Storia della Chiesa ed ecologia
Cristianesimo e questioni ambientali: le polemiche. I confronti storici. Il dibattito. Le evidenze

Nel 1967, uno studioso americano, il Professor Lynn White, attribuì in un saggio al Cristianesimo la responsabilità di aver svolto un ruolo negativo nel dominio dell’uomo sulla natura e sugli animali. Davanti a tale posizione diversi Autori replicarono presentando linee di pensiero differenti.


La prima polemica (1967)

Una polemica riguardante il Cristianesimo e il sistema ecologico si sviluppò nel 1967. In quell’anno, il Professor Lynn Townsend White, Junior (1907-1987)[1], studioso americano di storia del Medioevo, espose delle tesi sulle origini della crisi ambientale. Il suo lavoro, dal titolo The Historical Roots of Our Ecological Crisis (Le radici storiche della nostra crisi ecologica), fu pubblicato nella rivista «Science».[2] Il saggio venne tradotto da Silvia Laila in italiano nel numero di marzo/aprile del 1973 della rivista «Il Mulino». White volle attribuire al Cristianesimo un ruolo negativo esercitato nel dominio dell’uomo sulla natura e sul mondo animale, portando così alla crisi ecologica. La tesi di questo Autore è stata così riassunta da Giorgio Nebbia[3]:

«Fino a quando le comunità umane sono state animiste e politeiste, hanno osservato la natura circostante con meraviglia e rispetto, addirittura associando alle sorgenti, ai boschi, ai raccolti, delle divinità (il “genius loci”) da propiziarsi e ringraziare per i doni che fornivano attraverso i cicli naturali. L’avvento della religione giudaica e poi cristiana ha spazzato via le precedenti divinità affermando l’esistenza di un Dio che è lui creatore e che ha assegnato all’uomo una posizione al di sopra della natura, chiamato ad un destino “sovrannaturale”. Lo spiega bene il racconto della creazione contenuto nel primo capitolo del primo libro del Genesi, in cui al versetto 28 Dio affida all’uomo il compito di “sottomettere e dominare” la Terra e quindi vegetali e animali e corpi naturali, strumenti per la trascendenza che è il fine ultimo e unico dell’uomo stesso.

Non c’è da meravigliarsi, sostenne White, se, nel loro lungo cammino, le società occidentali cristiane si sono sviluppate prendendo alla lettera questo invito, senza esitare a distruggere montagne e foreste, a uccidere gli animali con la caccia, tutte cose che facevano comodo, perché tanto la missione umana aveva come obiettivo finale l’aldilà. L’unica figura del Cristianesimo che ha riconosciuto l’acqua, il cielo, gli animali allo stato naturale, il fuoco, come sorelle e fratelli, sullo stesso piano, non al di sotto degli umani, è stato Francesco d’Assisi, diventato Santo nonostante il contenuto un po’ eretico e sovversivo della sua predicazione, e che ben avrebbe meritato, scrisse White, di essere proclamato patrono degli ecologisti».[4]


Le reazioni. Sul piano biblico

In tempi successivi alla pubblicazione dell’articolo di White, vennero diffuse diverse monografie mirate a contraddire le affermazioni dello studioso americano. Sul piano biblico, ad esempio, si ricordò che sono due i racconti della creazione nella Bibbia. 1) Quello contenuto nel primo capitolo, con l’invito a dominare la Terra, è la redazione «sacerdotale» relativamente più recente. 2) Nel secondo capitolo (la redazione «jahwista» di un paio di secoli prima) invece c’è un altro racconto; al versetto 15 Dio pone l’uomo «nel giardino» dandogli il compito di coltivarlo e custodirlo e in molti altri passi la Bibbia ricorda all’uomo che la Terra non è sua, ma di Dio, che gliel’ha data in prestito.[5]

Esistono poi ulteriori interpretazioni. Nel linguaggio semitico (che esprime un modo di «leggere» le realtà circostanti), «sottomettere» (traduzione dal latino) non esprime solo un’idea di coercizione (quindi di forza). Può indicare anche una scala di valori (quindi di importanza) ove l’uomo è al vertice. Di conseguenza la natura costituisce il contesto ambientale. Anche il verbo «dominare» (traduzione dal latino) non conduce necessariamente verso un’idea di controllo assoluto ma, nel contesto biblico del Genesi, indica attuazione di compiti, di responsabilità. Quest’ultimo aspetto nasce dal fatto che la creazione non è opera dell’uomo ma di Dio. L’antropocentrismo, quindi, deve tener conto di un teocentrismo. Tale idea è più volte sottolineata nell’Antico Testamento. Si pensi ad esempio al Salmo 19,2: «I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia».

In tale contesto, occorre pure ricordare che l’insegnamento evangelico utilizza più aspetti della natura per far riflettere sulla bontà di Dio. Si riporta qui un esempio: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre» (Vangelo secondo Matteo 6, 25-34). «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro” (Vangelo secondo Matteo 6, 28-29).

Ulteriori citazioni, poi, hanno aiutato i fedeli a meditare sull’umiltà del Figlio di Dio: «Cavalcando un’asina per il suo ingresso nella città di “Davide, suo padre”» (Vangelo secondo Luca 1,32).


