Storia comparata delle religioni. Un contributo
Islam e Chiesa Cattolica di fronte a un sistema ecologico violato

Inquinamento atmosferico, desertificazione delle terre, sfruttamento intensivo delle risorse naturali sono solo alcune delle molte realtà collegate a un progressivo impoverimento del nostro pianeta. È l’umanità stessa che distrugge risorse inestimabili. In tale contesto, nel recente periodo, sono emerse da più parti voci che richiamano alla responsabilità, che denunciano drammi, e che spingono per soluzioni condivise. In questo moto generale che vuole salvare la Terra si colloca anche il contributo delle religioni. Ogni confessione, infatti, può sensibilizzare le coscienze dei propri fedeli all’esigenza di proteggere il sistema ecologico. Ma c’è di più. Proprio la comune attenzione al creato può essere un punto d’incontro e d’intesa tra religioni. Proprio su questo punto si colloca l’apporto offerto dal mondo musulmano e da quello cattolico.


Alcune coordinate storiche

Quando si fa riferimento all’Islam le fonti primarie sono il Corano (traduzione: «la Lettura»)[1] e la Sunnah (traduzione: «consuetudine»). Il Corano racchiude il messaggio rivelato (600 dopo Cristo circa) da Dio a Maometto attraverso un angelo. La Sunnah è un codice di comportamento basato sull’insegnamento del Profeta Muhammad. Nel Corano Dio chiede conto agli uomini del loro comportamento. Ad esempio: «Non riflettete sull’acqua che bevete: Siete forse voi a farla scendere dalla nuvola o siamo Noi che la facciamo scendere? Se volessimo la renderemmo salmastra: perché non siete mai riconoscenti?» (Corano 56, versetti 68-70). Dio vuole persone responsabili dei propri atti, e quindi anche di quelli che sono orientati verso la natura. Tale concetto è rimarcato in più passi del Corano: «E quando disse il tuo Signore: “Io porrò sulla terra un [Mio] vicario [il riferimento è ad Adamo, il primo uomo, ma si possono intendere tutti gli uomini]”» (Corano 2, 30). Inoltre tutto ciò che vi è nell’universo è stato messo a disposizione dell’uomo: «E ha soggiogato a voi quel che v’è nei cieli e quel che c’è sulla terra, che tutto proviene da Lui» (Corano 45, 13) e «Del bestiame, alcuni animali sono da soma, altri da macello: mangiate di quel che la provvidenza di Dio vi ha dato» (Corano 6, 142). L’essere umano, comunque, non può usare la natura come vuole.


Insegnamento e prassi

In tale contesto, ogni soggetto non può intervenire con iniziative violente (esempio, deforestazione) o inquinare (esempio, le acque). L’aver sottomesso gli animali, e quanto esiste sulla terra e nei cieli costituisce un dono di Dio agli uomini. È un qualcosa di gratuito. Va rispettato e preservato. Insegna al riguardo il Corano: «Non spargete la corruzione sulla terra, dopo che è stata resa prospera. Invocatelo con timore e desiderio. La misericordia di Dio è vicina a quelli che fanno il bene. Egli è Colui che invia i venti, annunciatori e precursori della Sua misericordia. Quando poi recano una nuvola pesante, la dirigiamo verso una terra morta e ne facciamo discendere l’acqua con la quale suscitiamo ogni tipo di frutti. Così resusciteremo i morti. Forse rifletterete [in proposito]» (Corano 7, versetti 56-57).

Si arriva così a un giudizio preciso dell’Islam sui disastri ecologici. Quest’ultimi sono il frutto della disobbedienza alle leggi di Dio. Tali eventi negativi colpiscono l’intera umanità. Il progresso materiale separato dal timore di Dio pone nelle mani dei popoli terrificanti strumenti di distruzione dell’umanità stessa e del suo habitat; ma così – sottolinea il Corano – sarà l’uomo stesso a «gustarne» successivamente le conseguenze: «La corruzione è apparsa sulla terra e nel mare a causa di ciò che hanno commesso le mani degli uomini affinché Dio faccia gustare parte di quello che hanno fatto. Forse ritorneranno [sui loro passi]?». (Corano 30, 41).


