1989, l’anno in cui cambiò il mondo
Un’interessante analisi degli eventi del 1989 fatta da un punto di vista molto… «particolare»

Pochi anni nella storia del XX secolo hanno avuto la stessa importanza del 1989... anzi, forse esso verrà ricordato come il più importante dal fatidico anno 1945 che vide la caduta dei regimi fascista e nazista. Poche volte, nella Storia dell’umanità, si è visto un tale repentino, inaspettato e completo stravolgimento, e mai in una parte del mondo così consistente. Non fu, infatti, solo la fine dell’Impero Sovietico e dell’ideologia che lo aveva sostenuto: fu il crollo di tutto un modo di vivere, di pensare, di concepire il mondo e la stessa realtà. Ci si svegliò un giorno e si scoprì che il comunismo non esisteva più, che il mondo era inesorabilmente cambiato e non sarebbe mai più stato lo stesso di prima – un pensiero da far girare la testa.

Fu una cosa, lo ripetiamo, inaspettata: ancora nel 1987, nessuno avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe successo di lì a poco; tutt’al più era ipotizzabile una trasformazione graduale del sistema comunista sotto lo stimolo delle parole d’ordine «glasnost» («trasparenza») e «perestrojka» («riforma») lanciate da Gorbaciov. Di fatto, il nuovo padrone del Cremlino, nel febbraio 1986, al congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, aveva demolito il mito di Breznev proprio come, trent’anni prima, nel febbraio 1956, Kruscev aveva fatto con quello di Stalin. In Polonia era in corso un allentamento della tensione, tanto che, il 13 gennaio 1987, il Presidente Jaruzelski si era potuto recare in Vaticano. In Cina le agitazioni studentesche sembravano preludere ad una liberalizzazione.

Ma tutto questo non sarebbe bastato, se non fossero intervenuti altri fatti, nel 1988, ad influire sulla psicologia collettiva ed a condurre la situazione al punto di rottura. Nel corso di quell’anno venne celebrato in Unione Sovietica il primo millennio della conversione della Rus’ al Cristianesimo, e così la religione si prese la rivincita proprio nel Paese che per primo aveva voluto realizzare l’ateismo di Stato. Nel nome della fede ritrovata, i movimenti di protesta e di riscatto all’interno del blocco sovietico divennero generali: dopo la Polonia fu la volta degli Stati Baltici, dell’Ungheria (nel maggio 1988 si dimise Kadar), della Jugoslavia, della Bulgaria, della Romania.

L’anno successivo, il 1989, la disintegrazione economica, sociale, politica, ideologica dell’Impero Sovietico assunse l’aspetto di una vera e propria frana. Nell’agosto in Polonia si formò il primo Governo non comunista e cominciò l’esodo dei Tedeschi dalla Germania Est verso l’Ovest: Honecker si dimise in ottobre e il 9 novembre iniziò l’abbattimento del Muro di Berlino a colpi di martello e piccone. L’Ungheria riabilitò gli eroi della rivolta del 1956 e in ottobre si diede una nuova Repubblica. Nel novembre, in Bulgaria, si dimise Zhivkov. In Cecoslovacchia tutto cambiò nel corso dei mesi di novembre e dicembre, con le dimissioni di Husak e il ritorno alla vita politica di Dubček. Infine, poco prima di Natale, la Romania insorse contro Ceausescu, che cercò scampo nella fuga ma fu ripreso e fucilato insieme alla moglie Elena (per eccitare il popolo alla rivolta, nella Piazza Timisoara vennero ammucchiati innumerevoli corpi orrendamente squarciati, come se fossero stati trucidati dal regime; in realtà, si trattava semplicemente di salme sulle quali era stata fatta l’autopsia). Soltanto in Cina le agitazioni studentesche vennero stroncate, ai primi di giugno, con una repressione che rinviò nel tempo l’inevitabile resa dei conti. La conclusione di tutta la parabola fu che il 1° dicembre 1989 lo stesso Gorbaciov si recò in Vaticano per incontrare Giovanni Paolo II: la «Canossa» del comunismo ateo.