L’analisi storica. Il pensiero ebraico-cristiano

Ovviamente, oltre alle sottolineature riportate in precedenza, altri argomenti sono stati usati per contrastare la tesi di White. In particolare, viene sottolineato che il pensiero ebraico-cristiano ha certamente demitizzato la natura.[6] Non le ha più attribuito quel carattere sacrale che incuteva timore, paura, ansia. Per un lungo periodo, infatti, il mondo antico aveva promosso molteplici culti a figure collegate alla natura.[7] Tra queste, si può ricordare Demetra («Madre dispensatrice»): antichissima divinità materna della Terra.

Questa dea simboleggia l’energia materna per eccellenza. Quando a Demetra fu attribuita una genealogia per inserirla nel Pantheon classico greco, divenne la figlia dei Titani Crono e Rea. Sorella di Zeus. Veniva considerata la dea dell’abbondanza, del grano e dell’agricoltura. Colei che nutre la gioventù e la terra verde. Artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte. La divinità che protegge il raccolto e le leggi sacre. Demetra viene solitamente raffigurata mentre si trova su un carro, ed è frequentemente associata ai prodotti della terra, come fiori, frutta e spighe di grano.[8] L’antico tempio a lei dedicato, era posto sull’acropoli di Eleusi (Grecia), nell’Attica Occidentale. Vi si svolgevano i cosiddetti Misteri Eleusini.[9]

Nel 381 il santuario fu chiuso per ordine dell’Imperatore Teodosio I. Pochi anni dopo Eleusi fu conquistata e saccheggiata dai Visigoti (Germani Orientali). Nel 396 la cittadina venne abbandonata. Tale evento rimane a significare in modo simbolico la fine di un’epoca. Rimangono, però, acquisiti dal patrimonio dell’umanità alcuni concetti chiave del culto di Demetra. Si pensi, ad esempio, all’idea di «rinascita» (mutare condizione spirituale) e a quella di «iniziazione» (condurre fuori dall’oscurità fin verso la luce della vita).


Una diversa lettura della natura

Una volta demitizzata la natura, il Cristianesimo ha di conseguenza favorito un passaggio da una visione religiosa di tipo naturalistico (che attribuiva sacralità al sole, alla luna, agli alberi, alle fonti, agli animali…) a una lettura della natura come espressione di Dio che si è auto-rivelato. Tale fatto ha condotto a dei mutamenti. Il creato ha perso l’aspetto di un’entità incombente e oscura, difficile da interpretare (osservando ad esempio il volo degli uccelli, o le viscere di animali), minacciosa e pericolosa in taluni casi (collera degli dei), sovrastante comunque la debolezza umana (lampi, tuoni, maremoti, tempeste). È diventato piuttosto l’espressione di un’unica Paternità: quella di Dio. In tal senso, le diverse manifestazioni della natura non costituiscono dei messaggi (favorevoli o sfavorevoli) per chi è ansioso di conoscere il presente o il futuro. Al contrario, è la stessa Parola di Dio che indica l’orientamento, che accompagna a comprendere un unico Disegno di Redenzione. Unitamente a ciò permane nel Cristianesimo una posizione favorevole verso ogni espressione della natura. Tale linea si basa sull’affermazione dell’Apostolo Paolo: «Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono» (Prima Lettera a Timoteo 4,4).[10]


Forme di valorizzazione del creato

Evidentemente, se le manifestazioni della natura non sono più da interpretare come azioni di esseri immortali (dèi e dee), di divinità agresti (esempio: Pan[11]), molteplici elementi inseriti nel Creato hanno assunto un nuovo ruolo.

1) L’acqua è diventata simbolo di vita, di purificazione, di rinascita in Cristo. È utilizzata nell’amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali (esempio: benedizioni, esorcismi). Si inserisce in modo simbolico in un reale processo salvifico: l’anima vuole bere l’Acqua Viva, quella che disseta per sempre: Gesù (Vangelo secondo Giovanni 4, 1-43).

2) I prodotti della terra non sono unicamente dei segni di Dio buono e misericordioso. Costituiscono anche elementi offerti dal sacerdote a Dio, durante la celebrazione della Messa, nel momento dell’epìclesi (invocazione). In tale fase, la Chiesa prega il Padre di mandare il suo Santo Spirito (o la potenza della sua benedizione) sul pane e sul vino, perché diventino, per la sua potenza, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, e perché coloro che partecipano all’Eucaristia siano un solo corpo e un solo spirito.

3) Un altro prodotto della terra, l’olio, è utilizzato dalla liturgia cattolica nell’unzione sacramentale: dei neonati, dei cresimandi, dei nuovi sacerdoti, degli infermi.[12] Si ricordi, al riguardo, che lo stesso termine «Cristo» è parola di origine greca che traduce letteralmente il termine ebraico Messia, che significa «unto», cioè scelto, consacrato, inviato di Dio.

4) Anche l’uso del sale in ambito liturgico ha un proprio significato. Questo elemento che dà sapore è simbolo della vera sapienza, che dona gusto alla vita spirituale.