Alcune indicazioni pratiche islamiche per rispettare la natura

Tenendo conto di quanto fin qui annotato, può essere utile evidenziare alcune indicazioni pratiche islamiche per rispettare la natura. L’atto di piantare un albero, ad esempio, è considerato meritorio. E dare da mangiare a un essere vivente attraverso il suo frutto rimane un fatto molto significativo. In pratica, ridare vita alla natura significa valorizzare e proteggere i doni di Dio. È da ricordare inoltre che l’Islam incoraggia i fedeli a lavorare le terre abbandonate. Ogni persona le deve coltivare. Farle fiorire. Secondo il detto di Muhammad: «Il diritto originale di proprietà delle terre è di Dio, del suo Profeta e successivamente vostro. E colui il quale fa rivivere le terre aride e abbandonate ha il diritto di rivendicarle come sua proprietà». Quindi l’agricoltura è importante perché le terre sono di Dio, del suo Profeta e successivamente degli uomini.


Il rispetto verso gli animali

Nel Corano e nei racconti del Profeta Muhammad c’è un particolare rispetto verso gli animali. Nel Corano a questo proposito è scritto: «Non vedi tu come a Dio inneggino gli esseri tutti che sono in cielo e sulla terra, e gli uccelli che stendono le ali? Ognuno conosce la sua preghiera, conosce il suo inno di lode, e Dio sa quel che fanno» (Corano 24, 41). Da ciò deriva un punto chiave. Per il musulmano occorre vivere in armonia con la natura e con gli animali. Ogni fedele deve essere consapevole che tutte le creature saranno a Dio ricondotte. «Non vi sono bestie sulla terra né uccelli che volino con l’ali nel cielo che non formino delle comunità come voi. Noi non abbiamo trascurato nulla nel Libro. Poi, avanti al loro Signore saranno tutti raccolti» (Corano 6, 38).

Per i musulmani occorre manifestare rispetto verso la maggior parte degli animali. Dio stesso, infatti, dimostra loro la Sua bontà. Fornisce cibo e acqua quando è necessario. Su questo punto il Profeta Muhammad è più volte intervenuto: «Dio ricompensa chiunque fa del bene a un essere vivente». Esiste pure un’altra espressione significativa: «Chi non ha compassione per gli altri non avrà la Compassione di Dio. Siate misericordiosi con gli esseri viventi, Dio vi tratterà alla stessa maniera». Si raccontano al riguardo alcune storie. Un giorno il Profeta Muhammad, avendo notato degli uomini che tiravano frecce contro un volatile legato, disse: «Sia maledetto chiunque usa per bersaglio un essere vivente». Vedendo poi un uccello girare in tondo alla ricerca dei suoi piccoli che gli erano stati presi dal nido, il Profeta disse: «Chi ha afflitto quest’uccello e preso i suoi piccoli? Rimetteteli nel nido!».

Francobollo dell’Iran

Francobollo dell’Iran. Rappresenta un gatto persiano

Evitare sofferenze agli animali

Su 114 ripartizioni del libro del Corano, sette sono indicate con il nome di animali. Per capire ciò è utile ricordare un punto dottrinale islamico. Dio raccomanda a ogni fedele di contemplare la natura per individuarne la perfezione e la bellezza. Sono caratteristiche che rimandano a loro volta a quelle del Creatore. È nell’ambito di tale contesto che ogni norma pratica prescrive il rispetto dell’ambiente e del mondo animale. Un esempio riguarda la macellazione. Questa non deve essere fatta causando dolore all’animale. Gli si deve evitare uno stato di agitazione o di sofferenza. Su questo punto c’è un’affermazione del Profeta Muhammad: «Dio vi ha ordinato la gentilezza in tutte le cose. Se dovete uccidere (un animale come cibo) fatelo nel modo migliore e se dovete macellare fatelo nel modo migliore affilando il coltello e rilassando l’animale».