Nel 1990, con la riunificazione tedesca, con il ritiro dell’Armata Rossa dai Paesi del vecchio (e ormai disciolto) Patto di Varsavia, con le proclamazioni di autonomia o indipendenza che avvennero a valanga nei Paesi della stessa Unione Sovietica, arrivò alle conseguenze più radicali un movimento di liberazione individuale e collettiva ancora ben lontano dall’aver concluso il proprio cammino: le difficoltà economiche accumulatesi in settant’anni di dittature marxiste su quasi due terzi del globo (si parla di cento milioni complessivi di vittime) avevano lasciato molte piaghe e ferite durissime da rimarginare. Nel 1991 l’Unione Sovietica cessò ufficialmente di esistere, il mondo capitalista era sempre in lotta contro inflazione e recessione, il Terzo Mondo combatteva guerre anacronistiche (come quella dell’Iraq contro il Kuwait, conclusasi il 28 febbraio 1991 con l’intervento delle truppe dell’ONU) e il Quarto Mondo affondava sempre più nei debiti e nel sottosviluppo.

Il 1° maggio 1991, memoria di San Giuseppe lavoratore, Giovanni Paolo II emanò la sua terza enciclica sociale, la Centesimus annus, per leggere il magistero sociale della Chiesa alla luce delle «res novae», dell’attualità e delle sue strepitose novità. Esso, lo rileva esplicitamente Papa Wojtyla, è sempre il grande messaggio della solidarietà; si tratta di riconoscere Dio in ogni uomo e ogni uomo in Dio, perché alla radice di ogni perversione economica, sociale e politica sta l’errore sull’uomo, strumentalizzato in mille forme, e l’errore su Dio, respinto con l’ateismo teorico e pratico.

Giovanni Paolo II, analizzate le ultime novità e specialmente la grande svolta del 1989, ribadisce la condanna di ogni forma di totalitarismo, di utilitarismo, di fondamentalismo, esprimendo la riprovazione definitiva del marxismo ateo ma respingendo anche una concezione alienante della cosiddetta «economia di mercato»: sì alla democrazia e all’«economia libera», ma sempre nel quadro indispensabile della solidarietà.

È interessante leggere, quasi per intero, il capitolo III della Centesimus annus, che studia gli eventi da poco accaduti mostrando come la caduta dei regimi comunisti fu dovuta ad una serie di cause che investivano tutti gli aspetti della persona e della società, dall’economia alla politica alla religione. Si tratta di un punto di vista particolare, certo, ma anche di un’analisi approfondita e totale: «Partendo dalla situazione mondiale ora descritta [...], si comprende l’inaspettata e promettente portata degli avvenimenti degli ultimi anni. Il loro culmine certo sono stati gli avvenimenti del 1989 nei Paesi dell’Europa Centrale ed Orientale, ma essi abbracciano un arco di tempo ed un orizzonte geografico più ampi. Nel corso degli anni ’80 crollano progressivamente in alcuni Paesi dell’America Latina, ma anche dell’Africa e dell’Asia certi regimi dittatoriali ed oppressivi; in altri casi inizia un difficile, ma fecondo cammino di transizione verso forme politiche più partecipative e più giuste. Un contributo importante, anzi decisivo, ha dato l’impegno della Chiesa per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo: in ambienti fortemente ideologizzati, in cui lo schieramento di parte offuscava la consapevolezza della comune dignità umana, la Chiesa ha affermato con semplicità ed energia che ogni uomo – quali che siano le sue convinzioni personali – porta in sé l’immagine di Dio e, quindi, merita rispetto. In tale affermazione si è spesso riconosciuta la grande maggioranza del popolo, e ciò ha portato alla ricerca di forme di lotta e di soluzioni politiche più rispettose della dignità della persona.

Da questo processo storico sono emerse nuove forme di democrazia, che offrono la speranza di un cambiamento nelle fragili strutture politiche e sociali, gravate dall’ipoteca di una penosa serie di ingiustizie e di rancori, oltre che da un’economia disastrata e da pesanti conflitti sociali. Mentre con tutta la Chiesa rendo grazie a Dio per la testimonianza, spesso eroica, che non pochi Pastori, intere comunità cristiane, singoli fedeli ed altri uomini di buona volontà hanno dato in tali difficili circostanze, prego perché Egli sostenga gli sforzi di tutti per costruire un futuro migliore. È questa, infatti, una responsabilità non solo dei cittadini di quei Paesi, ma di tutti i Cristiani e degli uomini di buona volontà. Si tratta di mostrare che i complessi problemi di quei popoli possono essere risolti col metodo del dialogo e della solidarietà, anziché con la lotta per la distruzione dell’avversario e con la guerra.