5) Esistono ancora realtà ove la natura «partecipa» nella cura dei sofferenti. Si pensi all’uso delle erbe medicinali.[13] Sul piano storico, i monaci che erano incaricati di coltivare e di conservare le piante officinali, arrivarono a sviluppare significative competenze. Oltre a ricevere insegnamenti dai predecessori, diversi religiosi si dedicarono di persona allo studio degli antichi testi di medicina, e alla preparazione di rimedi naturali contro più tipi di malattie. Il luogo ove erano conservate le erbe mediche fu dotato di mortai e di alambicchi. Si trasformò in un laboratorio specializzato. Si tratta della cosiddetta «spezieria». È presente tra il XVII e il XVIII secolo in molti monasteri.

Oltre alle erbe medicinali, si può ricordare anche l’uso di spalmare grasso di maiale sulle parti del corpo colpite dal cosiddetto «fuoco di Sant’Antonio». Questo, è un’infezione da Herpes Zoster, lo stesso virus che causa la varicella. Il nome «herpes zoster» deriva dal greco «herpo» («strisciare») e «zoster» («cintura»), per indicare gli effetti di questa patologia che si insinua nel corpo come un serpente di fuoco.[14]


La montagna, i boschi

6) C’è poi, sul piano storico, un’interessante riflessione cristiana che riguarda la montagna.[15] In genere, in testi di più autori, l’escursione in direzione di una vetta diventa un esempio di progressivo, faticoso, avvicinamento alla meta. Si crea in tal modo un parallelismo con l’ascesi spirituale. L’ascesa «verso l’alto» implica una progressione di passi, una concentrazione, e una visione finale esaltante (in senso spirituale: beatifica).[16] È in tale contesto che, nel corso del tempo, lungo i sentieri montuosi, sono state edificate edicole con Crocifissi (o con immagini mariane). Pure sulle vette sono state innalzate delle Croci. In quest’ultimo caso, non si è voluto indicare solo il momento finale della «Passio Christi», ma si è inteso proclamare anche la Regalità di Cristo, Signore dell’Universo.

7) Gli stessi boschi hanno acquistato un significato nel Cristianesimo. In particolare, l’attenzione si è rivolta all’abete (usato a Natale). Tale albero è considerato «segno di vita» perché è un «sempreverde», non perde le foglie, non muta aspetto d’inverno. Da qui, il collegamento con il libro dell’Apocalisse: «albero della vita» (Apocalisse 2,7).


L’opera benedettina

Nel contesto delineato occorre ricordare l’opera svolta dai monaci e dal movimento francescano a tutela anche della natura. A livello storico, il monachesimo ha costituito un anello di congiunzione tra l’epoca antica e quella medievale.[17] Già alla fine del VI secolo è possibile constatare la presenza di una rete molto operosa di monasteri. Con i Benedettini, fedeli al principio dell’«ora et labora»[18], sono state promosse molteplici iniziative rispettose dell’ecosistema. Nella Regola di San Benedetto[19], posta alla base della vita comunitaria, si individuano alcune idee significative: 1) il lavoro, insieme alla preghiera, è considerato un momento ove prosegue il rapporto spirituale con Dio; 2) l’auto-sostentamento non è un fattore mortificante, non condiziona la vita ascetica, ma è un modo utile per affrontare le esigenze primarie, quotidiane. È in tale contesto che si svilupparono delle attività che ebbero riflessi importanti anche sulle opere agricole. Nelle fondazioni avvenute in diversi Paesi i monaci dimostrarono agli abitanti di più località di saper prosciugare paludi, arare i campi, ottenere raccolti, attivare industrie o metodi di produzione. Venne introdotto, ad esempio, l’allevamento del bestiame e dei cavalli (con miglioramento delle razze). Si arrivò a fabbricare la birra. Fu rivolta attenzione all’apicoltura, alla frutticoltura. Attraverso il lavoro dei monaci si poté realizzare il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, l’organizzazione dei vivai di salmone in Irlanda e lo sviluppo dei vigneti. Con il trascorrere del tempo i monaci costruirono canali di irrigazione (esempio: in Lombardia) e laghi artificiali per distribuire le acque in periodi di siccità. I monaci di Saint Laurent e di Saint Martin (Francia), per non far disperdere le acque di più sorgenti furono capaci di deviarle in direzione di Parigi. I risultati raggiunti nell’agricoltura favorirono i singoli monasteri ma anche l’attività commerciale che si svolgeva all’esterno della comunità.[20]


Il movimento francescano

In Francesco di Assisi[21] l’approccio con la natura non rimase un fatto marginale, privo di significato. Nelle diverse espressioni di quest’ultima il Santo ritrovava l’incontro con la Presenza di Dio. In tal senso, il figlio di Pietro di Bernardone, non si spinge verso una visione immanentistica (che nega Cristo-Persona), e non si attarda ad ammirare la mera bellezza di realtà floreali o boschive (esaltate dai poeti), ma guarda all’Autore unico di tutto il Creato. Nella natura egli «vede» armonia, equilibrio, invito a rasserenare il proprio animo e a far pace. Il silenzio della natura conduce alla solitudine, non all’isolamento. È in tale contesto che si struttura una riflessione sul valore della natura. Se essa proviene da Dio non può essere sfigurata, rovinata, sfruttata.