In definitiva, bisogna evitare qualsiasi sofferenza agli animali. Quest’ultimi, non devono essere privati del cibo, picchiati, caricati oltre misura, mutilati, bruciati. L’Islam ha inoltre vietato di imprigionare gli animali o di lasciarli morire di fame. Anche su tale situazione c’è un detto del Profeta Muhammad: «Una donna ha meritato l’inferno a causa di una gatta che aveva rinchiuso fino a che non morì. Non la nutriva e neanche la lasciò andare in maniera che mangiasse qualche bestiola della terra». Si può anche ricordare un episodio. Passando vicino a un formicaio incendiato il Profeta Muhammad esclamò: «Solo il Creatore del fuoco ha diritto di punire con il fuoco!».


I divieti nell’Islam

Per rafforzare il proprio sistema dottrinale, l’Islam prevede una serie di divieti, con delle eccezioni. Le pelli di leopardo non si possono usare come tappeto o come sella per cavalcare. Il Profeta Muhammad, come da una tradizione autentica, volle proibire l’utilizzo delle pelli delle bestie feroci. È permessa, al contrario, l’uccisione di animali pericolosi (cane arrabbiato, lupo, vipera, scorpione, ratti e altri simili). Si può marchiare l’orecchio del bestiame (se necessario). Comunque nessun animale può essere marchiato con il ferro caldo (tranne cammelli, ovini o bovini). Lo stesso Profeta, vedendo un giorno un asino marchiato sul muso, esclamò: «Sia maledetto quello che lo ha marchiato sul muso». Gli animali non devono essere, in nessun caso, motivo e occasione per la negligenza dei doveri religiosi, né oggetto di divertimento che allontani dal pensiero di Dio. Su questo punto il Corano sottolinea: «Oh Credenti! Non vi distraggano dal ricordo di Dio né i figli né le ricchezze».

Scena di macellazione

Scena di macellazione eseguita da musulmani

Alcune regole islamiche che riguardano i cavalli

In un contesto di dottrina e di proibizioni rimane significativo il riferimento ai cavalli. Secondo il Profeta Muhammad: «I cavalli possono essere acquistati per tre ragioni. Per chi li ha comprati destinandoli al Jihad [sforzo teso verso uno scopo, Nota del Redattore] essi sono una fonte di ricompensa divina. Se li lega in un prato, tutta l’erba che brucheranno gli sarà riconosciuta come opera di bene. Se rompono le corde e salgono una o due colline, le loro tracce, i loro escrementi gli saranno riconosciuti come opere di bene; per quest’uomo essi sono una fonte di ricompensa divina. Un altro li ha comperati per guadagnare e conservare la sua posizione, senza tuttavia dimenticare le raccomandazioni di Dio di trattarli bene. Non si dimentica neppure di far sì che ne traggano beneficio anche quelli che mancano di mezzi. Per quest’uomo i cavalli sono una sicurezza. Un terzo li ha comprati per orgoglio, ostentazione e ostilità per il prossimo. Per costui, i cavalli sono una fonte di peccato».

Al riguardo, può essere utile riferirsi a un fatto che riguarda il Profeta Muhammad. Egli, per effettuare alcuni spostamenti riguardanti dei lunghi percorsi, poté utilizzare un cavallo speciale di nome Burāq («Lampo»). Secondo la Tradizione islamica[2], quest’ultimo fu incaricato dall’angelo Gabriele di portare Muhammad, con uno straordinario tragitto notturno, dalla Mecca a Gerusalemme, prima che il Profeta intraprendesse l’ascesa verso i sette cieli.