Tra i numerosi fattori della caduta dei regimi oppressivi alcuni meritano di essere ricordati in particolare. Il fattore decisivo, che ha avviato i cambiamenti, è certamente la violazione dei diritti del lavoro. Non si può dimenticare che la crisi fondamentale dei sistemi, che pretendono di esprimere il governo ed anzi la dittatura degli operai, inizia con i grandi moti avvenuti in Polonia in nome della solidarietà. Sono le folle dei lavoratori a delegittimare l’ideologia, che presume di parlare in loro nome, ed a ritrovare e quasi riscoprire, partendo dall’esperienza vissuta e difficile del lavoro e dell’oppressione, espressioni e principi della dottrina sociale della Chiesa.

Merita, poi, di essere sottolineato il fatto che alla caduta di un simile «blocco», o Impero, si arriva quasi dappertutto mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia. Mentre il marxismo riteneva che solo portando agli estremi le contraddizioni sociali fosse possibile arrivare alla loro soluzione mediante lo scontro violento, le lotte che hanno condotto al crollo del marxismo insistono con tenacia nel tentare tutte le vie del negoziato, del dialogo, della testimonianza della verità, facendo appello alla coscienza dell’avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune dignità umana.

Sembrava che l’ordine europeo, uscito dalla Seconda Guerra Mondiale e consacrato dagli Accordi di Yalta, potesse essere scosso soltanto da un’altra guerra. È stato, invece, superato dall’impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità. Ciò ha disarmato l’avversario, perché la violenza ha sempre bisogno di legittimarsi con la menzogna, di assumere, pur se falsamente, l’aspetto della difesa di un diritto o della risposta a una minaccia altrui. Ringrazio ancora Dio che ha sostenuto il cuore degli uomini nel tempo della difficile prova, pregando perché un tale esempio possa valere in altri luoghi ed in altre circostanze. Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne, come alla guerra in quelle internazionali.

Il secondo fattore di crisi è certamente l’inefficienza del sistema economico, che non va considerata come un problema soltanto tecnico, ma piuttosto come conseguenza della violazione dei diritti umani all’iniziativa, alla proprietà ed alla libertà nel settore dell’economia. A questo aspetto va poi associata la dimensione culturale e nazionale: non è possibile comprendere l’uomo partendo unilateralmente dal settore dell’economia, né è possibile definirlo semplicemente in base all’appartenenza di classe. L’uomo è compreso in modo più esauriente, se viene inquadrato nella sfera della cultura attraverso il linguaggio, la storia e le posizioni che egli assume davanti agli eventi fondamentali dell’esistenza, come il nascere, l’amare, il lavorare, il morire. Al centro di ogni cultura sta l’atteggiamento che l’uomo assume davanti al mistero più grande: il mistero di Dio. Le culture delle diverse Nazioni sono, in fondo, altrettanti modi di affrontare la domanda circa il senso dell’esistenza personale: quando tale domanda viene eliminata, si corrompono la cultura e la vita morale delle Nazioni. Per questo, la lotta per la difesa del lavoro si è spontaneamente collegata a quella per la cultura e per i diritti nazionali.

La vera causa delle novità, però, è il vuoto spirituale provocato dall’ateismo, il quale ha lasciato prive di orientamento le giovani generazioni e in non rari casi le ha indotte, nell’insopprimibile ricerca della propria identità e del senso della vita, a riscoprire le radici religiose della cultura delle loro Nazioni e la stessa persona di Cristo, come risposta esistenzialmente adeguata al desiderio di bene, di verità e di vita che è nel cuore di ogni uomo. Questa ricerca è stata confortata dalla testimonianza di quanti, in circostanze difficili e nella persecuzione, sono rimasti fedeli a Dio. Il marxismo aveva promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell’uomo, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore.

Gli avvenimenti dell’ ’89 offrono l’esempio del successo della volontà di negoziato e dello spirito evangelico contro un avversario deciso a non lasciarsi vincolare da principi morali: essi sono un monito per quanti, in nome del realismo politico, vogliono bandire dall’arena politica il diritto e la morale. Certo la lotta, che ha portato ai cambiamenti dell’ ’89, ha richiesto lucidità, moderazione, sofferenze e sacrifici; in un certo senso, essa è nata dalla preghiera, e sarebbe stata impensabile senza un’illimitata fiducia in Dio, Signore della storia, che ha nelle Sue mani il cuore degli uomini. È unendo la propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla Croce che l’uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava.

