L’Abbazia di San Salvatore di Badia di Cantignano
Vicende storiche medievali nell’ombra

In una località non distante da Lucca, direzione Monti Pisani, troviamo un palazzo singolare, chiamato «delle cento finestre» per l’innumerevole quantità di finestre ivi esistenti. Annesso al palazzo un ex monastero e una bellissima chiesa: San Salvatore di Badia di Cantignano.

Da studi accurati e scavi archeologici è emerso che qui ci fossero in epoca romana delle terme e una villa romana costruita proprio grazie alle acque termali presenti. I Monti Pisani, soprattutto nel versante lucchese, sono ricchissimi d’acqua, anche termale, spesso sulfurea. Qui fu dunque costruita una splendida villa i cui resti ancora oggi ci riportano addirittura a tecniche pittoriche che rinveniamo nelle più belle ville pompeiane. Quando i Longobardi giunsero a Lucca, nel VI secolo dopo Cristo, si riappropriarono, come spesso accadeva, di luoghi che tanto lustro avevano avuto in epoca romana. Così accadde anche per questo particolare sito archeologico.

Purtroppo, pur avendo Lucca un patrimonio di pergamene di epoca longobarda incommensurabile, addirittura la metà di tutte le pergamene del periodo, che possiamo trovare all’Archivio Diocesano di Lucca, non ci sono scrittori che abbiano lasciato traccia scritta rilevante dell’importante Ducato Longobardo che la città rappresentò. Lucca era una testa di ponte tra Pavia e i Ducati di Spoleto e Benevento. Paolo Diacono però probabilmente non ebbe contatti diretti, non ha di fatto descritto, nonostante l’importanza, quanto avvenne in quel periodo in queste terre toscane. Sappiamo che le principali Casate Longobarde, Suffredinghi in testa, avevano i loro possedimenti fino all’Alto Lazio.

Nel caso di Badia di Cantignano, qui si formò un importante monastero benedettino le cui vestigia sono riscontrabili in pitture ritrovate dentro la chiesa che rappresentano dei veri e propri ritratti dei personaggi longobardi che ebbero un ruolo centrale per l’abbazia. Due erano le diramazioni che da Lucca verso Sud andavano in direzione di Pisa e non solo.

La prima, in direzione di Pisa, attraverso il «Passo di Dante», conduceva direttamente verso quella città; l’altra attraverso i Monti Pisani in direzione di Badia di Cantignano sempre verso i territori pisani ma in direzione di Volterra.

Ogni cella del convento aveva due finestre e un caminetto. Una singolarità spiegata col fatto che a ogni monaco, che passava in cella la maggior parte del suo tempo, veniva affidato un novizio, il quale doveva abituarsi alla vita monastica.

Il monastero benedettino dovette godere di grande valore. Ma nel 1200 decadde e venne in seguito affidato ai Camaldolesi.

Tutti i paesi del circondario hanno nomi di origine longobarda (Vorno, Guamo, Coselli) e la Badia dovette avere un peso anche economico non indifferente. Vi si trovavano mulini, molti i terreni e i territori di sua esclusiva pertinenza. Dalla Badia si possono scorgere in lontananza le torri di Lucca, che oggi sono campanili ma che in epoca medievale furono anche le numerosissime torri cittadine delle famiglie più in vista dentro la cinta muraria lucchese.

L’ex monastero, che divenne a partire dal Cinquecento proprietà padronale, acquistato da famiglie in vista della città, a partire dai Gigli per arrivare ai Franciotti e poi ai Massei e ai Buonvisi, si trasformò nel XIX secolo in una casa colonica, per divenire una scuola comunale, ma anche cinema, sede di negozi e attività artigiane. Che tutt’ora vi troviamo all’interno. La chiesa, bellissima, custodisce i resti non solo romani, ma anche longobardi, recentemente restaurati ed è luogo di visita dei numerosi turisti che arrivano nella città toscana.

Molte cose sono però taciute, io credo, di questo luogo, che suggerisce atmosfere particolari.

Voglio così descrivere quanto il marchese Cesare Boccella nella prima metà del XIX secolo descrisse in un suo contestato romanzo dal titolo Il Templare pubblicato in Lucca ai tempi in cui regnava in città Carlo Ludovico di Borbone-Parma.