Il cavallo Burāq

Il cavallo Burāq («Lampo») porta il Profeta Muhammad dalla Mecca a Gerusalemme

Il sistema ecologico nell’insegnamento cattolico

Tenendo conto dei riferimenti riguardanti l’Islam, può essere utile adesso evidenziare alcuni aspetti dell’insegnamento cattolico in materia ecologica. Nel suo viaggio ad Assisi (4 ottobre 1962) Giovanni XXIII pronunciò un’affermazione-chiave. Si tratta di una lettura antropologica del rispetto del creato: «Paradiso sulla terra è l’uso moderato e saggio delle cose belle e buone, che la Provvidenza ha sparso nel mondo, esclusive di nessuno, utili a tutti. […] Sia pace nella concordia, nella comunicazione scambievole, da un capo all’altro del mondo, delle immense ricchezze di vario ordine e natura, che Dio ha affidato all’intelletto, alla volontà, alla indagine degli uomini, affinché la giusta ripartizione segni l’ascesa di quei principi di socialità che sono da Dio e a Dio riportano».

Anche Paolo VI intervenne sul medesimo argomento. Nella Lettera apostolica Octagesima Adveniens (numero 21) scrive: «Mentre l’orizzonte dell’uomo si modifica, in tale modo, tramite le immagini che sono scelte per lui, un’altra trasformazione si avverte, conseguenza tanto drammatica quanto inattesa dell’attività umana. L’uomo ne prende coscienza bruscamente: attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana. A queste nuove prospettive il Cristiano deve dedicare la sua attenzione, per assumere, insieme con gli altri uomini, la responsabilità di un destino diventato ormai comune».


L’intervento di Giovanni Paolo II

Il 24 marzo 1997 Giovanni Paolo II, parlando ai partecipanti a un convegno su «ambiente e salute», espresse anche queste considerazioni: «È il rapporto che l’uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell’uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l’uomo altrettanti doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. […] Nell’età moderna secolarizzata si assiste all’insorgere di una duplice tentazione: una concezione del sapere inteso non più come sapienza e contemplazione, ma come potere sulla natura, che viene conseguentemente considerata come oggetto di conquista. L’altra tentazione è costituita dallo sfruttamento sfrenato delle risorse, sotto la spinta della ricerca del profitto senza limiti, secondo la mentalità propria delle società moderne di tipo capitalistico. L’ambiente è così diventato spesso una preda a vantaggio di alcuni forti gruppi industriali e a scapito dell’umanità nel suo insieme, con conseguente danno per gli equilibri dell’ecosistema, della salute degli abitanti e delle generazioni future. […]

Ma l’equilibrio dell’ecosistema e la difesa della salubrità dell’ambiente hanno bisogno proprio della responsabilità dell’uomo e di una responsabilità che deve essere aperta alle nuove forme di solidarietà. Occorre una solidarietà aperta e comprensiva verso tutti gli uomini e tutti i popoli, una solidarietà fondata sul rispetto della vita e sulla promozione di risorse sufficienti per i più poveri e per le generazioni future».


La posizione di Benedetto XVI

Nell’udienza generale del 26 agosto 2009, Benedetto XVI affermò: «La Terra è dono prezioso del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, dandoci così i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. È proprio a partire da questa consapevolezza, che la Chiesa considera le questioni legate all’ambiente e alla sua salvaguardia intimamente connesse con il tema dello sviluppo umano integrale. A tali questioni ho fatto più volte riferimento nella mia ultima Enciclica Caritas in veritate, richiamando “l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà” (numero 49) non solo nei rapporti tra i Paesi, ma anche tra i singoli uomini, poiché l’ambiente naturale è dato da Dio per tutti, e il suo uso comporta una nostra personale responsabilità verso l’intera umanità, in particolare verso i poveri e le generazioni future (confronta ivi, 48).

Avvertendo la comune responsabilità per il creato (confronta ivi, 51), la Chiesa non solo è impegnata a promuovere la difesa della terra, dell’acqua e dell’aria, donate dal Creatore a tutti, ma soprattutto si adopera per proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso. Infatti, “quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio” (ibidem).