Quando il Santo arriverà all’ultimo periodo della sua vita la sua vista sarà ormai rovinata da una malattia (forse derivata da un’infezione in Medio Oriente). Ormai è quasi cieco. Ed è proprio in questo tempo che egli decide di comporre una lauda spirituale: il Cantico di frate sole (o delle creature). Come avviene in ogni esperienza religiosa, anche Francesco ha potuto meditare in tempi precedenti molti passi della Sacra Scrittura. E nelle stesse pagine della Bibbia ha trovato il Salmo 148 che invita a lodare Dio. Il testo venne scritto dopo il ritorno del popolo di Israele dall’esilio di Babilonia e la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. L’Autore si rende conto che il pensiero contraddittorio, mitologico, dei pagani, distende sulla Creazione un velo capace di nascondere i segni dell’unico vero Creatore. Per tale motivo egli esorta ogni realtà invisibile e visibile a inneggiare a Dio.

Francesco seguirà l’insegnamento del Salmista, ma lo farà con una partecipazione personale più accentuata, più gioiosa, sviluppando contemporaneamente un insegnamento per i suoi contemporanei. Dopo aver lodato il Signore del Cielo e della Terra, dopo aver invitato a riscoprire la bellezza di Dio attraverso i segni del Suo Amore, il Santo accompagna ogni fedele a esaminare la propria vita, a convertirsi, e a far pace. L’esaltazione di Dio e delle sue creature, quindi, non deve rimanere solo un impulso emotivo, anche se gioioso, ma deve ricondurre alle proprie responsabilità, alle scelte di vita, e alla misericordia.[22]

Monaci nei campi

Jörg Breu, Monaci Cistercensi che lavorano nei campi, 1500, Stiftskirche, Zwettl

La benedizione dei contadini, della terra e degli animali

Nel contesto delineato, Antoniani[23], Benedettini e Francescani, oltre ad altri Ordini religiosi, hanno offerto nel tempo un contributo alla Chiesa che ha riversato effetti positivi anche sul sistema ecologico. Tra queste conseguenze si possono ricordare: 1) il rispetto di ogni creatura in quanto tale; 2) la non alterazione degli ambienti (attenzione al ciclo della natura, delle stagioni).

Tale sensibilità verso il Creato si è sviluppata pure con cerimonie religiose ove si benedicono i contadini, le terre coltivate e gli stessi animali. Benedire i contadini significa riconoscere in ogni persona un collaboratore di Dio. Benedire le terre esprime attenzione verso i luoghi della fatica umana, ove il fedele si santifica con il proprio lavoro. Benedire gli animali (agnelli, vitelli, cavalli e animali d’allevamento…) conduce a guardare con gratitudine a quelle specie che, in un complessivo Disegno di Redenzione, forniscono compagnia, aiuto e alimento ai figli di Dio.

Con riferimento al mondo animale, in particolare, può essere utile ricordare le fonti liturgiche. Fin dai secoli VIII e IX sono attestate molte benedizioni: sulle persone (Vescovi, Abati, penitenti o catecumeni, malati), sulle cose destinate al culto (dalle chiese agli altari, dalle suppellettili per la celebrazione eucaristica all’acqua o sale) e su quegli elementi che sono necessari per la vita dell’uomo (semine, primizie, animali, case, attrezzi di lavoro). I liturgisti hanno poi voluto distinguere tra benedizioni costitutive e invocative. Le prime conferiscono alla persona o all’oggetto un carattere sacro, togliendoli dall’uso comune o profano (esempio: benedizione di un calice per la celebrazione eucaristica o di un edificio destinato al culto come una cappella). Le seconde, invece, chiedono un particolare bene spirituale o materiale (a Pasqua si benedicono le uova e l’agnello).[24]

Nel contesto descritto, l’efficacia spirituale delle benedizioni – nella fede della Chiesa – dipende dalla disposizione di chi le riceve e dalla preghiera della Chiesa stessa. Occorre inoltre sottolineare un aspetto significativo. La benedizione della Chiesa si rivolge sempre all’uomo. Anche quando si benedicono le cose e i luoghi che si riferiscono all’attività umana, si tiene presenti gli uomini che usano quelle determinate cose e operano in quei determinati luoghi. L’uomo infatti, per il quale Dio ha voluto e ha fatto tutto ciò che vi è di buono, è il depositario della Sua Sapienza e con i riti di benedizione attesta di servirsi delle cose create, in modo che il loro uso lo porti a cercare Dio, ad amare Dio. A servire fedelmente Dio solo.[25]


La seconda polemica (anni Ottanta del XX secolo)

Dopo il dibattito successivo alle affermazioni del Professor Lynn Townsend White (1967), il confronto tra studiosi si è in un certo senso più «circoscritto», riducendo lo spazio temporale da esaminare. Il quesito, adesso, è legato a una domanda provocatoria: è vero che i Cristiani nei primi secoli non apprezzarono la bellezza del creato? A tale interrogativo ha risposto, tra gli altri, il Professor Ezio Gallicet.[26] Lo ha fatto con l’articolo I cristiani e la natura (1982)[27], e con la relazione presentata al convegno nazionale di Torino del 1997 (I cristiani del II e III secolo di fronte alla natura).[28] Egli ha dimostrato l’infondatezza di giudizi deboli. In pratica: gli antichi Cristiani non sono rimasti indifferenti o addirittura ostili davanti alle meraviglie della natura.

