Adriano
Modificazioni decisive nella storia imperiale di Roma

Ritratto di Adriano

Ritratto di Adriano, dopo il 117, Museo delle Terme, Roma (Italia)

La teoria ciclica del Vico è generalmente valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi. L’assunto, alla luce di tante crisi istituzionali, militari e civili, a cominciare da quelle ricorrenti nel mondo politico greco, trova una conferma di tutta evidenza anche in epoca romana: un esempio probante è quello dell’Imperatore Adriano (76-138) che si ricorda per avere avviato una politica di confronto, non soltanto militare, con le popolazioni barbariche che premevano ai confini dell’Impero, venendo a patti, tra gli altri, con Germani, Sarmati e Parti, pur dovendo fare i conti con la pervicace resistenza ebraica, e completare l’opera già compiuta da Tito con la distruzione di Gerusalemme.

Con il predecessore Traiano, l’Impero aveva raggiunto la massima espansione territoriale, spaziando dall’Africa alla Britannia, o dalla Penisola Iberica alla Mesopotamia, ed inglobando anche la Dacia, a fronte di due guerre sanguinose, in cui Adriano ebbe modo di affermare le proprie capacità militari, ma nello stesso tempo, quelle di una complessa diplomazia. Ciò, anche attraverso l’abbandono tattico di alcuni territori, soprattutto in Oriente, e la rettifica dei confini con l’eliminazione di qualche saliente la cui difesa risultava di scarsa rilevanza strategica, ma onerosa sul piano operativo, e conseguentemente su quello finanziario, senza contare il depauperamento quantitativo e qualitativo delle forze armate.

Adriano, nella sostanza delle cose, fu il primo Imperatore a rinunciare consapevolmente alla politica di espansione che Roma aveva perseguito da sempre, e potenziato emblematicamente con Cesare. Proprio per questo, la sua opera è stata interpretata alla stregua di una predilezione pacifista che peraltro non era affatto tale, perché nella gestione militare ed in quella civile rimase fedele ai modelli precedenti ed alla prassi ricorrente nei confronti dei vinti, con tanto di trionfi e di appropriazione dei beni. Il fatto nuovo, invece, fu la lucida consapevolezza critica con cui Adriano prese nota delle prime incrinature che cominciavano a manifestarsi nella gestione dell’Impero, ed a trarne le conseguenze.

Simbolicamente, la costruzione del celebre Vallo tra l’Inghilterra e la Scozia, da lui voluta, esprime la rinuncia ad ulteriori ipotesi di espansione, e nello stesso tempo, un’attenta valutazione della forza avversaria, analoga a quella che Adriano avrebbe maturato anche in Oriente, avviando – soprattutto coi Parti – un’opera di collaborazione i cui frutti civili e commerciali ne avrebbero suffragato la validità.

Considerazioni analoghe valgono per le ricorrenti attenzioni riservate al trattamento dei legionari, e quindi dei veterani, in modo da garantire alle forze combattenti un futuro accettabile, grazie alla distribuzione dei terreni agricoli e, quindi, un impegno militare per quanto possibile condiviso e convinto.

Da questo punto di vista, si può dire che quella di Adriano sia stata un’esperienza cautamente riformatrice, ispirata da indubbie doti naturali, dalla formazione filosofica, in cui lo stoicismo aveva esercitato un ruolo prevalente, e dalle opzioni culturali.

Sta di fatto che la sua epoca coincide con una svolta storica: la sottintesa rinuncia di Roma ad inseguire il sogno di Alessandro con la realizzazione di un governo universale della cosa pubblica. Sarebbero passati ancora tre secoli e mezzo prima della fine, ma la classe dirigente raggiunse, proprio con Adriano, una nuova coscienza delle condizioni oggettive in cui l’Impero Romano doveva necessariamente operare; e di conseguenti limiti fisiologici che solo in seguito sarebbero diventati patologici.

Adriano fu certamente grande uomo di stato, ma non privo di interessi e suggestioni che ne avrebbero condizionato l’azione politica, a cominciare dalla vita privata e dall’orientamento bisessuale, culminato nella passione per il giovane Antinoo e nel dolore straziante per la sua morte prematura; ma nello stesso tempo, per una gestione generalmente corretta dei rapporti umani coi diretti collaboratori, eppure non aliena da comportamenti impulsivi, tipici di una psicologia complessa. Basti ricordare, non tanto la comprensibile spregiudicatezza con cui liquidava gli avversari, quanto l’esautoramento di uomini come Svetonio, lo storico che aveva diretto la segreteria imperiale, falsamente accusato di non avere onorato nelle forme dovute l’Imperatrice Vibia Sabina.

Non a caso, la fama di Adriano è legata soprattutto al suo impegno in campo artistico, con riguardo prioritario alla grande architettura ed alla scultura. Il Mausoleo romano che porta il suo nome – poi diventato Castel Sant’Angelo –, il Tempio omonimo di Piazza Quadrata, la celebre Villa di Tivoli, le tante città di fondazione, e l’eccezionale fioritura della statuaria, in larga prevalenza di marmo (specialmente greco ed africano) stanno a dimostrare che il regno di questo Imperatore fece registrare un’apertura verso valori spirituali ignoti a parecchi dei suoi predecessori.

Nei confronti dei Cristiani ebbe qualche apertura, sia pure limitata, come Margherita Yourcenar ha ricordato nel celebre capolavoro letterario dedicato alle Memorie di Adriano, ed il suo senso religioso prese nette distanze dai modelli tradizionali, evolvendosi verso una forma di immanentismo in cui il culto delle vecchie divinità, nella migliore delle ipotesi, costituiva un mero orpello formale, o meglio un atto dovuto alla consuetudine istituzionale.

Adriano, invece, fu assai sensibile al tema dell’anima ed a quello dell’oltretomba: il Mausoleo venne costruito per accoglierne le spoglie, mentre il Tempio fu eretto in onore della moglie, defunta prima del consorte dopo una vita piuttosto ritirata e generalmente lontana dall’Imperatore, troppo impegnato nelle contrade periferiche, e durante i non lunghi soggiorni a Roma, nella gestione degli affari di stato. Nonostante la durezza dei tempi, ebbe attenzioni anche per la condizione degli schiavi o per quella dei gladiatori, facendosi promotore di provvedimenti destinati ad attenuare un durissimo regime normativo, lontano anni luce dalla nostra coscienza civile.

Con l’avvento di Adriano al soglio imperiale si mossero i primi passi di un nuovo corso che, fra gli inevitabili alti e bassi, avrebbe avuto conseguenze a lungo termine: da una parte, con l’abbandono delle conquiste e l’avviamento della strategia difensiva, e dall’altra, con uno sviluppo culturale che, pur dovendo convivere con i «circenses» rivolti a blandire le classi inferiori, e di tenere a bada una plebe riottosa ed egoista, avrebbe indotto una fioritura artistica in cui la bellezza assumeva, come nella concezione di Benedetto Croce, e soprattutto nell’odierno pensiero di Stefano Zecchi, un significato etico.

Quella di Adriano rimane certamente un’epoca di forti contraddizioni sociali, che l’Imperatore avvertiva nella loro ingiustizia di base anche quando i lacci delle consuetudini e delle pregiudiziali gli impedivano di trarne conseguenze a carattere generale; ma nello stesso tempo, di pur sofferto e limitato progresso. Non ebbe il dono di una vera fede, ma seppe riflettere con attenzione sulla vita e sulla morte, seguendo l’esempio dei grandi filosofi, e ponendosi il problema dell’uomo con un occhio molto vigile per la sua componente spirituale.

(dicembre 2017)

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