Alla scoperta di Bucarest
Lo stridente contrasto fra la Romania sotto il regime comunista, povera ma felice, e la Romania che ha scelto la democrazia senza poi saperla gestire; l’articolo è stato scritto nel 2002, a seguito di un viaggio compiuto nel Paese balcanico, ma la situazione è rimasta praticamente immutata

Come sono scesa dall’aereo, all’aeroporto Otopeni di Bucarest, ho avvertito una sensazione indecifrabile.

Intorno a me vi era, soltanto, miseria a cui facevano da cornice i moltissimi bambini che chiedevano l’elemosina. La mia cara amica romena Roxana Tilica, sposata ad un Italiano e residente a Benevento, era ad attendermi all’aeroporto, dato che si trovava a Bucarest per vedere i suoi genitori.

Il primo impatto sul suolo romeno è stato, veramente, deludente. Strade rotte, palazzi di un colore… grigio, il colore della povertà. I tram, solo vecchie carcasse rumorose sopravvissute a 50 anni di comunismo. Non sto parlando di qualche Paese appena uscito da una guerra. Sto parlando della Romania e questi, per lo più, sono i risultati degli ultimi 13 anni di «democrazia» che si sommano ai 50 di dittatura comunista. Il paradosso è stato il constatare come siano in molti a rimpiangere Ceausescu. Ho fatto diverse interviste a donne e uomini che incontravo per le strade e tutti ripetevano che ai tempi del piccolo contadino ciabattino olteno, chiamato «il vampiro del pianeta rosso», ovvero Ceausescu, tutti lavoravano, tutti avevano da mangiare, le facciate dei palazzi erano pulite (anche se tutte uguali), le strade decenti, i parchi praticabili ed i laghi splendenti.

Alla mia domanda come mai tanti ragazzini lerci, stracciati chiedevano l’elemosina, mi sono sentita rispondere che gli orfanotrofi ora sono chiusi, dato che il Governo non li sovvenziona più.

Abbandonati a se stessi, vivono di carità, abitano nei vari scantinati, in mezzo ai topi e a cani randagi. E sono centinaia questi poveri esseri umani. Grazie alla mia amica Roxana che mi faceva da interprete nelle domande più ostiche, ho appreso che in pieno regime comunista «gli osservatori» occidentali vedevano solo quello che volevano vedere: la stampa pilotata, le frontiere chiuse e la massificazione degli strati sociali. In effetti è vero, la Romania era senz’altro anche questo ma, intanto, manteneva il primato della Nazione senza debiti esteri, cosa che, oggi, non si può dire più.

La Romania, oggi, gode della clausola di Nazione favorita dall’America, con tutti i suoi McDonald’s e la sua Coca-Cola, ed ancora i prestiti miliardari accordati dal Fondo Monetario Internazionale, che, per tradizione, sono andati a finire nelle tasche di chi si è alternato al Governo dal dicembre 1989, dopo la rivoluzione: comunisti riciclati che hanno saputo investire per propri interessi. In pratica la Romania è indebitata fino al collo e si avvia, perciò, a vivere un lungo periodo di sudditanza politica e dei mercati. A pagare le spese sono, sempre, gli innocenti. Non esiste più il ceto medio ma, solo, i ricchi e i poveri.

Così tanta gente muore per una vita migliore; così questo popolo, trascinato da una democrazia frettolosa e troppo interessata e male impostata, ha visto vanificare ogni suo sforzo di libertà.

Uno stipendio medio di un Romeno è di circa 100 euro, mentre i prezzi dei generi alimentari, dei vestiari e di altro, sono uguali all’Italia. Un Romeno per acquistare un pacco di pasta Barilla lavora quasi un giorno, lo stesso per comprare una bottiglia di Coca-Cola o un pacchetto di sigarette.

Il colmo è che i prodotti venduti in Romania sono fabbricati, appositamente, per l’Europa dell’Est. La pasta è di grano tenero, l’aranciata è trasparente e la saponetta (delle migliori marche) chissà perché è inodore. Prodotti scadenti ed industrie «rispettabili» che sfruttano i Romeni attraverso propri stabilimenti realizzati nell’Est o, spesso, rilevati nell’Est per quattro soldi. Stabilimenti dove si lavora con stipendi da fame e turni massacranti. Ho notato, per le vie della città, centinaia di cartelloni pubblicitari dei prodotti delle multinazionali, quasi una dimostrazione di riconoscere il merito di aver portato la civiltà dove civiltà non vi era. Ed ecco che, in nome e per conto di questa civiltà, nonché in nome della democrazia, i Francesi hanno comprato tutta l’industria del cemento rumena, semplicemente per chiuderla e togliere dal mercato europeo un fastidioso concorrente.

Anche la società romena subisce la mafia, la droga, il traffico d’armi e il traffico di prostitute.

Ora i Romeni sono costretti a scegliere, nuovamente, la Sinistra, «il male minore».

Il popolo romeno auspica si faccia un discorso nuovo, di Europa unita, quella dei popoli, e non quella delle multinazionali. E questa è la sola soluzione per lenire i mali dei Paesi dell’Est, attanagliati dalla povertà, poiché i Paesi Occidentali sono troppo sudditi degli Stati Uniti per praticare, di fatto, scelte autonome.

Questo viaggio mi ha rattristato non poco. Vedere la gente che passa davanti a bellissimi negozi dalle grandi firme e le donne, in special modo, fissare con bramosia un capo di vestiario, sapendo che mai lo potrebbero indossare; bambini, con occhioni lucidi di desiderio davanti a negozi di giocattoli che la madre mai potrà loro comprare, non è un bel vedere.

Bucarest però è una città interessante e merita vedere il palazzo di Curtea Veche, costruito sulle rovine di una fortezza del XIV secolo dal principe Mircea Ciobanu, di cui restano ancora le vestigia.

Avrei voluto incontrare Dracula ma… non mi è stato possibile. Era una giornata troppo soleggiata! Vlad, l’Impalatore, esce solo di notte.

Al ritorno, sull’aereo, guardando Bucarest dall’alto, ho pensato a tutto ciò che ho visto e sentito nelle mie interviste e ho tratto la conclusione che, nel mondo, vi sono più dolori che gioie.

(luglio 2014)

Tag: Ercolina Milanesi, Europa, Europa Orientale, Novecento, conmunismo, regime comunista, capitalismo, Romania, Bucarest, Roxana Tilica, Ceausescu, Stati Uniti, palazzo di Curtea Veche, principe Mircea Ciobanu, Dracula, Vlad, Impalatore.