Non è forse vero che l’uso sconsiderato della creazione inizia laddove Dio è emarginato o addirittura se ne nega l’esistenza? Se viene meno il rapporto della creatura umana con il Creatore, la materia è ridotta a possesso egoistico, l’uomo ne diventa “l’ultima istanza” e lo scopo dell’esistenza si riduce a essere un’affannata corsa a possedere il più possibile. Il creato, materia strutturata in modo intelligente da Dio, è affidato dunque alla responsabilità dell’uomo, il quale è in grado di interpretarlo e di rimodellarlo attivamente, senza considerarsene padrone assoluto. L’uomo è chiamato piuttosto a esercitare un governo responsabile per custodirlo, metterlo a profitto e coltivarlo, trovando le risorse necessarie per una esistenza dignitosa di tutti».


Papa Francesco e l’Enciclica Laudato si’

Sono diversi gli autori che hanno trovato nell’Enciclica Laudato si’ una prossimità alla visione islamica del mondo.[3] Effettivamente esistono orientamenti che si avvicinano. L’Enciclica di Papa Francesco ha il merito di sviluppare un’impostazione globale e, insieme, articolata. Per tale motivo si realizzano punti di contatto con l’Islam. Al riguardo può essere utile annotare qualche esempio.

Secondo l’insegnamento dell’Islam, il ruolo affidato all’uomo è quello di essere Vicario di Dio sulla terra, «khalifat-Allah fil-ard». C’è una Sura (nome di una ripartizione del Corano, Nota del Redattore) che esplicita tale concetto: «E [ricorda] quando il tuo Signore disse agli angeli: “Io porrò un vicario sulla terra”. Essi dissero: “Metterai su di essa chi vi verserà la corruzione e spargerà il sangue, mentre noi Ti glorifichiamo lodandoti e Ti santifichiamo?”. Egli disse: “In verità, Io conosco quello che voi non conoscete”. E insegnò ad Adamo i nomi di tutte le cose e quindi le presentò agli angeli e disse: “Ditemi ora i loro nomi, se siete sinceri”» (Sura Al Baqara, «La Vacca», versetti 30-32).

Esiste quindi un impegno a preservare, a custodire, a tutelare la Terra. Ma c’è pure un richiamo alla razionalità dell’essere umano. Quest’ultimo deve saper discernere le varie situazioni. E individuare i segni del divino. Esiste anche un altro passo interessante: «Non riflettono sui cammelli e su come sono stati creati, sul cielo e come è stato elevato, sulle montagne e come sono state infisse, sulla terra e come è stata distesa? Ammonisci dunque perché tu non sei altro che un ammonitore» (Corano, Sura Al Ghashiah, «L’Avvolgente», versetti 17-21). Quindi il Corano invita a riflettere, a considerare i diversi aspetti della natura.


Alcuni punti d’incontro tra Islam e Cristianesimo

Nel primo capitolo dell’Enciclica Laudato si’ («Quello che sta accadendo alla nostra casa») Papa Francesco sottolinea che «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale» (corresponsabilità generale). Il Papa invita inoltre ad ascoltare «tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». Ciò è in sintonia con gli ideali islamici di giustizia sociale e di eguaglianza. Per Papa Bergoglio occorre riflettere sulla condizione attuale del pianeta Terra. Esistono disastri ambientali che sono stati provocati da eccessi, da un uso senza regole delle risorse. Ciò si è verificato in un mondo segnato da ingiustizie. Le disparità sociali devastanti sono arrivate, a esempio, a privare un’elevata parte dell’umanità del diritto naturale all’acqua. Il Pontefice, in definitiva, si pone molto vicino al pensiero dei musulmani. Il Corano infatti contiene continui riferimenti alla natura e al creato. E arriva infine a una descrizione della storia della Terra: «Non vedono dunque gli empi che i cieli e la terra erano un tempo una massa confusa e noi li abbiamo separati, e dall’acqua abbiamo fatto germinare ogni cosa vivente? E ancora non credono? E ponemmo sulla terra montagne immobili, che la terra non si scuotesse sotto i piedi degli uomini, e ponemmo fra i monti dei passaggi, a guisa di strade, affinché gli uomini potessero dirigersi nel loro cammino, e ponemmo il cielo come un tetto saldamente tenuto. Eppure essi s’allontanano dai Nostri Segni, sdegnosi! E pure è Lui che ha creato la notte e il giorno, e il sole e la luna, ciascuno navigante nella sua sfera» (Corano, Sura al Anbiya, «I Profeti», versetti 30-33).