Per Gallicet è vero che la visione platonica, e soprattutto la visione gnostica e manichea, riversarono influssi sul pensiero cristiano. Ne derivò in più fedeli uno sguardo pessimistico verso la materia. Unitamente a ciò, però, è documentata nei Cristiani un’avversione verso la concezione dualista del mondo. Quest’ultima aveva sviluppato un modo di vedere ove il regno del bene era in opposizione a quello del male. In tale contesto, occorre sottolineare che il Simbolo di Fede (il «Credo») proclama Dio creatore «di tutte le cose visibili e invisibili». Tale affermazione dimostra che i Cristiani non accolsero mai la totale scissione tra il mondo intellegibile e il mondo sensibile. Se il messaggio dell’Antico Testamento era profezia e figura del Nuovo, diventava chiaro che la sostanza materiale, costitutiva della natura e dell’uomo, era buona perché opera di Dio.

L’interesse per il mondo naturale, ha affermato inoltre Gallicet, ha condotto i Padri della Chiesa a riaffermare l’onnipotenza di Dio, mostrando che la natura «non deve essere adorata al posto del creatore», come invece facevano i discepoli delle dottrine stoiche e astrologiche. Questo atteggiamento ha aperto all’uomo la strada della libertà nel suo atto di fede. In tale contesto, il filosofo cristiano Atenagora di Atene[29] esclamava: «È veramente bello il mondo e nella sua grandezza tutto abbraccia, sia per la disposizione degli astri dell’eclittica e del settentrione, sia per la sua figura sferica; ma non si deve adorare il mondo, bensì il suo artefice... Se il mondo è come uno strumento armonico suonato secondo un ritmo, io non adoro lo strumento, ma colui che lo ha armonizzato, che fa uscire i suoni e intona con esso un’armoniosa melodia».[30]


Oltre le polemiche. Il magistero dei Pontefici

Nel corso del tempo l’insegnamento dei Pontefici sulla Creazione ha sempre confermato un punto chiave: tutto ci è stato donato da Dio e tutto ritorna a Lui. È proprio questo concetto di «dono» a vincolare ogni fedele a un rispetto verso ogni segno della Paternità divina. Evidentemente, nella consapevolezza di aver ricevuto gratuitamente dei beni, ogni Cristiano ringrazia il Signore, lo loda e tutela gli ambienti che lo circondano. Tale linea pedagogica arriva fino all’attuale periodo. In particolare, i diversi Papi avvertiranno sempre più l’esigenza di inserire nel proprio magistero la questione ecologica.[31]


Giovanni XXIII[32]

Nel 1961, nella Lettera Enciclica Mater et Magistra (numero 115), ha fatto anche riferimento alla questione agricola: «Anzitutto è indispensabile che ci si adoperi, specialmente da parte dei poteri pubblici, perché negli ambienti agricolo-rurali abbiano sviluppo conveniente i servizi essenziali, quali: la viabilità, i trasporti, le comunicazioni, l’acqua potabile, l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione di base e l’istruzione tecnico-professionale, condizioni idonee per la vita religiosa, i mezzi ricreativi e perché vi sia una disponibilità di quei prodotti che acconsentano alla casa agricolo-rurale di essere arredata e di funzionare modernamente».[33]


Paolo VI[34]

Nella Lettera Enciclica Populorum Progressio (1967) ha descritto la terra come un grande dono di Dio per il progresso di tutta l’umanità (numero 22). Nel 1971, nella Lettera Apostolica Octagesima Adveniens (numero 21) afferma quanto segue: «Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono scelte per lui, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica quanto inattesa dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il Cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune».

Nel marzo 1971 Paolo VI ha chiamato «creature anch’esse» l’aria e le acque compromesse dagli inquinamenti.[35] E si è rivolto ai partecipanti alla conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (Stoccolma, 5-16 giugno 1972) con un messaggio particolarmente incisivo.[36]


Giovanni Paolo II[37]

Nella Lettera Enciclica Redemptor Hominis (1979) ha sottolineato (numero 15) quanto segue: «L’uomo d’oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto. Deve nascere, quindi, un interrogativo: per quale ragione questo potere, dato sin dall’inizio all’uomo, potere per il quale egli doveva dominare la terra, si rivolge contro lui stesso? L’uomo sembra spesso non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo. Invece, era volontà del Creatore che l’uomo comunicasse con la natura come “padrone” e “custode” intelligente e nobile, e non come “sfruttatore” e “distruttore” senza alcun riguardo».

Sempre nel 1979 (novembre) Papa Wojtyla ha voluto proclamare San Francesco patrono degli ecologisti. In seguito, nella Sollicitudo Rei Socialis (1987), ha inteso nuovamente chiarire (numero 34) anche un punto: «Il carattere morale dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per gli esseri che formano la natura visibile e che i Greci, alludendo appunto all’ordine che la contraddistingue, chiamavano il “cosmo”. Non si può fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri viventi o inanimati – animali, piante, elementi naturali – come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche. Al contrario, occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch’è appunto il cosmo».