Il marchese asseriva che un Templare Lucchese appartenente a una nobile famiglia cittadina che lui non cita (sarà stata la sua? A pensar male non si rimette mai) dopo lo scioglimento dell’Ordine qui finì i suoi giorni, nel convento all’epoca ancora benedettino.

Il libro del marchese fu contestato perché il marchese stesso lo era.

Era divenuto ministro del Duca Borbonico e con lui si era convertito al protestantesimo. L’ufficialità vuole che sia Carlo Ludovico che il marchese Boccella poi ritrattassero la conversione, ma gli indizi per non credere fino in fondo a questa versione ci sono tutti. E ho descritto le vicende politiche del periodo in numerosi articoli pubblicati sul sito www.storico.org.

Sicuramente l’avventura costò cara al marchese oltre che al Duca che dovettero di fatto ufficialmente ritrattare le loro scelte. Ma la questione templare e del libro del marchese ritengo rimanga in sospeso.

Lo storico Paolo Mencacci in Templari a Lucca dice che i membri dell’Ordine in questa città non subirono il martirio che altrove spesso li vide protagonisti. Anzi, che qui continuarono a fare quanto facevano prima dello scioglimento dell’Ordine.

Presumo anche il nostro Templare descritto dal marchese Cesare Boccella. «Ora et labora», diceva San Benedetto. E infatti il nostro, dismessi i panni del cavaliere templare, che anche come cavaliere pregava sicuramente e lavorava (non erano forse spesso questi cavalieri banchieri, ma anche medici, alchimisti, scrittori, musicisti, architetti?) si recò in un luogo consono e vicino alla sensibilità dei cavalieri templari medesimi: un monastero benedettino.

Senza dubbio Benedettini prima e Cluniacensi poi furono per l’Ordine Templare fonte di ispirazione. Una filosofia di vita fatta di condivisione, povertà ma soprattutto impegno verso Dio e verso gli uomini li contraddistingueva. Una vocazione all’annuncio pratico, potremmo dire, del Vangelo. Dove per pratico intendo proprio manuale, fattivo. Ogni mestiere che li contraddistingueva, fossero essi banchieri, medici, alchimisti, farmacisti eccetera, doveva necessariamente portarli verso obiettivi volti al rispetto e alla valorizzazione della comunità.

Il nostro ex Templare, dunque, sicuramente non si recò nel monastero di Badia di Cantignano per nascondersi, come qualcuno avrebbe voluto e/o potuto interpretare. E neppure per cambiar aria. Bensì per ritrovare qui la sua dimensione che «il mondo», come allora si diceva, visto lo scioglimento dell’Ordine, non poteva più offrirgli. Ma all’interno del monastero, nulla era davvero cambiato o poteva cambiare. Un chiaro messaggio che quanto vissuto da cavaliere templare non era sicuramente dissimile dal comportamento dei monaci nel monastero.

La Regola era dunque un sostegno, oltre che spirituale, giuridico e fattivo. E sosteneva quell’«unicum» inscindibile nel Medioevo tra laico e profano.

Probabilmente il marchese Cesare Boccella questo volle dire col suo contestato romanzo. L’onestà spirituale dell’ex Ordine Templare passava anche per certe scelte di campo che il recarsi dell’ex Templare nel monastero di Badia di Cantignano suggeriva.

Contestato dagli intransigenti Lucchesi, i quali non amarono in città il marchese Boccella e neppure il Duca Borbonico, espressione entrambi del tentativo di ricostruire quei ponti europei verso «la modernità» che la Riforma e poi la Controriforma avevano chiuso.

Il «misterioso» convento dunque, così vicino alla città stessa (la madre di Carlo Ludovico, Maria Teresa, voleva addirittura ripristinare la strada che dalla città direttamente conduceva a quel luogo, strada ivi presente in passato) e non troppo distante neppure dalla città di Pisa, dovette, io credo, custodire tutto ciò. A noi purtroppo, per la mancanza di riferimenti certi, questi tasselli mancano del tutto. Ma una riflessione senza dubbio appare adeguata.

(giugno 2021)

Tag: Elena Pierotti, San Salvatore di Badia di Cantignano, Pavia, Longobardi, Benevento, Paolo Diacono, Carlo Ludovico di Borbone, Cesare Boccella, Maria Teresa di Borbone-Parma, Benedettini, Camaldolesi.