Secondo capitolo dell’Enciclica («Il Vangelo della creazione»)

Il Pontefice ha voluto trascrivere alcune annotazioni dei Vescovi del Paraguay. Può essere utile citare il passaggio: «Ogni contadino ha diritto naturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della propria famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza». Tali diritti umani si ritrovano anche nei principi generali della giurisprudenza islamica. I «maqasid al shari’ah» (gli scopi ultimi dell’Islam) sono la tutela della persona e della sua integrità («himayat al nafs wa himayat al ’ird»). Ed è proprio in questo contesto che si colloca la figura del contadino, la tutela della sua famiglia («himayat al nasl») e della sua proprietà («himayat al mal»).


Terzo capitolo dell’Enciclica

Questa parte ha un titolo molto significativo: «La radice umana della crisi ecologica». Qui, il Papa collega i riferimenti alle devastazioni causate dall’uomo a una delle cause: la diffusione di un’ideologia relativista. Questa esprime un’abitudine all’«usa e getta». Riflette una scala di valori ove il denaro è al primo posto. In pratica manifesta un malinteso antropocentrismo: l’umanità può staccarsi dal Creatore. Può disporre a piacimento della Sua creazione senza limiti. Tale riflessione pontificia è molto in sintonia con un versetto coranico: «Ma non osservano il cielo sopra di loro come l’abbiamo edificato e abbellito e senza fenditura alcuna? E la terra l’abbiamo distesa e vi infiggemmo le montagne, vi facemmo crescere ogni specie di meravigliosa vegetazione: invito alla riflessione e monito per ogni servo penitente. Abbiamo fatto scendere dal cielo un’acqua benedetta, per mezzo della quale abbiamo fatto germinare giardini e il grano delle messi e palme slanciate dalle spate sovrapposte» (Corano, Sura Qaf, versetti 6-10).

Papa Francesco con Ahmad Muhammad Al-Tayyib

Papa Francesco con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Muhammad Al-Tayyib, massimo esponente dell’Islam sunnita, 2016

Quarto capitolo dell’Enciclica

In questa parte c’è un richiamo di Papa Francesco al bene comune. Se non si opera in direzione di questo obiettivo si creano fratture, divisioni, violenze aperte. Su questo punto sono pure ricordate alcune affermazioni dei Vescovi del Portogallo: «L’ambiente si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva». Poi, il Pontefice pone una domanda: quale tipo di mondo si vuole lasciare alle future generazioni? In questo contesto avviene un incontro con il mondo islamico. L’Enciclica infatti denuncia il «principio della massimizzazione del profitto». Proprio su questo punto è evidente la sintonia con l’approccio islamico alla finanza. Quest’ultima proibisce gli interessi sul denaro. Inoltre, è in totale disaccordo con il meccanismo del debito pubblico che cancella la vitalità, la crescita dei Paesi più poveri.


