Il Mahatma Gandhi
«La non violenza non è un vestito che possiamo mettere e togliere quando ci pare. Essa abita nel cuore, e deve essere una parte inscindibile del nostro essere»

Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (soprannome, datogli dal poeta indiano Rabindranath Tagore, che in sanscrito significa «Grande Anima»), il fondatore della nonviolenza e il padre dell’indipendenza indiana, nacque a Porbandar in India il 2 ottobre 1869. Il nome Gandhi significa «droghiere» perché la sua famiglia dovette esercitare per un breve periodo del piccolo commercio di spezie. Nelle ultime generazioni tale famiglia ricoprì alcune cariche importanti nelle Corti del Kathiawar.

Il padre Mohandas Kaba Gandhi era stato il Primo Ministro del Principe Rajkot. I Gandhi appartenevano ad una setta hindù con particolare devozione per Vishnù.

Mohandas Karamchard Gandhi tra i dieci e i diciassette anni frequentò la «High school» del Kathiawar.

Compiuti tredici anni, dopo due precedenti fidanzamenti sfumati per la morte precoce delle fanciulle prescelte dai suoi genitori, e da lui neppure conosciute, venne sposato ad una sua coetanea; all’età trentasette anni, d’accordo con la moglie, deciderà di prendere il voto di castità, andando contro i principi della sua religione. Avrà un periodo di crisi, in cui egli crederà di esser ateo, che si risolse con una confessione scritta al padre.

Terminata la «High school» andò al college, dove seguì alcuni corsi, divenne avvocato e il 4 settembre 1888 Gandhi si imbarcò a Bombay per raggiungere Londra, dove cercherà di inserirsi nella società, diventando un gentleman, purtroppo senza i risultati che si era preposto.

Perso l’interesse per la società londinese, egli si dedicò alla lettura di vari testi, anche di altre religioni, dai quali capì che la rinuncia è la forma più alta di religiosità che un uomo possa esprimere.

I tre anni trascorsi a Londra da Gandhi furono per lui di lenta ed inconscia maturazione. Ottenuta l’abilitazione alla professione legale, scopo della sua vita a Londra, nel 1891 ritornò in India.

A Bombay lo attendevano cattive nuove: la madre era morta da qualche mese, e la professione che lui esercitava non rendeva abbastanza per sdebitarsi con i fratelli che avevano sostenuto le spese per i suoi studi.

A Johannesburg per motivi razziali non trovò albergo. Queste umiliazioni da lui subite non erano dirette soltanto a lui ma a tutta la sua razza. Spinto da un forte orgoglio convocò una riunione con la colonia indiana d’Africa, dove, per far sì che tale gente venisse accettata dalla collettività, esortò i commercianti ad essere il più onesti possibile, ad avere più cura della pulizia personale e a dimenticare le differenze di casta.

Si offrì per impartire lezioni di inglese gratuitamente, in modo da istruire la gente che non lo conosceva, fonte di imbrogli e vari raggiri. Successivamente prese contatto con le autorità ferroviarie con le quali raggiunse un patto per cui gli Indiani, ben vestiti ed ordinati, potevano usufruire del servizio ferroviario di prima o seconda classe. Dopo un anno di permanenza in Sudafrica, ed ormai risolta la questione legale per cui vi si era recato, egli decise di reimbarcarsi per tornare in India, ma la gente che aveva conosciuto lo esortò a restare ancora per almeno un mese in modo da far da guida per gli analfabeti di colore; egli accettò pur non sapendo che quel mese diventerà poi vent’anni.

Nel maggio 1894 fondò il «Natal Indian Congress», un’associazione per la difesa degli interessi indiani nell’Unione Sudafricana. Nel 1896 tornò in India per cercare appoggi alle sue teorie.

Al suo ritorno in Sudafrica venne aggredito e malmenato e sfuggì a stento al linciaggio. Durante la guerra boera organizzò un corpo volontario per assistere i feriti; finita la guerra scoppiò a Johannesburg un’epidemia di peste ed egli si prodigò per assistere i colpiti, esponendo con gioia la vita per i suoi persecutori.