Nel 1990, Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la XXIII Giornata mondiale della pace, ha voluto inserire anche le seguenti affermazioni: «Si avverte ai nostri giorni la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata, oltre che dalla corsa agli armamenti, dai conflitti regionali e dalle ingiustizie tuttora esistenti nei popoli e tra le Nazioni, anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura, dal disordinato sfruttamento delle sue risorse e dal progressivo deterioramento della qualità della vita. Di fronte al diffuso degrado ambientale, l’umanità si rende ormai conto che non si può continuare a usare i beni della terra come nel passato. L’opinione pubblica e i responsabili politici ne sono preoccupati, mentre studiosi delle più diverse discipline ne esaminano le cause. Sta così formandosi una coscienza ecologica, che non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi trovando adeguata espressione in programmi e iniziative concrete».

Nel 1991, nella Lettera Enciclica Centesimus Annus, il Pontefice è tornato ad affrontare ancora (numero 37) il tema dell’ambiente: «Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui.

Non si tratta, infatti, solo di dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, a entrare nel circolo dello sviluppo economico e umano. Ciò sarà possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società».

Nella Lettera Apostolica Evangelium Vitae, inoltre, Giovanni Paolo II nel 1995 ha spiegato (numero 27) che è «da salutare con favore anche l’accresciuta attenzione alla qualità della vita e all’ecologia, che si registra soprattutto nelle società a sviluppo avanzato, nelle quali le attese delle persone non sono più concentrate tanto sui problemi della sopravvivenza quanto piuttosto sulla ricerca di un miglioramento globale delle condizioni di vita. Particolarmente significativo è il risveglio di una riflessione etica attorno alla vita: con la nascita e lo sviluppo sempre più diffuso della bioetica vengono favoriti la riflessione e il dialogo su problemi etici, anche fondamentali, che interessano la vita dell’uomo».

Il 24 marzo 1997, in un Discorso a un convegno su «Ambiente e Salute», il Papa ha accentuato (numero 2) un’idea: «L’aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell’ambiente: l’ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l’ambiente come “casa”. A causa dei potenti mezzi di trasformazione offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l’equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto un punto critico».

Nell’Udienza generale del 17 gennaio 2001, Giovanni Paolo II ha ricordato (numero 4): «Occorre, perciò, stimolare e sostenere la “conversione ecologica”, che in questi ultimi decenni ha reso l’umanità più sensibile nei confronti della catastrofe verso la quale si stava incamminando. L’uomo non più “ministro” del Creatore. Ma autonomo despota, sta comprendendo di doversi finalmente arrestare davanti al baratro. Non è in gioco, quindi, solo un’ecologia “fisica”, attenta a tutelare l’habitat dei vari esseri viventi, ma anche un’ecologia “umana” che renda più dignitosa l’esistenza delle creature, proteggendone il bene radicale della vita in tutte le sue manifestazioni e preparando alle future generazioni un ambiente che si avvicini di più al progetto del Creatore».[38]


Benedetto XVI[39]

Nel Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (8 gennaio 2007) ha voluto ricordare (terzo paragrafo) un dramma: «Tra le questioni essenziali, come non pensare ai milioni di persone, specialmente alle donne e ai bambini, che mancano di acqua, di cibo, di un tetto? Lo scandalo della fame, che tende ad aggravarsi, è inaccettabile in un mondo che dispone dei beni, delle conoscenze e dei mezzi per porvi fine. Esso ci spinge a cambiare i nostri modi di vita, ci richiama l’urgenza di eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e soprattutto per domani».

Nel 2009 il Papa, nella Lettera Enciclica Caritas in Veritate ha inserito (numero 48) anche questa riflessione: «Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale. Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera. Se la natura, e per primo l’essere umano, vengono considerati come frutto del caso o del determinismo evolutivo, la consapevolezza della responsabilità si attenua nelle coscienze. Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso, e viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano».

Il 22 settembre del 2011, Benedetto XVI, rivolto al Reichstag di Berlino, ha sottolineato (ottavo paragrafo) anche quanto segue: «L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza un punto che – mi pare – venga trascurato oggi come ieri: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana».[40]


Papa Francesco[41]

Nel 2012, nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, ha voluto chiarire (numero 56) anche questo punto: «Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta. Si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente».

Il 2015 è l’anno della Lettera Enciclica Laudato si’.[42] In tale documento il Pontefice ha sottolineato (numero 217) anche i seguenti concetti: «Se i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi, la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore [...] che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra».

Il 23 settembre 2019 Papa Francesco ha trasmesso anche un videomessaggio in occasione del «Climate Action Summit» promosso dall’ONU. Nel testo si trova anche questo passaggio (settimo paragrafo): «Il problema del cambiamento climatico è legato a questioni di etica, equità e giustizia sociale. L’attuale situazione di degrado ambientale è legata al degrado umano, etico e sociale, come sperimentiamo ogni giorno. E questo ci obbliga a riflettere sul senso dei nostri modelli di consumo e di produzione e ai processi di educazione e di sensibilizzazione per renderli coerenti con la dignità umana. Siamo di fronte a una “sfida di civiltà” in favore del bene comune. E questo è chiaro, com’è anche chiaro che ci sono una molteplicità di soluzioni che sono alla portata di tutti, se adottiamo, a livello personale e sociale, uno stile di vita che incarni l’onestà, il coraggio e la responsabilità».[43]


Alcune considerazioni di sintesi

Le precedenti annotazioni sono servite a delineare un contesto più ampio di quello considerato da Lynn Townsend White, Junior. Questo Autore, infatti, ha sviluppato un’analisi che sembra non distinguere tra la storia della Chiesa nelle sue molteplici espressioni, e le responsabilità attribuibili a specifici uomini e gruppi di potere (organi governativi, industrie, uomini politici). In tal senso alcuni punti rimangono significativi.

