Cooperazione e volontariato in Italia
Limiti istituzionali per una leadership storica di alta valenza umana e civile

Le tragedie naturali che si susseguono in Italia con crescente frequenza (pensiamo ai terremoti di Abruzzi, Belice, Emilia, Friuli, Irpinia, Molise, e via dicendo; od alle innumerevoli alluvioni aggravate dalle carenze di una vera politica del territorio, come nel caso emblematico del Vajont) hanno consentito di portare alla ribalta un primato che è motivo di conforto e di onore: quello dei volontari. Secondo fonti attendibili, il numero delle Italiane e degli Italiani che dedicano una parte più o meno significativa del proprio tempo a questa nobile attività si aggira sui sette milioni, pari a quasi un terzo della popolazione attiva, ed ormai da tempo ha raggiunto livelli assoluti e percentuali, davvero senza pari nel mondo.

Il volontariato esiste soprattutto in chiave cooperativa a carattere privatistico, che sopperisce alle forti latitanze istituzionali, ma nello stesso tempo, si colloca in una dimensione profondamente umana e civile, di grande valenza psicologica, perché il volontario, coerentemente con il suo impegno a tutto campo, non nega mai un sorriso, una parola di conforto, un incoraggiamento: in altri termini, non si limita a salvare le vite, ma contemporaneamente infonde nuove speranze.

La cooperazione obbedisce a prescrizioni condivise a livello internazionale ed alle normali intese di buon vicinato, o comunque di solidarietà civile fra Stati, Regioni, Comuni; nondimeno, oggi non potrebbe fare a meno dei volontari. Lo si è visto in modo palese nei tanti comprensori italiani travolti dal sisma, senza dire dell’aiuto fornito ai Paesi colpiti, a loro volta, da grandi drammi epocali. Ciò, non solo per la straordinaria disponibilità di braccia e di cuori, ma prima ancora per il loro costo minimo, ridotto alla copertura delle spese vive, e talvolta nemmeno di quelle, in quanto rimaste a carico del volontariato, che d’altronde non può prescindere dall’organizzazione, almeno nelle espressioni più consistenti e più conosciute, come quella dell’Associazione Nazionale Alpini.

L’assunto assume maggiore evidenza e consistenza in ambito mondiale, sia negli interventi a seguito di fenomeni naturali, tra cui si possono ricordare, limitatamente ai meno datati, quelli compiuti dall’Italia in Albania, in Armenia, ad Haiti, in Iran, e nei Paesi colpiti dallo «tsunami» asiatico; sia nelle missioni umanitarie collegate ad una presenza in armi a tutela dell’ordine, come in Afghanistan, in Libano od in Serbia, dove i soldati italiani si fanno carico sia del compito di mantenimento dell’ordine (per quanto precario), sia di quello assistenziale; talvolta, con sacrificio della vita.

È logico che nel territorio metropolitano l’apporto del volontariato sia quantitativamente maggiore, grazie all’accesso più facile ed all’assenza di vincoli politico-militari o delle cosiddette regole d’ingaggio, fatta eccezione per quella di perseguimento del bene comune. All’estero, invece, esistono impegni formali che peraltro dovrebbero coesistere con la cooperazione ed ottimizzare le strategie d’intervento; se non altro, quello sottoscritto nella Conferenza di Monterrey del 2002, dove i Paesi sviluppati decisero di destinare almeno lo 0,7% del prodotto interno lordo al budget finanziario della collaborazione internazionale per lo sviluppo, salvo disattendere l’accordo, praticamente senza eccezioni[1].

Tale impegno costituisce un tipico esempio di norma avente valore di mero riferimento, in quanto sfornita di effettive sanzioni, non potendosi ritenere tale il cosiddetto «dissenso etico» derivante dall’informazione: eppure, sarebbe interesse delle economie mature promuovere la crescita del Terzo Mondo, ed in particolare dei Paesi a basso reddito (secondo la classificazione della World Bank si tratterebbe di quelli con PIL pro-capite inferiore a 826 dollari annui), se non altro per circoscrivere sin dove possibile l’espansione impetuosa delle immigrazioni e della loro progressiva, nonché drammatica accelerazione, tanto più grave, in quanto impossibile da governare con misure tampone, né tanto meno con la demagogia velleitaria imperante al giorno d’oggi.

Le migrazioni sono un fenomeno storico che risale ai tempi biblici ed è proseguito nei millenni e nei secoli, ma la sua dimensione è cresciuta con progressioni impensabili grazie alla globalizzazione, inducendo effetti contraddittori se non anche irrazionali, che vanno dal rifiuto pregiudizialmente indiscriminato ad una sorta di rassegnato fatalismo, esorcizzabili, a ben vedere, solo nell’ottica della cooperazione internazionale, anche se lo «spirito di Monterrey» è stato travolto dalle esigenze di bilancio dei Paesi firmatari, e si è ridotto ad un paradigma di riferimento futuribile, ma comunque oggettivamente perseguibile (pur nel silenzio assordante delle Nazioni Unite circa le inadempienze in essere).

Federico Caffè, il noto economista di scuola keynesiana misteriosamente scomparso a Roma, aveva affermato che lo scopo principale dell’intervento consiste nel perseguire «la speranza che la povertà e l’ignoranza possano essere gradualmente eliminate»[2]: insegnamento sempre valido, da un lato per avere disatteso in modo realistico ogni suggestione massimalista della Sinistra, e dall’altro perché avalla, in una sintesi molto comprensibile, anche la logica della cooperazione e delle iniziative collaterali di volontariato.

Queste valutazioni potrebbero ritenersi utopistiche, tanto più che la pressione demografica del Terzo Mondo appare ben difficilmente governabile, come attestano i casi drammatici di tanti Paesi, in specie africani ed asiatici, ma giova tener presente che il ruolo della volontà, come la filosofia contemporanea ha più volte sostenuto, assume carattere determinante in quanto capace di «modificare la linea del possibile». È un’intuizione quasi tautologica ma pertinente se non altro per avere conferito al volontariato una dignità di sistema, a corollario di quella etica che precede tutte le altre, in quanto mutuata dalla dimensione umana del reale.


Note

1 J. Stiglitz, La globalizzazione che funziona, Einaudi, Torino 2007, pagine 62-111. Oggi, in quasi tutti i Paesi le quote del prodotto lordo destinate alla cooperazione internazionale risultano largamente sottostimate rispetto agli impegni sottoscritti. In Italia sono progressivamente diminuite dallo 0,2% iniziale allo 0,5‰ attuale.

2 E. Rea, L’ultima lezione, Einaudi, Torino 2008, pagina 29. Professore di Politica Economica all’Università di Roma, Caffè scomparve il 15 aprile 1987, dopo il collocamento a riposo, senza lasciare traccia.

(febbraio 2017)

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