La guerriglia anticomunista in Romania nel secondo dopoguerra
Un episodio poco conosciuto della difficile vita dell’Europa Orientale negli anni successivi all’ultimo conflitto

Poco fino ad oggi è stato scritto sull’attività di resistenza dei movimenti anticomunisti operanti in Europa Orientale all’indomani della fine del Secondo Conflitto Mondiale. Anche se con la caduta del muro di Berlino gli archivi dei servizi segreti sovietici sono stati scoperchiati e da essi è venuta alla luce una notevole quantità di documenti e testimonianze che dimostrano in maniera inoppugnabile quanto sia il Patto di Varsavia che il Comecon siano stati veri e propri artifici politico-militari ed economici, mal digeriti da gran parte delle popolazioni dei Paesi sottomessi di fatto alla potestà d’imperio sovietica. Non a caso, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni Sessanta furono addirittura alcune centinaia di migliaia i Romeni, Bulgari, Ucraini, Polacchi, Lettoni, Estoni e Lituani che nel più assoluto isolamento e senza ricevere un qualsiasi consistente aiuto dall’Occidente tentarono di ribellarsi ai vari governi comunisti dell’Est sorti sotto la protezione del Cremlino. In questo contesto – se si escludono i movimenti di resistenza croati, cetnici e kossovari, che combatterono anch’essi contro il regime «non allineato» del maresciallo Tito una guerra simile, ma caratterizzata da particolari implicazioni etniche – fu in Romania, Ucraina e nei Paesi baltici che già nell’ultimo scorcio del conflitto si formarono i primi spontanei gruppi di resistenti. Fu infatti nel settembre del 1944, allorquando le armate russe occuparono la Romania abbattendo il regime del maresciallo Antonescu, che alcuni reparti dell’esercito regolare romeno guidati da ufficiali fedeli al Re Michele e al «conducator» decisero di darsi alla macchia e di proseguire la guerriglia contro gli invasori e le forze del nuovo regime filo-comunista installatosi a Bucarest. Di pari passo con l’inasprirsi dei processi e delle esecuzioni sommarie (indetti e ordinati dai commissari politici sovietici contro migliaia di ufficiali e soldati del vecchio esercito nazionale), questa piccola compagine fantasma iniziò ad ingrandirsi, accogliendo nelle proprie file anche diverse centinaia di civili, soprattutto contadini, perseguitati a causa della loro fede cristiana. Tra l’autunno del 1944 e la primavera del 1945, nonostante le feroci rappresaglie condotte dalla polizia comunista e dall’armata russa d’occupazione, in Transilvania iniziarono a formarsi anche diversi nuclei di resistenza composti da appartenenti alla folta minoranza etnica ungherese e tedesca. Quest’ultima, addirittura, riuscì a ricevere qualche modesto aiuto dalla stessa Germania nell’ambito della «Fallschirmschpringer-Aktion»: un’operazione aerea segreta nel corso della quale, per qualche mese, apparecchi tedeschi paracadutarono in Transilvania rifornimenti e un certo numero di consiglieri militari della FAK (Front Aufklarungs Kommando) che già in precedenza, tra il 1942 e il 1944, aveva sostenuto i guerriglieri nazionalisti e anti-comunisti operanti nelle regioni caucasiche musulmane. Nonostante questi (modesti) tentativi di soccorso, nel marzo del 1945 le forze di polizia rumene riuscirono a ripulire i boschi transilvani e ad annientare quasi tutti i gruppi di resistenza, proprio mentre il nuovo governo di Bucarest avviava una grande purga all’interno dei quadri dell’esercito per eliminare qualsiasi soggetto legato al precedente regime di Antonescu o sospettato di favorire i gruppi ribelli. Di conseguenza, diversi vecchi anti-comunisti romeni, alcuni dei quali appartenenti all’ex-«Legione dell’Arcangelo Michele» (formazione parafascista e nazionalista), dovettero prendere la via dei boschi e dei monti, unendosi agli ultimi reparti partigiani ancora in armi. Nel 1947, in seguito alla creazione della Repubblica dei Popoli Romeni, il governo di Bucarest intensificò la sua spietata politica di annientamento delle congregazioni religiose e delle minoranze etniche del Paese, avviando nelle campagne un processo di collettivizzazione forzata dei terreni agricoli (piano completato tra mille difficoltà soltanto nel 1962) che portò all’arresto e all’eliminazione fisica di non meno di ottantamila contadini accusati di essersi rifiutati di consegnare al governo le proprie terre e i propri averi. Queste violente repressioni indussero un migliaio tra piccoli e medi proprietari e braccianti a rifugiarsi nelle foreste e nelle più sperdute ed inaccessibili regioni montane dando vita ad un’organizzazione patriottica chiamata i «Fratelli della Foresta». I membri di questa assai poco nota (almeno in Occidente) compagine sopravvissero e combatterono per anni sulle montagne, grazie al sostegno di gran parte della popolazione contadina. Secondo recenti studi, alcuni reparti di questa organizzazione non soltanto elusero i periodici rastrellamenti condotti dall’esercito regolare, ma rimasero con le armi in pugno addirittura fino al 1960, anno in cui gli ultimi combattenti vennero eliminati dalle forze speciali di Bucarest. Nel 1949, gli ufficiali anti-comunisti datisi alla macchia sulle montagne di Vrancea suddivisero la loro truppa, composta da circa duemila uomini, in due sezioni: la «junior» (formata dagli elementi più giovani) e la «senior» (in cui militavano elementi di età superiore ai quarant’anni). Nell’inverno del ’45 una spia comunista riuscì ad infiltrarsi in una delle due compagini e in breve l’intero contingente finì vittima di un’imboscata tesa da reparti romeni e sovietici. I pochi scampati al massacro, compresi i feriti, vennero fucilati o eliminati con un colpo di pistola alla nuca.