1) In periodo medievale, già San Tommaso d’Aquino[44] specificava che vi è un ordine della Creazione secondo cui le creature meno nobili, cioè quelle sprovviste di libero arbitrio e di ragione, come per esempio gli animali, sono subordinate a quelle più nobili dotate di ragione e libero arbitrio come l’uomo, ma che tutte le creature, quelle nobili e quelle meno nobili, partecipano della perfezione della Creazione che risplende della bontà divina.[45] Inoltre, questo teologo domenicano chiariva che sebbene vi sia questo rapporto gerarchico tra le creature, non significa che l’uomo possa distruggere parti della creazione, tanto che anche prima del peccato originale l’uomo fu inserito nel paradiso terrestre per averne cura, per coltivarlo e per custodirlo.[46]

2) Si riscontra poi, in ambito storico, un’attenzione delle comunità cristiane verso le diverse espressioni del Creato anche attraverso percorsi pedagogici. Momenti di particolare raccoglimento (esempio: esercizi spirituali) sono organizzati in luoghi distanti dai centri abitati, valorizzando le bellezze naturali e il silenzio. Lo stesso orientamento lo si ritrova nella fondazioni di eremi, monasteri (esempio: Camaldoli, Vallombrosa), trappe, certose, istituti religiosi. In pratica, gli ambienti naturali costituiscono i luoghi più indicati per affrontare un itinerario della mente verso Dio.

3) Quando, con il trascorrere del tempo, determinati gruppi di potere (a vari livelli) divennero responsabili di abusi sulla vita di popolazioni locali e sull’assetto delle loro terre, uomini di Chiesa (XVII-XVIII secolo) sostennero i diritti degli indigeni. Negli anni, varie proteste saranno neutralizzate, ma non mancheranno anche dei nuovi impulsi a tutela della natura. Un esempio è dato dalla promozione in più Paesi di aree protette (parchi e riserve). In USA si possono ricordare: Yosemite Park (1864) e il Parco di Yellowstone (1872).


Qualche indicazione bibliografica

Autori Vari, Colorare il mondo. L’ecologia integrale di Papa Francesco, Edizioni Terra Santa, Milano 2019

Autori Vari, Una ecologia per l’uomo. La Chiesa, il creato, l’ambiente, a cura di G. Vigini, Medusa Edizioni, Milano 2014

J. Arnould, La Chiesa e la storia della natura, Jaca Book, Milano 2003

H. Blumenberg, La leggibilità del mondo. Il libro come metafora della natura, Il Mulino, Bologna 1989

W. Burkert, I Greci, volume VIII della Storia delle religioni, Jaca Book, Milano 1984; nuova edizion e aggiornata e ampliata con il titolo La religione greca di epoca arcaica e classica, 2003

M. Carbajo Nuñez, Ecologia francescana. Radici della Laudato si’, Aracne, Roma 2017

M. Colombás García, Il monachesimo delle origini. Uomini, fatti, usi e istituzioni, Jaca Book, Milano 2019

L. Conti, L’infalsificabile libro della natura alle origini della scienza, Edizioni Porziuncola, Assisi 2004

La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana, Edimedia (Firenze) 2013.


Note

1 Autore di libri sull’evoluzione della tecnologia nel Medioevo. Il testo Tecnica e società nel Medioevo è stato tradotto anche in italiano dal Saggiatore (Milano 1976).

2 «Science», 10 marzo 1967, volume 155, numero 3.767.

3 Professor Giorgio Nebbia (1926-2019). Ordinario di Merceologia all’Università di Bari. Vi insegnò dal 1959 al 1995.

4 G. Nebbia, Lynn White (1907-1987), Editoriale, in: «Altronovecento», Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia, numero 13, dicembre 2008.

5 G. Ravasi, Il Libro del Genesi, EDB, due volumi, Bologna 2000.

6 Sul pensiero ebraico in particolare confronta anche: Autori Vari, Ecologia&Ebraismo. Dove la natura e il sacro si incontrano, a cura di E. Bernstein, Giuntina, Firenze 2000.

7 Su questo punto confronta anche: A. Angelini-A. Re, Parole, simboli, e miti della natura, Qanat, Palermo 2012.

8 W. Burkert, I Greci, volume VIII della Storia delle religioni, Jaca Book, Milano 1984; nuova edizione aggiornata e ampliata con il titolo La religione greca di epoca arcaica e classica, 2003.

