Putin, uno Zar dei nostri tempi
Carisma, tendenze autoritarie e potere economico: un cocktail ideologico che sembra aver reso invincibile il Presidente Russo Vladimir Putin, ai vertici del Cremlino da quindici anni. Breve ritratto di uno dei leader politici più controversi che la storia ci abbia riservato

Dal 1999 la Russia è sotto il controllo di Vladimir Putin, il quale ha esercitato il potere politico alternando in questi anni il ruolo di Primo Ministro con quello di Presidente della Repubblica. Sotto la sua guida, il Paese ha superato l’iniziale fase di stordimento connessa alla fine del regime sovietico e ha, lentamente, recuperato quel ruolo di potenza internazionale apparentemente perduto con la fine del comunismo. Nonostante la sua personalissima concezione di democrazia – se non altro distante dai modelli in vigore nell’Europa Occidentale – Putin gode attualmente di un ampio consenso e risulta molto apprezzato dall’opinione pubblica russa. Tuttavia, dietro l’illusorio stato di benessere che la Russia sembra attraversare in questo periodo si cela, in realtà, un intreccio tra Stato e lobby economiche, occultato da una costante opera di propaganda politica.

L’uomo giusto al momento giusto. Quando nell’agosto del 1999 è nominato Primo Ministro, Putin si ritrova a gestire una situazione politicamente ed economicamente difficile. L’ex funzionario del Kgb, infatti, eredita il triste risultato di anni di tentate riforme e di lotte intestine, alle quali il vecchio Presidente Boris El’cin, anche a causa di seri problemi di salute, non era riuscito a far fronte. Alla fine degli anni ’90, la Russia appare come un Paese debole e corrotto, dove molti uomini d’affari hanno costruito il loro successo profittando della delicata fase di transizione dal comunismo alla democrazia. Come se non bastasse, in alcuni ambienti politici si registra una preoccupante nostalgia per il passato. Nonostante sia relativamente giovane, Putin sembra essere la persona più adatta per affrontare questi problemi, inoltre vanta già una lunga carriera alle spalle, grazie agli anni trascorsi nelle file dei servizi segreti sovietici e, successivamente, ai vertici del Servizio Federale di Sicurezza.

L’arte della propaganda. Alle elezioni presidenziali della primavera del 2000, Putin ottiene una schiacciante vittoria vincendo al primo turno. Il popolo russo sembra aver, finalmente, trovato il suo leader, che in pubblico assume un atteggiamento rassicurante, deciso e, a tratti, austero. Le elezioni, però, si svolgono senza che vi sia un contraddittorio tra i candidati in corsa per la presidenza: Putin è convinto di essere l’unico erede di El’cin. Tuttavia, il suo partito, Russia Unita, ottiene quasi il 50% dei consensi grazie ad un’intensa e martellante campagna elettorale. I veri mobilitatori delle masse si rivelano, però, i ragazzi di Nashi, un movimento ben strutturato che raccoglie centinaia di sostenitori del Presidente e che molti definiscono come la «gioventù putiniana». Nashi, come del resto Russia Unita, si posiziona nell’area politica del Centro-Destra, si caratterizza per uno spiccato sentimento nazionalista e rappresenta una vera e propria macchina del consenso.

La questione cecena. Fin dai tempi dello Zar, la Russia ha manifestato una duplice tendenza: espansionistica e centralista al tempo stesso. Ogni territorio conquistato veniva, infatti, amministrato secondo le decisioni stabilite dal Governo centrale, senza alcuna considerazione per le popolazioni locali. Tale abitudine non è cambiata neanche con l’avvento del regime comunista, ma si è semplicemente adattata alle circostanze imposte dalle ragioni ideologiche. I Ceceni hanno rappresentato il popolo che ha sempre osato sfidare l’egemonia russa, i ribelli per antonomasia. Durante gli anni ’90, la rivolta cecena ha continuato a suscitare le ire di Mosca e ha assunto i connotati del fenomeno terroristico. Utilizzando come pretesto gli attentanti organizzati nella capitale durante l’estate del ’99, Putin è riuscito a stroncare la resistenza dei Ceceni attraverso la forza militare, senza preoccuparsi minimamente dell’aspetto umanitario della vicenda. Secondo molti, il leader russo ha conquistato il rispetto dell’opinione pubblica grazie, soprattutto, all’atteggiamento assunto in quell’occasione: in tal senso, Putin con il suo pragmatismo ha ridato voce a quel sentimento nazionalista che il bonario Presidente El’cin aveva tentato di sedare.

Il regno di Gazprom. Con la stessa risolutezza con la quale ha combattuto gli indipendentisti ceceni, Putin ha dichiarato guerra, dal 2000, a quell’élite di oligarchi che avevano costruito la loro fortuna economica durante gli anni della presidenza El’cin. Sfruttando il processo di svendita e privatizzazione delle vecchie imprese di Stato, questa ristretta cerchia di miliardari aveva, infatti, acquisito un potere tale da influenzare le scelte del Governo. La lotta di Putin ai monopoli è stata percepita dall’opinione pubblica come una battaglia contro la corruzione, anche se, in realtà, l’obiettivo del Presidente Russo è sempre stato quello di rafforzare l’autonomia del Governo sostituendo la vecchia nomenclatura con un gruppo di collaboratori fidati. Molti di loro – tra i quali l’ex Capo di Stato Dimitrij Medvedev – sono ex dirigenti di Gazprom, la più grande compagnia russa che si occupa di estrazione di gas naturale e rifornisce gran parte dei Paesi dell’Europa Centro-Occidentale. Gazprom è, soprattutto, una compagnia pubblica che comprende una miriade di società di ogni tipo, un vero e proprio impero sotto il controllo del potere politico.

La Russia e il resto del mondo. La crisi del regime sovietico aveva costretto la Russia a svolgere, per quasi tutti gli anni ’90, un ruolo marginale rispetto a quelli che erano apparsi come i due principali attori del sistema internazionale: gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Intento a risollevare le sorti del suo Paese, il vecchio Presidente El’cin si era fatto promotore di una politica estera conciliante e, fondamentalmente, priva di grandi ambizioni. Con l’arrivo di Putin e grazie alla ripresa economica, la Russia è tornata a esercitare, seppure in una nuova veste, una politica di potenza. Il recupero da parte di Putin di una diplomazia più audace è stata, in gran parte, una reazione sia a quel modello unipolare che era andato delineandosi dopo la caduta del Muro di Berlino, sia al tentativo degli Stati Uniti di allargare l’Alleanza Atlantica a Est dell’Europa. A tal proposito, il politologo russo Vitalij Tret’jakov ha affermato: «Putin è riuscito a reinserire la Russia nel gioco della geopolitica. Anzi l’ha fatta tornare a essere un giocatore di primo piano, non più succube dell’Occidente. Chi pensa che la Russia possa rinunciare alle sue tradizionali zone d’influenza si sbaglia di grosso. La Russia può esistere solo come grande potenza».

(agosto 2014)

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