Domande postume a Giulio Andreotti
Difesa dell’aborto e approvazione del trattato di Osimo: due atti contrari alla coscienza e alla fede cattolica. Testo di un inedito a firma del Professor Italo Gabrielli, predisposto in occasione della scomparsa di Giulio Andreotti, qui riprodotto per gentile concessione della Signora Alma Cosulich Gabrielli

L’archivio del Professor Italo Gabrielli, scomparso nel gennaio 2018 alla vigilia del XCVII compleanno dell’illustre storico ed esponente del movimento esule dalla Venezia Giulia e dall’Istria, sta mettendo a disposizione una serie di inediti che consentono di completare utilmente la conoscenza del patriota integerrimo, uomo di fede e interprete di un’azione politica intesa – alla maniera dell’antica definizione – quale arte di ben operare nella vita associata, al servizio del bene comune.

La riflessione del 2013 – pubblicata qui di seguito nella sua integrità – costituisce una testimonianza della costante adesione di Gabrielli ai valori di un Cattolicesimo impegnato e impegnativo: nella fattispecie, dissociandosi dall’opzione di Giulio Andreotti appena scomparso (maggio 2013) sia sull’annosa questione dell’aborto, sia sulle responsabilità storiche del vecchio leader democristiano nella vicenda del trattato di Osimo (stipulato nel 1975 e ratificato due anni dopo) con cui era stato chiuso il contenzioso italo-jugoslavo aggiungendo alle perdite territoriali statuite nel «diktat» del 1947 anche quella della cosiddetta Zona «B» del Territorio Libero di Trieste, con le città di Capodistria, Buie, Cittanova, Isola, Umago e Pirano (quest’ultima, luogo nativo dello stesso Gabrielli).

Per la chiarezza delle osservazioni proposte in questa silloge si ritiene congruo, in ossequio a una migliore conoscenza storica, porre in evidenza – nella loro esemplare sintesi – gli argomenti esposti dal Professore in occasione della morte del «divo Giulio» onde sottolineare il proprio dissenso dalle posizioni di un uomo politico come Andreotti che ha lasciato un’impronta fondamentale nella lunga vicenda italiana dall’immediato dopoguerra agli inizi del terzo millennio.


Premetto che, da Cristiano, non posso che augurare a Giulio Andreotti la pace eterna, nel nome del Signore. Le incensazioni o le condanne rivolte al Senatore non mi riguardano, come non mi interessano le illazioni poste a base dei processi intentati a suo carico.

La storia ha il dovere di perseguire comunque la verità. Al riguardo, non si può negare che lo statista Andreotti ha sulla coscienza due gravi opzioni che ritengo doveroso segnalare, non senza meravigliarmi del fatto che la stampa cattolica abbia evitato di affrontare l’argomento.

La prima riguarda la difesa dell’aborto davanti alla Corte Costituzionale e l’avere firmato la legge 194 a favore dell’interruzione volontaria di gravidanza. Quanti esseri umani non sono nati a causa di questo provvedimento? Un Cattolico, a mio giudizio, deve essere coerente e rispettare la dottrina della Chiesa, universalmente nota. Qualora necessario, deve trarne le conseguenze e dimettersi dagli impegni istituzionali che possano indurre alla violazione di quella dottrina, e in primo luogo del diritto alla vita, sua autentica pietra angolare.

La seconda questione riguarda un’altra «firma» di Andreotti: quella per la ratifica (1977) del trattato di Osimo, siglato due anni prima (assieme al suo omologo Milos Minic) dal Ministro Mariano Rumor, titolare degli Affari Esteri nel Gabinetto presieduto da Aldo Moro.

Infatti, con quella scelta politica venne avallata la cessione della Zona «B» di un Territorio Libero di Trieste che oltre tutto non era mai stato costituito formalmente. L’atto, di rilevanza penale, diede luogo alla cessione di una parte del territorio italiano, provocando l’esilio di ulteriori migliaia di Istriani: tra l’altro, con la decisa e lunga contestazione del trattato condotta personalmente dal Vescovo di Trieste, Monsignor Antonio Santin.

Mi piace ricordare che il Presule si rivolse personalmente all’Onorevole Andreotti con la preghiera di non compiere un gesto che implicava, tra l’altro, la mancata difesa dei diritti umani, visto che gli Istriani della Zona «B» non vennero consultati, e costretti all’esilio. Le parole del Vescovo furono chiare e forti, concludendosi con una dura e pertinente affermazione: «Non si doveva e non si poteva decidere della terra senza interpellare la popolazione: di ciò, i responsabili non saranno mai assolti».