9 A. Tonelli, Eleusis e Orfismo. I misteri e la tradizione iniziatica greca, Feltrinelli, Milano 2015.

10 Confronta anche: Sant’Agostino, La bellezza, Città Nuova, Roma 1998, pagina 103.

11 Dal suo nome deriva il sostantivo «panico». Ciò è legato al fatto che Pan si adirava con chi lo disturbava. In tali occasioni emetteva urla terrificanti. Queste provocavano una incontrollata paura in chi gli era vicino.

12 G. P. De Santis, Il simbolismo dell’olio nei sacramenti dell’iniziazione cristiana, Viverein, Monopoli (BA) 2008.

13 A. M. Foli, La farmacia di Dio. Antichi rimedi per la salute, il buon umore, la bellezza e la longevità dalla tradizione monastica e francescana, Edizioni Terra Santa, Milano 2020.

14 C. Gelmetti, Il fuoco di Sant’Antonio. Storia, tradizioni e medicina, Springer, Berlino 2007.

15 M. M. Davy, La montagna e il suo simbolismo, Servitium, Milano 2000.

16 G. Ravasi, L’allenamento per chi vuole salire. Teologia e mistica della montagna biblica, in «L’Osservatore Romano», 30-31 agosto 2010.

17 Confronta anche: Atlante storico del monachesimo orientale e occidentale, a cura di J. M. Laboa, Jaca Book, Milano 2016.

18 «Ora et labora» è il motto che sintetizza la spiritualità monastica. Nella Regola di San Benedetto l’indicazione è la seguente: «Certis temporibus occupari debent fratres in labore manuum, certis iterum horis in lectione divina» (capitolo 48).

19 Benedetto da Norcia (480 circa-547; Santo).

20 T. E. Woods, Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale, confronta il capitolo terzo, Cantagalli, Siena 2007.

21 Francesco di Assisi (1181/1182-1226; Santo).

22 C. Paolazzi, Lode a Dio e Cantico di frate sole, in: «Antonianum», numero 94, 2019, pagine 769-786.

23 Si tratta dei Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne (1095). Ordine ospedaliero e monastico-militare. Confronta anche: I. Ruffino, Canonici regolari di Sant’Agostino di Sant’Antonio di Vienne, in: «Dizionario degli Istituti di Perfezione», volume II, Paoline, Roma 1975, pagine 134-141.

24 Confronta anche: Anamnesis, I sacramentali e le benedizioni, Marietti, Bologna 1992. V. Mauro, La benedizione degli animali, in: «Toscana oggi», 26 settembre 2020.

25 C. Westermann, La benedizione nella Bibbia e nell’azione della Chiesa, Queriniana, Brescia 1997.

26 Professor Ezio Gallicet (1931-2015). Docente all’Università di Torino.

27 E. Gallicet, I Cristiani e la natura: da Clemente Romano ad Atenagora, in: «Civiltà classica e cristiana», 3, 1982, pagine 205-234.

28 Autori Vari, L’uomo antico e la natura, Atti del convegno nazionale di studi (Torino, 28-30 aprile 1997), a cura di R. Uglione, CELID, Torino 1998.

29 Atenagora di Atene (133 dopo Cristo circa-190 dopo Cristo circa).

30 Atenagora di Atene, Supplica per i cristiani 16, 1-3.

31 Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco, Una ecologia per l’uomo, a cura di G. Vigini, Medusa, Milano 2014.

32 Giovanni XXIII (1881-1963; Santo). Pontificato: dal 1958 fino alla morte.

33 Per ulteriori approfondimenti: «Amate la terra!» Giovanni XXIII e la cura del creato, a cura di E. Bolis, Studium, Roma 2015.

34 Paolo VI (1897-1978; Beato). Pontificato: dal 1963 fino alla morte.

35 Si vedano le parole di Paolo VI riportate da: «L’Osservatore Romano», 28 marzo 1971.

36 Paolo VI, Messaggio in occasione dell’apertura della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, AAS 64 (1972), pagine 443-446.

37 Giovanni Paolo II (1920-2005; Santo). Pontificato: dal 1978 fino alla morte.

38 Confronta anche: G. Currà, L’ecologia nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, Progetto 2000, Cosenza 1999.

39 Benedetto XVI (nato nel 1927). Pontificato: dal 2005 al 2013.

40 Confronta anche: Editoriale, «Custodire l’intera creazione». Un servizio del Vescovo di Roma, in: «La Civiltà Cattolica», quaderno 3.960, 27 giugno 2015, pagine 537-551.

41 Confronta anche: Editoriale, «Custodire l’intera creazione». Un servizio del Vescovo di Roma, in: «La Civiltà Cattolica», quaderno 3.960, 27 giugno 2015, pagine 537-551.

42 Papa Francesco, Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune. Guida alla lettura di C. Petrini. San Paolo, Cinisello Balsamo 2015. C. Giuliodori-P. Malavasi (a cura di), Ecologia integrale. Laudato si’. Ricerca, formazione, conversione, Vita e Pensiero, Milano 2016.

43 Confronta anche: C. Petrini, TerraFutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale, Slow Food Editore, Bra (CN) 2020.

44 San Tommaso d’Aquino (1225-1274).

45 San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica (Summa Theologiae), I, questione 65, articolo 2.

46 San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I, questione 102, articolo 3.

(dicembre 2020)

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