Nel corso di questa lunga e sconosciuta lotta che insanguinò le foreste romene si misero in evidenza alcuni comandanti dalle doti e dal carisma eccezionali come Gheorghe Arsenescu, che oppose resistenza armata sulle montagne meridionali Fagaras fino al 1952, anno in cui scomparve misteriosamente. Dopo una lunga pausa, nel 1959 Arsenescu e la sua banda ripresero improvvisamente ad operare, ma appena dodici mesi più tardi il capo partigiano venne catturato dalle forze anti-guerriglia governative e condotto nella prigione di Campulung Muscel dove fu costretto a suicidarsi. Sui contrafforti settentrionali dei monti Fagaras, un altro gruppo di guerriglieri, guidato dall’ingegnere Gavrilachw, combatté fino al 1956, anno in cui venne preso prigioniero un altro famoso «fratello della foresta», Dumitru Moldoveanu. Prima di essere strangolato con un filo di ferro dai miliziani, quest’ultimo venne torturato, ma la polizia politica non riuscì ad ottenere da lui alcuna informazione sui suoi compagni. Sempre nel 1956, in Transilvania, un altro manipolo di partigiani anti-comunisti venne circondato dai reparti speciali e costretto alla resa dopo un breve ma violento combattimento al termine del quale tutto il gruppo venne passato per le armi. Ed anche la popolazione del vicino villaggio, accusata dalla polizia di avere dato aiuto ai partigiani, venne in seguito massacrata. In quella circostanza i miliziani comunisti uccisero non meno di novecento civili (tra cui molte donne, vecchi e bambini), i cui cadaveri furono gettati nelle capanne e nella chiesa del villaggio che vennero dati alle fiamme con la benzina. È da notare che, nonostante simili fatti fossero noti ai servizi segreti statunitensi e britannici, nulla o quasi venne fatto per sostenere i partigiani romeni che – come accadde anche alle consistenti formazioni dell’UPA («Esercito di Liberazione Ucraino», i cui partigiani combatterono fino al 1956) o lituane (il numeroso «Fronte Attivistico Lituano» che contrastò i Sovietici fino al 1952) – vennero lasciati praticamente al loro destino, soli ad affrontare un nemico infinitamente più forte. Un’eccezione venne però fatta per gli Albanesi «balisti» (formazioni che tra il 1945 e il 1949 opposero una feroce resistenza alle forze jugoslave titine in Kossovo) in quanto questi ultimi per un certo periodo (almeno fino al 1950) furono riforniti ed appoggiati, seppure in maniera del tutto inadeguata, dai reparti speciali dei servizi segreti inglesi di base a Malta, da reparti speciali statunitensi (nella fattispecie la Compagnia 4.000 agli ordini del colonnello F. H. Dunn) e perfino dal governo comunista albanese di Enver Hoxha, notoriamente avverso al regime di Belgrado.

(anno 2004)

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