Il Canale di Corinto
Un’opera progettata da secoli, ma per la cui piena realizzazione bisognerà attendere tempi recenti

Il Canale di Corinto è il risultato dello scavo di un alveo artificiale rettilineo che ha portato alla separazione del Peloponneso dal resto della Grecia, collegando fra di loro il Golfo di Corinto nel Mar Ionio e il Golfo di Saronico nel Mar Egeo. Che l’istmo impedisse spostamenti sul mare più comodi già l’aveva pensato uno dei sette savi greci, il tiranno di Corinto Periandro, nel VI secolo avanti Cristo. Stando a quanto raccontato, era stato fatto un quesito all’oracolo di Delfi per avere il parere degli dèi in merito all’esecuzione dell’opera: la risposta fu nettamente negativa, con la spiegazione che Zeus aveva collocato le isole dove egli riteneva fosse giusto. Pertanto, il taglio dell’istmo rimase un sogno irrealizzato. Secondo il parere degli storici, l’oracolo fu manovrato da un lato dai sacerdoti che temevano la perdita delle offerte dei mercanti e dei marinai, affinché propiziassero l’oneroso e pericoloso viaggio di circumnavigazione del Peloponneso, e dall’altro dagli abitanti di Corinto, che temevano che la loro città, da centro di approvvigionamento delle merci provenienti via mare, divenisse semplicemente un punto di transito. Comunque, nel VI secolo avanti Cristo, gli antichi Greci non demorsero e pensarono, in alternativa, di costruire attraverso l’istmo un «diolkos», cioè una strada di pietra larga 10 metri che consentisse il trasporto non solo delle merci, ma pure di trainare le navi su cilindri di legno e veicoli a ruote, per evitare il periplo del Peloponneso.

Che il taglio dell’istmo di Corinto fosse importante, lo dimostra l’interesse destato, per un certo periodo, nei Romani. E ciò a partire da Giulio Cesare che, secondo Svetonio, ebbe l’intenzione di far scavare un canale navigabile che tagliasse in due l’istmo, ma la sua cruenta e precoce morte gli impedì di approfondire il progetto, mentre Caligola lasciò perdere l’intenzione di tagliare l’istmo, ma per altre ragioni: infatti, i tecnici egiziani, ai quali era stato commissionato uno studio approfondito, giunsero alla conclusione che la differenza di quota esistente fra i due mari, Egeo e Ionio, fosse tale che una corrente continua avrebbe percorso il canale, mettendo in seria difficoltà, con il rischio di allagamenti, l’isola di Egina, situata nel Golfo di Saronico. Non mollò invece Nerone che comprese l’importanza commerciale di un’escavazione che rendesse il Peloponneso un’isola, tanto che ne avviò la realizzazione, cantando inni propiziatori da parte degli dèi e dando il primo colpo di piccone, e portò avanti la realizzazione attorno al 67 dopo Cristo, attraverso il lavoro di circa 6.000 prigionieri, catturati durante la Prima Guerra Ebraica, inviati dal Generale Vespasiano, ma quando si erano già realizzati circa tre chilometri di canale, l’Imperatore morì e, con lui, pure il completamento dell’opera fu abbandonato. Più tardi furono i Bizantini e poi i Veneti ad affrontare l’opera, ma le difficoltà che si accumularono consigliarono loro di lasciar perdere. Solamente nel 1881 il progetto del taglio fu ripreso, e anche allora spuntarono difficoltà, tanto che l’impresa dei costruttori finì in bancarotta. Più tardi furono riavviati i lavori che fra notevoli difficoltà si conclusero il 25 luglio del 1893. Da notare che nell’escavazione del canale fu usata la dinamite, che era stata scoperta da Nobel e da lui brevettata nel 1867.

La lunghezza del Canale, scavato in modo rettilineo fra alte pareti rocciose formanti un angolo di 80° sull’orizzontale, alte quasi dappertutto sugli 80 metri sul livello del mare, risultò di 6.343 metri, la larghezza fu di 24,6 metri, mentre alla base la larghezza fu di 21 metri. La profondità del Canale è di 7,5-8 metri.

Finalmente, il Canale fu inaugurato alla presenza del Re di Grecia Giorgio I il 25 luglio 1893, appunto, ma purtroppo la situazione faceva prevedere una continua e costosa manutenzione, perché, a parte il fatto che la zona è sismica, le sponde dello scavo, alte ben un’ottantina di metri sul livello del mare, sono in molti punti luoghi di caduta di rocce e detriti sia per questioni di assestamento sia per le vibrazioni indotte dal passaggio delle navi. Quindi, la manutenzione si dimostra necessaria e periodicamente si deve impedire il passaggio dei natanti, per consentire il dragaggio indispensabile dell’alveo, per ripristinare le sezioni di progetto.

Non è ozioso il riportare un episodio che tarpò le ali alla sua funzionalità a causa della guerra. Quando nel 1944 le truppe tedesche si ritirarono, come si dice, fecero «terra bruciata», per non lasciare nulla di sfruttabile al nemico incalzante, fra le altre malefatte ci fu pure il minamento delle sponde rocciose del Canale e di tutti i ponti che lo attraversavano, e il tutto fu fatto saltare in aria. Ma, non soddisfatti, i fuggiaschi gettarono nel Canale tutto ciò che non erano in grado di portare con sé, vale dire carri armati avariati o senza benzina, locomotive ferroviarie, detriti e quant’altro. Alla conclusione della guerra, nel 1946, i genieri americani riportarono il Canale alla normalità, asportando centinaia di migliaia di tonnellate di quei rottami e detriti.

A parte l’autostrada e la ferrovia che collegano Corinto a Patrasso in quota, per favorire la circolazione dei mezzi locali di terra, alle due estremità del Canale nel 1988 furono costruiti due ponti (il ponte di Poseidonia, quello di Nord-Ovest, e il ponte di Isthmia, quello di Sud-Est), appena al disopra del livello dell’acqua. Questi, per non impedire il passaggio delle imbarcazioni in transito, sono costruiti in modo che possano inabissarsi e, fatto rilevante, qualora venga a mancare la corrente elettrica che fa funzionare i meccanismi di discesa e di salita, l’abbassamento può avvenire semplicemente per gravità.

(maggio 2020)

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