Nel 1904, sull’esempio di Tolstoi, fondò a Phoenix, nei pressi di Durban, una colonia agricola, dove trasferì la tipografia del giornale «Indian Opinion», fondato sempre nello stesso anno; in essa Gandhi riservò per sé i lavori più umili e faticosi. Nella colonia egli divise il terreno in appezzamenti di poco più di un ettaro, e vi insediò i suoi compagni di lotta; la regola della comunità fu che ognuno doveva guadagnarsi la vita con il lavoro dei campi.

Durante la guerra degli Zulù, scoppiata in quel periodo, Gandhi si presentò con un corpo di ambulanza volontario che curava, e soccorse, sia bianchi sia neri, compì su di sé esperimenti di una pratica che gli diverrà poi familiare e cara: il digiuno, come mezzo di purificazione e di autodominio.

Cominciò da qui la «Satyagraha», ovvero la «forza della verità», che diverrà l’arma dei deboli; basata su idee che Gandhi enunciò in un solenne comizio tenuto il 1° settembre 1906. Nell’agosto dello stesso anno il Governo obbligò tutti gli Asiatici a munirsi di scheda di identità, a fornire le impronte digitali e a sottostare ad altre umilianti misure di polizia che li ponevano a livello di comuni criminali. Gandhi consigliò ai Satyagrahi di rifiutare di farsi schedare e, se multati, di non pagare l’ammenda, se processati, di dichiarare di aver violato le leggi ed andare in carcere senza opporre resistenza. Facendo così in breve le prigioni del Transvaal furono piene.

Nel 1907 fu arrestato anche Gandhi, che ricevette l’intimazione di lasciare il Paese entro 48 ore. Avendo disobbedito fu processato e chiese al giudice di accusarlo in modo tale da avere una pena superiore ai suoi compagni.

Nel 1914 finalmente il Satyagraha prevalse sulla forza delle armi e delle leggi. Gandhi poté ritornare nella sua patria che ormai gli era divenuta straniera; ma prima volle trascorrere qualche settimana in Inghilterra che aveva appena dichiarato guerra alla Germania. Anche qui Gandhi non perse l’occasione per mettere in pratica le sue teorie, ed organizzò subito un corpo di volontari indiani residenti in Inghilterra per curare gli Inglesi feriti. La fatica ed il freddo lo fecero ammalare di pleurite così, avendo bisogno di un clima caldo come quello dell’India per curarsi, il 9 gennaio 1915 Gandhi sbarcò a Bombay. Anche qui le occasioni per manifestare le idee della nonviolenza e della disobbedienza civile non mancarono affatto, infatti il 30 marzo 1919 iniziò, a Delhi, la prima grande campagna di Satyagraha su scala nazionale per protestare contro le misure restrittive che gli Inglesi imponevano sulla libertà personale degli Indiani, e che intendevano mantenere anche dopo la guerra. Gli aderenti furono invitati a firmare una formale dichiarazione redatta dallo stesso Gandhi, in cui si impegnavano a «disobbedire» nel caso in cui queste leggi venissero applicate. Poiché Gandhi proclamò il Satyagraha un processo di auto purificazione sacra si decise di sospendere il lavoro in tutta l’India per un giorno dedicando tale giornata al digiuno e alla preghiera. Tale processo non ottenne i risultati che ci si aspettava, anzi ebbe l’effetto contrario, così con un atto di grande coraggio il 18 aprile, Gandhi, non curante delle proteste degli estremisti, ordinò la sospensione del movimento.

Gandhi nel 1918

Gandhi nel 1918, durante la satyagraha del Champaran e del Kheda

Successivamente Gandhi assunse la direzione di un settimanale in lingua inglese, «Young India» e di un mensile, «Navajivan», per diffondere le sue idee.

Nel novembre 1921 Gandhi fu condannato a trascorrere due anni di carcere per avere ripreso i moti della nonviolenza contro il Governo Inglese.

Quando venne rilasciato la situazione politica era profondamente mutata e il movimento di non collaborazione aveva perduto ogni vigore. Gandhi propose una nuova campagna di disobbedienza civile basata sulla legge del monopolio del sale che incideva negativamente sopratutto sui poveri. La mattina del 12 marzo 1930, seguito da degli studenti, si diresse, a piedi, verso la costa per prendere qualche grammo di sale in spregio al monopolio.