Non c’è che dire. La posizione di Gabrielli, iterando quelle illustrate nelle sue maggiori opere, è chiara e forte. Il rifiuto dell’aborto, e quindi la difesa del diritto alla vita, deve essere sottolineato in modo particolare trattandosi di una posizione che veniva espressa a distanza di oltre 30 anni dal referendum abrogativo respinto dal popolo, e a 35 anni dalla legge istitutiva. Intendiamoci: Gabrielli non contestava la pronunzia elettorale, alla luce della sua sensibilità democratica, ma si limitava a sottolineare il carattere opinabile della scelta abortista di molti Cattolici, con riguardo prioritario a chi era politicamente impegnato.

Ciò, in una fattispecie chiaramente peggiorativa rispetto a quella del divorzio anche dal punto di vista laico, perché nel caso dell’aborto si veniva a compiere un attentato alla vita (valore sacro per i credenti ma primario anche per gli agnostici) che non poteva essere accettato in quanto negazione, per l’appunto, di un imprescindibile diritto naturale.

Più articolata è la questione di Osimo, vista da Gabrielli non solo in chiave politica, ma anche fideistica. Nel primo caso, il Professore nega la validità del trattato dal punto di vista giuridico oltre che etico-politico, e nel secondo si richiama all’intervento che il Vescovo di Trieste, Monsignor Antonio Santin, aveva effettuato proprio nei confronti di Andreotti onde sottolineare la violazione dei diritti umani avvenuta con la sottoscrizione del trattato, perché non erano state consultate le popolazioni del territorio: ciò, con la conseguente richiesta di interventi e sanatorie che non ci furono.

Gabrielli non ignorava che l’articolo 75, comma secondo della Costituzione, esclude l’ammissione a referendum delle leggi di ratifica dei trattati ma riteneva che quella consultazione sarebbe stata politicamente opportuna, se non altro alla luce della «specialità» regionale del Friuli-Venezia Giulia, e soprattutto, del fatto che la Regione Autonoma (in persona del Presidente Antonio Comelli) era stata messa davanti al fatto compiuto, ignorando la necessità di acquisirne il parere sia pure consultivo.

L’impegno del patriota istriano contro le statuizioni di Osimo venne profuso a tutto campo, nel senso letterale del termine. Giova ricordare che scrisse a tutti i Parlamentari della Repubblica, ai Ministri e ai Presidenti del Consiglio, e che non ebbe mai risposta. Un piccolo gruppo di esponenti della maggioranza si distinse per il coraggio di dissociarsi dalle decisioni del Governo a titolo individuale, incontrando l’ostracismo dei rispettivi partiti, ma la sola opposizione ufficiale rimase quella di tutti i Senatori e Deputati del Movimento Sociale Italiano (fra gli altri: il Triestino Franco Petronio, il Dalmata Ferruccio de Michieli Vitturi e lo Zaratino Renzo de’ Vidovich).

Fra coloro che vollero esprimere apertamente la dissociazione dalle direttive di gruppo, vale la pena di rammentare il liberale Luigi Durand de la Penne, decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare, il democristiano Giacomo Bologna, esule dall’Istria, e il socialdemocratico Fiorentino Sullo, che annunciò il suo voto contrario ricordando che il padre aveva combattuto sul Carso e sul Pasubio e che gli «sarebbe parso di tradirne la memoria se avesse votato per il Governo».

C’è di più. Nel suo intervento per la scomparsa di Andreotti, Gabrielli pose il problema di rilevanza penale del trattato (se non altro a futura memoria) giacché con Osimo si era dato luogo alla rinuncia della sovranità italiana su parte del territorio nazionale: un reato a carattere imprescrittibile, e nello stesso tempo un «vulnus» insanabile.

Ecco tutte le buone ragioni per attirare le attenzioni del caso su questo «memento» alla classe politica italiana che traeva spunto dalla scomparsa di un suo prestigioso esponente per richiamare Governo e Parlamento, unitamente ai cittadini, alla rilevanza generale di questioni essenziali come la tutela del diritto alla vita e della sovranità; e per elidere il pericolo incipiente di un silenzio che avrebbe finito per porre una pietra tombale (come da altra espressione cara a Italo Gabrielli) sulle attese degli Esuli e degli Italiani migliori.

(giugno 2020)

Tag: Italo Gabrielli, Giulio Andreotti, Mariano Rumor, Milos Minic, Aldo Moro, Monsignor Antonio Santin, legge sull’aborto, trattato di Osimo, Antonio Comelli, Franco Petronio, Ferruccio de Michieli Vitturi, Renzo de’ Vidovich, Luigi Durand de la Penne, Giulio Andreotti sul trattato di Osimo, Giacomo Bologna, Fiorentino Sullo, Carlo Cesare Montani, Giulio Andreotti sulla legge sull’aborto.