Non si possono, tuttavia, ignorare gli innumerevoli condizionamenti, in mezzo ai quali la libertà del singolo uomo si trova ad operare: essi influenzano, sì, ma non determinano la libertà; rendono più o meno facile il suo esercizio, ma non possono distruggerla. Non solo non è lecito disattendere dal punto di vista etico la natura dell’uomo che è fatto per la libertà, ma ciò non è neppure possibile in pratica. Dove la società si organizza riducendo arbitrariamente o, addirittura, sopprimendo la sfera in cui la libertà legittimamente si esercita, il risultato è che la vita sociale progressivamente si disorganizza e decade.

Inoltre, l’uomo creato per la libertà porta in sé la ferita del peccato originale, che continuamente lo attira verso il male e lo rende bisognoso di redenzione. Questa dottrina non solo è parte integrante della Rivelazione cristiana, ma ha anche un grande valore ermeneutico, in quanto aiuta a comprendere la realtà umana. L’uomo tende verso il bene, ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere ad esso legato. L’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa coordinazione. Difatti, dove l’interesse individuale è violentemente soppresso, esso è sostituito da un pesante sistema di controllo burocratico, che inaridisce le fonti dell’iniziativa e della creatività. Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male, ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una «religione secolare», che si illude di costruire il Paradiso in questo mondo. Ma qualsiasi società politica, che possiede la sua propria autonomia e le sue proprie leggi, non potrà mai esser confusa col Regno di Dio. La parabola evangelica del buon grano e della zizzania (confronta Vangelo secondo Matteo 13, 24-30.36-43) insegna che spetta solo a Dio separare i soggetti del Regno ed i soggetti del Maligno, e che siffatto giudizio avrà luogo alla fine dei tempi. Pretendendo di anticipare fin d’ora il giudizio, l’uomo si sostituisce a Dio e si oppone alla Sua pazienza.

Grazie al sacrificio di Cristo sulla Croce, la vittoria del Regno di Dio è acquisita una volta per tutte; tuttavia, la condizione cristiana comporta la lotta contro le tentazioni e le forze del male. Solo alla fine della storia il Signore ritornerà nella gloria per il giudizio finale (confronta Vangelo secondo Matteo 25, 31) con l’instaurazione dei cieli nuovi e della terra nuova (confronta Seconda Lettera di Pietro 3, 13; Apocalisse 21, 1), ma, mentre dura il tempo, la lotta tra il bene e il male continua fin nel cuore dell’uomo.

Ciò che la Sacra Scrittura ci insegna in ordine ai destini del Regno di Dio non è senza conseguenze per la vita delle società temporali, le quali — come dice la parola — appartengono alle realtà del tempo con quanto esso comporta di imperfetto e di provvisorio. Il Regno di Dio, presente nel mondo senza essere del mondo, illumina l’ordine dell’umana società, mentre le energie della grazia lo penetrano e lo vivificano. Così son meglio avvertite le esigenze di una società degna dell’uomo, sono rettificate le deviazioni, è rafforzato il coraggio dell’operare per il bene. A tale compito di animazione evangelica delle realtà umane sono chiamati, unitamente a tutti gli uomini di buona volontà, i Cristiani ed in special modo i laici.

Gli avvenimenti dell’ ’89 si sono svolti prevalentemente nei Paesi dell’Europa Orientale e Centrale; tuttavia, hanno un’importanza universale, poiché ne discendono conseguenze positive e negative che interessano tutta la famiglia umana. Tali conseguenze non hanno un carattere meccanico o fatalistico, ma sono piuttosto occasioni offerte alla libertà umana per collaborare col disegno misericordioso di Dio che agisce nella storia.

Prima conseguenza è stato, in alcuni Paesi, l’incontro tra la Chiesa e il Movimento operaio, nato da una reazione di ordine etico ed esplicitamente cristiano contro una diffusa situazione di ingiustizia. Per circa un secolo detto Movimento era finito in parte sotto l’egemonia del marxismo, nella convinzione che i proletari, per lottare efficacemente contro l’oppressione, dovessero far proprie le teorie materialistiche ed economicistiche.