Dagli orientamenti dottrinali alle iniziative concrete

Nel contesto fin qui delineato, occorre evidenziare che esistono diversi momenti di dialogo tra più Paesi. Si può ricordare, a esempio, il simposio internazionale organizzato a Istanbul (17-18 agosto 2015). In tale occasione venne approvata la Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico. Il testo è stato poi presentato ai lavori della Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima (Parigi, 30 novembre-12 dicembre 2015). Nel preambolo si trovano i motivi dell’iniziativa. Si ricorda che Dio ha creato il mondo. E si annota un’interpretazione teologica del fenomeno del cambiamento climatico. Questo, è ritenuto il risultato di un fallimento umano. È venuto meno, in pratica, l’impegno a curare e a tutelare il creato. Invece di coltivare la terra, donata da Dio e affidata all’umanità, si è preferito danneggiarla in modo violento. In termini non dissimili da quelli dell’Enciclica Laudato si’, il documento ricorda l’«equilibrio delicato della terra», e il fatto che gli esseri umani sono «inseriti nel tessuto del mondo naturale». Nei paragrafi successivi è sottolineata la gravità della situazione. Ne deriva la preoccupazione per le poche iniziative realizzate.

L’Islam quindi guarda con apprensione alla natura. Dopo alcune espressioni coraniche riguardanti la signoria di Dio sulla creazione, c’è una affermazione chiave. La cura per l’ambiente è una preoccupazione intrinseca dell’Islam. Anche la natura, infatti, si mostra deferente verso il suo Creatore. Cito al riguardo qualche passo del Corano: «Le stelle e gli alberi si prostrano» (Corano, Sura Al Rahman, «Il Misericordioso», versetto 6), «a Dio si prostrano quanto è nei cieli e quanto è sulla terra, il sole, la luna, le stelle, le montagne, gli alberi e le bestie» (Sura Yunus, «Giona», versetto 18). Nasce da qui un’attenta riflessione sui comportamenti del Profeta Mohammad. Egli, infatti, costituisce per l’Islam la parola definitiva su quella che deve essere una giusta condotta.

Oltre alle frasi del Profeta, il testo della Dichiarazione fa riferimento anche alla semplicità dello stile di vita di Maometto (tra cui il moderato uso di carne), alla sua raccomandazione di proteggere le scarse risorse del deserto come l’acqua, e di costruire santuari per la protezione della vita animale e vegetale.

La Dichiarazione si conclude con degli appelli. Ci si rivolge ai negoziatori della Conferenza delle Nazioni Unite. A questi si chiede di sviluppare colloqui in grado di arrivare a risultati concreti. C’è poi un messaggio per i Paesi ricchi. Sono esortati ad assumere l’onere finanziario più gravoso per poter eliminare i combustibili fossili. Infine, c’è un’esortazione diretta alle persone di ogni Paese. In conclusione, le Nazioni sono incoraggiate a rinunciare ai combustibili fossili. Esse devono adottare le fonti di energia rinnovabile. Sono quindi chiamate a elaborare un nuovo modello di benessere. Il pianeta non deve essere danneggiato.


Nell’attuale momento storico

Guardando ai nostri giorni, e tenendo conto delle annotazioni in precedenza riportate, si possono individuare alcuni elementi innovativi. Si riassumono qui di seguito.

1) Lo sforzo a evidenziare una certa consonanza tra l’insegnamento dell’Islam e il magistero pontificio è un fatto significativo. Si respinge il materialismo (è la materia l’unica realtà vitale). E si supera anche il naturalismo (approccio alla spiritualità senza elementi sovrannaturali), e il panteismo (ogni cosa è permeata da un Dio immanente). Su queste basi è possibile raggiungere nei congressi internazionali delle intese. Evidentemente determinate logiche economiche non hanno interesse a sostenere accordi a tutela del sistema ecologico. Questo è il principale ostacolo. Da una parte, quindi, molti Paesi si sono impegnati a impedire che la temperatura globale si alzi più di 2° centigradi sopra il livello raggiunto nell’era pre-industriale. Dall’altra, gli Stati Uniti non hanno firmato il testo della risoluzione (Parigi, 2015). Stessa situazione si è ripetuta con riferimento alla riduzione delle emissioni di gas serra, e alle previsioni di contributi economici a Paesi in via di sviluppo per l’uso di tecnologie meno inquinanti.

