesi decisamente infondata: le condanne capitali del ventennio prebellico si erano circoscritte a quelle di Vladimir Gortan e dei «Quattro di Basovizza» pronunciate previo processi a carico di responsabili confessi di atti di terrorismo; lo scoppio della guerra contro la Jugoslavia nella primavera del 1941 fu dovuto al colpo di Stato con cui il Governo di Belgrado, già alleato dell’Asse e in particolare dell’Italia (grazie al patto di amicizia del 1937) avrebbe cambiato campo; le rappresaglie compiute durante il conflitto costituirono un’applicazione delle dure leggi internazionali di guerra che i partigiani non rispettavano, tanto più che non erano belligeranti riconosciuti e che solitamente «non prendevano prigionieri» (salvo ucciderli dopo lunghe sevizie allucinanti, come accadde – ad esempio – nella strage di Malga Bala).

Il discorso porterebbe lontano, ma quanto preme evidenziare è di semplicità solare: insistere su interpretazioni a senso unico come quella seguita da parte della sinistra oltranzista, e nella fattispecie anche da parte della minoranza italiana in Istria (con l’ufficialità del mezzo stampato), dimostra che esiste tuttora un nervo scoperto riveniente dal massimalismo veterocomunista pronto a giustificare ogni delitto, compresi quelli delle «jacqueries» scoppiate all’indomani dell’8 settembre assieme alla morte di ogni pietà[7]. La naturale conseguenza è quella di allontanare «sine die» il percorso di una reale conciliazione all’insegna del conclamato spirito europeo, e di rendere velleitario, se non addirittura utopistico, il disegno cooperativo che l’Italia insiste nel perseguire, anche attraverso il finanziamento di iniziative come quella del «Trillo» sempre propense a remare contro, avallando le interpretazioni riduzioniste e negazioniste.

Come è stato detto con felice sintesi, e come i fatti continuano a dimostrare, l’Italia è sempre bravissima nel fare gli interessi degli altri.


Note

1 Mario Bonifacio, Pagine drammatiche del Secondo Conflitto Mondiale: Norma Cossetto e le altre, in «Il Trillo», Pirano d’Istria, marzo-aprile 2019, pagine 16-20.

2 Per ogni maggiore dettaglio, confronta Frediano Sessi, Foibe rosse: vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel 1943, Edizioni Marsilio, Collezione Gli Specchi, Venezia 2007, 154 pagine; nonché Guido Rumici, Infoibati: nomi, luoghi, testimoni, documenti, Edizioni Mursia, Milano 2002, pagine 124-135. Per il contributo storico della sorella di Norma, confronta Carlo Montani, Ricordo di Licia Cossetto, in «Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale» diretta dal Professor Augusto Sinagra, anno XVI, numero 46, Edizioni Aracne, Roma 1974, pagine 169-170; e dello stesso Autore, Licia Cossetto: l’ultima testimonianza, in www.storico.org, diretto dal Professor Luciano Atticciati, Roma, ottobre 2018.

3 Italo Gabrielli, Istria Fiume Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, seconda edizione ampliata, Luglio Editore, Trieste 2018, 168 pagine. La prima edizione (2011) è stata insignita del Premio «Marco Conti» da parte del Centro Culturale Firenze-Europa.

4 La bibliografia sulle foibe ha raggiunto dimensioni sterminate, a conferma del particolare interesse suscitato dalla materia, a tutti i livelli di studio e d’informazione. Per un primo inquadramento della vicenda, anche nel quadro di un’informazione di base, confronta Guerrino Girolamo Corbanese – Aldo Mansutti, Ancora sulle foibe: gli scomparsi in Venezia Giulia, Istria e Dalmazia (1943-1945), Aviani & Aviani Editori, Udine 2010, 182 pagine; nonché Glauco Carlo Casarico – Rossana Mondoni, Italia: confine orientale e foibe, Edizioni Solfanelli, Chieti 2012, 148 pagine. Nell’ambito della storiografia riduzionista di parte slava, un esempio emblematico resta quello di Joze Pirjevec, Foibe: una storia d’Italia, Giulio Einaudi Editore, Torino 2009, 376 pagine.

5 Mario Maffi, Un Alpino alla scoperta delle foibe, Casa Editrice Gaspari, Udine 2013, 128 pagine. Per le prospezioni nelle foibe e i recuperi delle vittime dopo la «prima ondata» del 1943, è sempre fondamentale il contributo di Guido Rumici, Infoibati: i nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Ugo Mursia Editore, Milano 2002, 498 pagine.

6 Fra le tante fonti negazioniste, un contributo significativo che si può citare quale esempio probante di una storiografia a senso unico è quello di Claudia Cernigoi, Operazione foibe tra storia e mito, con prefazione di Sandi Volk, Edizioni Kappa Vu, Udine 1997 (con una seconda edizione del 2005, 308 pagine); unitamente alla replica di Giorgio Rustia, Contro Operazione foibe a Trieste, Associazione Nazionale Congiunti dei Deportati Italiani in Jugoslavia e Infoibati, Trieste 2000, 254 pagine.

7 Si tratta di una tesi condivisa anche dalla storiografia più accreditata: al riguardo, per il riferimento alla «rivolta contadina» del settembre 1943, piuttosto che a un’organica sollevazione rivoluzionaria d’iniziativa politico-militare, confronta Raoul Pupo, Il lungo Esodo: Istria – Le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli Storica, terza edizione, Milano 2005, pagine 73-74.

(agosto 2019)

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