Spagna: una riconciliazione improbabile
Le Spoglie mortali di Franco dovranno lasciare Santa Maria del Valle de los Caidos: riflessioni e auspici

La Corte Suprema di Spagna ha pronunciato l’ultima parola nella lunga «querelle» circa l’allocazione definitiva delle Spoglie di Francisco Franco, il Generalissimo scomparso nel 1975 dopo 35 anni di governo iniziato nel 1939 con la vittoria nella Guerra Civile. Tale conflitto aveva imperversato in tutto il Paese a seguito del «pronunciamento» militare contro un potere di estrema sinistra che non aveva fatto mistero delle sue opzioni radicali, anche nei confronti della Chiesa, sfidando apertamente un Paese di forte tradizione cattolica e tradizionalista. La sentenza in questione ha stabilito che il sepolcro di Franco non possa continuare a essere ospitato nella Basilica di Valle de los Caidos, presso El Escorial, dove il Caudillo venne inumato sotto una semplice lapide trapezoidale di granito rosa, senz’altra iscrizione all’infuori di nome e cognome, accanto a quella ugualmente spartana di José Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange.

Giova aggiungere che le due tombe in questione sono le sole a carattere nominativo presenti nel complesso architettonico del Valle, dove riposano a decine di migliaia i Caduti della Guerra Civile, sia dell’una che dell’altra parte: ciò, quale simbolo di conciliazione voluto dallo stesso Franco con la costruzione della Basilica scavata nella dura roccia, e della grande Croce che la sovrasta dall’alto dei suoi 130 metri di altezza imponendosi alla riflessione di ogni visitatore. È vero che i lavori, iniziati nel 1940 e portati a termine soltanto nel 1958, furono compiuti anche col parziale apporto dei detenuti politici, ma resta il fatto che il grande Monumento era sorto nel tentativo di chiudere nel segno della fede e della speranza ogni residua resipiscenza di un conflitto che era stato particolarmente crudele, anche a prescindere dal supporto che venne fornito a entrambe le parti da varie Potenze estere: anzitutto, Italia e Germania per i nazionalisti, Unione Sovietica e Francia per i cosiddetti «rossi».

Nel 2018, il Governo Socialista di Pedro Sanchez, interpretando nuove istanze formulate in tal senso dalle forze di sinistra, decise di forzare i tempi promulgando un decreto per la riesumazione e la traslazione dei resti di Franco, cui non era estranea la volontà di distrarre la pubblica opinione da altre vicende, e in particolare dai conati secessionisti non infrequenti nella più recente storia della Spagna. Sta di fatto che la Vice Presidente Carmen Calvo disse senza mezzi termini che Franco non poteva «avere una tomba di Stato in una democrazia consolidata come quella spagnola» anche se, in realtà, il suo semplice sepolcro era collocato in una Basilica Benedettina.

Come era prevedibile, gli eredi del Caudillo si sono opposti al decreto, e poi alla sua conversione. Nondimeno, vista la volontà politica prevalente, in un secondo tempo si sono dichiarati disponibili a programmare la traslazione nella Cattedrale Madrilena dove da tempo la famiglia Franco aveva provveduto ad acquistare alcune tombe in una cappella collaterale; ma anche in questo caso, senza l’adesione degli Organi governativi. Ne è conseguita una fase di stallo, verosimilmente destinata a concludersi a seguito della sentenza emessa dalla Corte Suprema di cui in premessa, con traslazione in altro luogo più riservato.

È chiaro che l’atteggiamento del Governo di Madrid, trascorsi 80 anni dalla fine della Guerra Civile, e 45 dalla scomparsa di Francisco Franco, può avere motivazioni comprensibili nella sola ottica politica, senza dire che le polemiche, ormai simboliche se non anche pretestuose, possono indurre effetti potenzialmente contrari, in quanto suscettibili di riproporre antitesi radicali che la legge del tempo sembrava avere eliso, sebbene non del tutto cancellato, salvo riemergere come un fiume carsico, tanto più che una vera e propria conciliazione tra le forze che si combatterono con grande durezza nella seconda metà degli anni Trenta non è mai avvenuta ufficialmente. Del resto, tutti sanno che le guerre civili provocano efferatezze maggiori – e relative conseguenze – rispetto a quelle fra Stati Sovrani, che almeno sulla carta sono regolate dalle norme del diritto internazionale bellico.

Si potrà certamente discutere, come avviene in sede storiografica, sul ruolo del franchismo nella storia di Spagna e nella costruzione di quella attuale, ma non si può fare a meno dal riflettere che, se il Caudillo fu un dittatore autoritario, le sue gesta non sono paragonabili – tanto per fare qualche nome – a quelle di Stalin, di Mao Tse Tung, di Pol Pot, del Maresciallo Tito e di altri satrapi delle cosiddette democrazie popolari, autori di prolungati e pervicaci delitti contro l’umanità, le cui Vittime si contano a milioni. Senza dire che nessuno di questi campioni del progressismo è passato alla storia, diversamente da Franco, per avere lasciato ai posteri una grande tomba per i Caduti dell’una e dell’altra parte.

La Guerra Civile Spagnola, per fare un esempio a noi vicino, non fu meno crudele di quella italiana degli anni Quaranta, ed ebbe alcune «specialità» criminali che ancor oggi suscitano agghiacciante stupore: la prassi slava di cavare gli occhi alle Vittime non è meno terrificante di quella dei comunisti iberici che (come da ineccepibile testimonianza di Bruce Marshall) uccidevano i prigionieri, e anche i sacerdoti di Santa Romana Chiesa, con sistemi allucinanti come il «lavaggio» di cemento liquido idoneo a provocare una morte lenta fra spasmi atroci. «Et de hoc satis!»

In questa ottica, le dispute sul sepolcro di Franco assumono caratteri strumentali di tutta evidenza e non contribuiscono a perseguire quella riconciliazione effettiva che sarebbe sempre nei voti degli uomini di buona volontà, ma presume un arduo superamento dei ricorsi storici teorizzati dal Vico: allo stato delle cose, una nobile utopia.

(dicembre 2019)

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