2) Talune realtà del mondo islamico possono aprire la strada a innovazioni. Nel Corano continua a essere attuale l’obbligo di «Hima» («riserve»). Riguarda l’istituzione di ambienti naturali protetti. Nel loro interno non si possono abbattere alberi, uccidere animali, negare alle creature l’accesso all’acqua. Queste riserve vengono custodite da un «imam». Chi le costituisce viene consacrato alla vita eterna, perché nella religione islamica rispettare ambiente e natura è un atto meritorio.

3) Esiste poi un piano settennale (scadenza prorogata) dell’Islam per fermare il cambiamento climatico. È un progetto mirato a trasformare La Mecca in una città verde. Questo importante abitato deve diventare un modello per gli altri centri urbani islamici. Per tale motivo l’Alleanza Inglese per le Religioni e la Conservazione (ARC) ha commissionato (2015) a Global One e alla Eco Muslim il compito di preparare una Guida Verde per l’«hajj» (il «pellegrino»). Nel testo sono riportati gli obblighi «ambientali» che i fedeli devono rispettare. Questi sono: riciclare sempre l’acqua, non usare bottiglie di plastica, usare i trasporti pubblici, preferire i prodotti a chilometri zero, stampare il Corano su carta riciclata.


Altri aspetti innovativi

Esistono ancora altri aspetti innovativi che si annotano qui di seguito.

1) Lo sviluppo di una teologia ambientale islamica. Il padre fondatore è stato il filosofo iraniano Seyyed Hossein Nasr. Questo autore, nel 1967, ha scritto il libro: L’uomo e la natura: la crisi spirituale dell’uomo moderno. Attualmente, diversi studiosi islamici sono impegnati ad approfondire alcuni temi per osservare la loro compatibilità con l’Islam: sostenibilità, protezione ambientale, benessere animale, biodiversità.

2) L’impostazione di alcune strategie islamiche. Ad esempio, si invita a celebrare un Ramadan «verde» con un comportamento sostenibile e rispettoso dell’ambiente (in questo mese si mangia solo prima dell’alba e dopo il tramonto).

3) Esiste inoltre la Campagna della verde «khutba» (fondata da Muaz Nasir, in occasione della Giornata della Terra 2012). Per sostenere tale iniziativa, da ripetere nel tempo, è stato preparato un esempio di sermone. L’intenzione è quella di sostenere coloro che guidano le preghiere nelle moschee, e le istituzioni islamiche, nell’impegno a sensibilizzare i fedeli sui temi della difesa ambientale.


Alcune indicazioni bibliografiche

Ecologia integrale. Laudato si’. Ricerca, formazione, conversione, a cura di C. Giuliodori-P. Malavasi, Vita e Pensiero, Milano 2016

R. Foltz, F. M. Denny, A. Baharuddin, Islam and Ecology. A Bestowed Trust, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 2003.


Note

1 Il Corano. Testo originale a fronte. Con e-book, UTET, Torino 2016.

2 Burāq non è menzionato nel Corano.

3 Francesco, Laudato si’. Lettera Enciclica sulla cura della casa comune, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015.

(giugno 2020)

Tag: Pier Luigi Guiducci, storia comparata delle religioni, islam, Cristianesimo, Corano, Sunnah, Profeta Maometto, islam e natura, Giovanni XXIII, Paolo VI, Octagesima Adveniens, Cristianesimo e natura, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Caritas in veritate, Papa Francesco, Laudato si’, Sura, punti d’incontro tra Islam e Cristianesimo, Papa Bergoglio, Vangelo della creazione, Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico, Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, fermare il cambiamento climatico, Seyyed Hossein Nasr, Campagna della verde «khutba», Muaz Nasir, Giornata della Terra, Laudato si’. Lettera Enciclica sulla cura della casa comune.