Per ogni villaggio in cui egli passava, si aggiungeva sempre più gente, per lo più contadini.

Marcia del Sale

Gandhi durante la Marcia del Sale, marzo 1930

Il 5 aprile Gandhi raggiunse il mare a Danni dove in mezzo ad una folla che lo acclamava raccolse qualche grammo di sale; da qui iniziarono i moti del sale, i contadini non pagarono più l'imposta terriera, il boicottaggio dei tessuti stranieri divenne generale, i funzionari legislativi furono colpiti da ostracismo. Gli Inglesi cercarono dapprima di reagire facendo caricare i dimostranti dalla polizia e arrestare i violanti della legge. Gandhi fu arrestato e la direzione della campagna fu assunta dalla moglie, ma venne arrestata anch’essa; succedettero a quest’ultima molti altri capi, tutti arrestati ed in poco tempo le prigioni furono piene.

Il 25 gennaio 1931 Gandhi ed altri membri dell’esecutivo del Congresso vennero liberati senza condizioni; e al termine di una serie di colloqui tra il Viceré e Gandhi, nel febbraio-marzo 1931 fu raggiunto un accordo definito «patto Irwin-Gandhi» per cui il Governo Britannico modificava le leggi sul monopolio del sale, liberava i detenuti politici e revocava le ordinanze speciali ed i procedimenti pendenti e fu raggiunto un vago accordo sulle linee generali della nuova Costituzione. Con l’approssimarsi del Secondo Conflitto Mondiale Gandhi riprese i contatti con il movimento indipendentista, per dichiarare così allo scoppio della guerra l’India come Paese che condannava il nazismo e il fascismo e come Paese che non si sarebbe mai alleato ed avrebbe collaborato alla difesa della democrazia se questa fosse stata applicata anche all’India.

Nell’agosto 1940 il Governo Churchill, dopo il crollo della Francia, negò la richiesta di un trasferimento immediato dei poteri ad un Governo Provvisorio Indiano. Dopo ciò, non avendo ottenuto ciò che voleva, Gandhi riprese la disobbedienza civile.

Questa situazione era molto delicata per il Governo Britannico, il quale non poteva affrontare anche il problema dell’India visto che la maggior parte delle forze erano impegnate nel Conflitto Mondiale. Nessun tentativo di riprendere il colloquio fu tentato fino alla fine della guerra, intanto la moglie di Gandhi morì in carcere dopo un digiuno di protesta. La svolta decisiva si ebbe nel 1945 quando i musulmani esposero le loro tesi nelle quali auspicavano la creazione di uno Stato Musulmano separato, formato con le province in maggioranza musulmane.

Queste tesi prevalsero e il 15 agosto 1947 l’India si spaccò in due Stati distinti: il Pakistan e l’Unione Indiana. Per definire i confini vennero istituite due commissioni miste che stentarono a raggiungere un accordo. Questa situazione tesa e complicata scatenò un guerra tra musulmani ed hindù che alla fine di quel fatale 1947 provocò circa un milione di morti e circa cinque milioni di profughi.

Divisione dell'India

Divisione dell'India (1947)

In questa situazione, Gandhi, ormai vecchio e solo, lottò con tutte le sue forze, pure quando l’India divenne indipendente, rischiando anche di morire di fame, ma riuscendo a portare la calma almeno a Calcutta. Si recò poi a Delhi, dove le violenze degli estremisti hindù erano molto più accese; qui egli ogni sera pregava all’aperto, in quiete.

La sera del 30 gennaio 1948 un giovane fanatico militante lo seguì e lo uccise con colpi di pistola a ripetizione.

Così si chiudeva la vita di Gandhi all’età di 78 anni dopo aver lottato per tutta la vita per affermare un ideale di non violenza e di amore, vittima di quelle stesse passioni che aveva sempre cercato di esorcizzare.

Tratto da www.notiziegeopolitiche.net
(luglio 2014)

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