Nella crisi del marxismo riemergono le forme spontanee della coscienza operaia, che esprimono una domanda di giustizia e di riconoscimento della dignità del lavoro, conforme alla dottrina sociale della Chiesa. Il Movimento operaio confluisce in un più generale movimento degli uomini del lavoro e degli uomini di buona volontà per la liberazione della persona umana e per l’affermazione dei suoi diritti; esso investe oggi molti Paesi e, lungi dal contrapporsi alla Chiesa Cattolica, guarda ad essa con interesse.

La crisi del marxismo non elimina nel mondo le situazioni di ingiustizia e di oppressione, da cui il marxismo stesso, strumentalizzandole, traeva alimento. A coloro che oggi sono alla ricerca di una nuova ed autentica teoria e prassi di liberazione, la Chiesa offre non solo la sua dottrina sociale e, in generale, il suo insegnamento circa la persona redenta in Cristo, ma anche il concreto suo impegno ed aiuto per combattere l’emarginazione e la sofferenza.

Nel recente passato il sincero desiderio di essere dalla parte degli oppressi e di non esser tagliati fuori dal corso della storia ha indotto molti credenti a cercare in diversi modi un impossibile compromesso tra marxismo e Cristianesimo. Il tempo presente, mentre supera tutto ciò che c’era di caduco in quei tentativi, induce a riaffermare la positività di un’autentica teologia dell’integrale liberazione umana. Considerati da questo punto di vista, gli avvenimenti del 1989 risultano importanti anche per i Paesi del Terzo Mondo, che sono alla ricerca della via del loro sviluppo, come lo sono stati per quelli dell’Europa Centrale ed Orientale.

La seconda conseguenza riguarda i popoli dell’Europa. Molte ingiustizie, individuali e sociali, regionali e nazionali, sono state commesse negli anni in cui dominava il comunismo ed anche prima; molti odi e rancori si sono accumulati. È reale il pericolo che questi riesplodano dopo il crollo della dittatura, provocando gravi conflitti e lutti, se verranno meno la tensione morale e la forza cosciente di rendere testimonianza alla verità che hanno animato gli sforzi nel tempo passato. È da auspicare che l’odio e la violenza non trionfino nei cuori, soprattutto di coloro che lottano per la giustizia, e cresca in tutti lo spirito di pace e di perdono.

Occorrono, però, passi concreti per creare o consolidare strutture internazionali capaci di intervenire, per il conveniente arbitrato, nei conflitti che insorgono tra le Nazioni, sicché ciascuna di esse possa far valere i propri diritti e raggiungere il giusto accordo e la pacifica composizione con i diritti delle altre. Tutto ciò è particolarmente necessario per le Nazioni Europee, unite intimamente tra loro nel vincolo della comune cultura e storia millenaria. Occorre un grande sforzo per la ricostruzione morale ed economica nei Paesi che hanno abbandonato il comunismo. Per molto tempo le relazioni economiche più elementari sono state distorte, ed anche fondamentali virtù legate al settore dell’economia, come la veridicità, l’affidabilità, la laboriosità, sono state mortificate. Occorre una paziente ricostruzione materiale e morale, mentre i popoli stremati da lunghe privazioni chiedono ai loro governanti risultati tangibili ed immediati di benessere ed adeguato soddisfacimento delle loro legittime aspirazioni.

La caduta del marxismo naturalmente ha avuto effetti di grande portata in ordine alla divisione della terra in mondi chiusi l’uno all’altro ed in gelosa concorrenza tra loro. Essa mette in luce più chiaramente la realtà dell’interdipendenza dei popoli, nonché il fatto che il lavoro umano per sua natura è destinato ad unire i popoli, non già a dividerli. La pace e la prosperità, infatti, sono beni che appartengono a tutto il genere umano, sicché non è possibile goderne correttamente e durevolmente se vengono ottenuti e conservati a danno di altri popoli e Nazioni, violando i loro diritti o escludendoli dalle fonti del benessere.

Per alcuni Paesi di Europa inizia, in un certo senso, il vero dopoguerra. Il radicale riordinamento delle economie, fino a ieri collettivizzate, comporta problemi e sacrifici, i quali possono esser paragonati a quelli che i Paesi Occidentali del Continente si imposero per la loro ricostruzione dopo il Secondo Conflitto Mondiale. È giusto che nelle presenti difficoltà i Paesi ex comunisti siano sostenuti dallo sforzo solidale delle altre Nazioni: ovviamente, essi devono essere i primi artefici del proprio sviluppo; ma deve esser data loro una ragionevole opportunità di realizzarlo, e ciò non può avvenire senza l’aiuto degli altri Paesi. Del resto, la presente condizione di difficoltà e di penuria è la conseguenza di un processo storico, di cui i Paesi ex comunisti sono stati spesso oggetto, e non soggetto: essi, perciò, si trovano in tale situazione non per libera scelta o a causa di errori commessi, ma in conseguenza di tragici eventi storici imposti con la violenza, i quali hanno loro impedito di proseguire lungo la via dello sviluppo economico e civile.

L’aiuto degli altri Paesi soprattutto europei, che hanno avuto parte nella medesima storia e ne portano le responsabilità, corrisponde ad un debito di giustizia. Ma corrisponde anche all’interesse ed al bene generale dell’Europa, che non potrà vivere in pace, se i conflitti di diversa natura, che emergono come conseguenza del passato, saranno resi più acuti da una situazione di disordine economico, di spirituale insoddisfazione e disperazione.

Questa esigenza, però, non deve indurre a rallentare gli sforzi per il sostegno e l’aiuto ai Paesi del Terzo Mondo, che soffrono spesso di condizioni di insufficienza e di povertà assai più gravi. Sarà necessario uno sforzo straordinario per mobilitare le risorse, di cui il mondo nel suo insieme non è privo, verso fini di crescita economica e di sviluppo comune, ridefinendo le priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte economiche e politiche. Ingenti risorse possono essere rese disponibili col disarmo degli enormi apparati militari, costruiti per il conflitto tra Est e Ovest. Esse potranno risultare ancora più ingenti, se si riuscirà a stabilire affidabili procedure per la soluzione dei conflitti, alternative alla guerra, ed a diffondere, quindi, il principio del controllo e della riduzione degli armamenti anche nei Paesi del Terzo Mondo, adottando opportune misure contro il loro commercio. Ma soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri han prodotto. I poveri chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero. L’elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell’intera umanità.

Lo sviluppo, infine, non deve essere inteso in un modo esclusivamente economico, ma in senso integralmente umano. Non si tratta solo di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all’appello di Dio, in essa contenuto. Al culmine dello sviluppo sta l’esercizio del diritto-dovere di cercare Dio, di conoscerlo e di vivere secondo tale conoscenza. Nei regimi totalitari ed autoritari è stato portato all’estremo il principio del primato della forza sulla ragione. L’uomo è stato costretto a subire una concezione della realtà imposta con la forza, e non conseguita mediante lo sforzo della propria ragione e l’esercizio della propria libertà. Bisogna rovesciare quel principio e riconoscere integralmente i diritti della coscienza umana, legata solo alla verità sia naturale che rivelata. Nel riconoscimento di questi diritti consiste il fondamento primario di ogni ordinamento politico autenticamente libero. È importante riaffermare tale principio per vari motivi:

1) perché le antiche forme di totalitarismo e di autoritarismo non sono ancora del tutto debellate, ed esiste anzi il rischio che riprendano vigore: ciò sollecita ad un rinnovato sforzo di collaborazione e di solidarietà tra tutti i Paesi;

2) perché nei Paesi sviluppati si fa a volte un’eccessiva propaganda dei valori puramente utilitaristici, con la sollecitazione sfrenata degli istinti e delle tendenze al godimento immediato, la quale rende difficile il riconoscimento ed il rispetto della gerarchia dei veri valori dell’umana esistenza;

3) perché in alcuni Paesi emergono nuove forme di fondamentalismo religioso che, velatamente o anche apertamente, negano ai cittadini di fedi diverse da quelle della maggioranza il pieno esercizio dei loro diritti civili o religiosi, impediscono loro di entrare nel dibattito culturale, restringono il diritto della Chiesa a predicare il Vangelo e il diritto degli uomini, che ascoltano tale predicazione, ad accoglierla ed a convertirsi a Cristo. Nessun autentico progresso è possibile senza il rispetto del naturale ed originario diritto di conoscere la verità e di vivere secondo essa. A questo diritto è legato, come suo esercizio ed approfondimento, il diritto di scoprire e di accogliere liberamente Gesù Cristo, che è il vero bene dell’uomo».

(luglio 2016)

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