Fiorentino Sullo: Ministro e Patriota
Uno statista di sinistra, dal carattere sofferto e leale, e sincero patriota

Le celebrazioni avellinesi per il centesimo anniversario dalla nascita di Fiorentino Sullo, tenutesi nello scorso ottobre con il significativo intervento del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, hanno attirato l’attenzione sulla figura di un importante statista italiano, sofferta e complessa ma improntata a un commendevole lealismo di fondo, in cui, pur trattandosi di un personaggio della sinistra democristiana, e poi della socialdemocrazia, non mancarono momenti di sincero ed effettivo patriottismo.

Sullo, che sarebbe mancato agli albori del nuovo millennio, è stato un protagonista importante del lungo momento politico aperto dalla Costituente e concluso con gli anni Novanta: parlamentare per nove legislature, otto delle quali nelle file della Democrazia Cristiana e una in quelle del Partito Socialista Democratico Italiano, fu parecchie volte Sottosegretario di Stato, e poi Ministro dei Trasporti, dei Lavori Pubblici e della Pubblica Istruzione, dove avrebbe lasciato un segno tangibile, e di lunga durata, con importanti riforme strutturali, fra cui quelle degli esami di maturità e della libera scelta universitaria, a prescindere da quale titolo di scuola media superiore fosse stato conseguito.

Democristiano indubbiamente critico anche nei confronti del suo partito, tanto da entrare in conflitto con il conterraneo Ciriaco De Mita nell’ambito di un dissidio che si sarebbe ricomposto soltanto alla fine della sua carriera politica, Sullo non fu alieno dall’utilizzare la carta delle dimissioni, all’epoca (e non solo) tutt’altro che popolare nella classe politica italiana, fino a quella particolarmente clamorosa del 1975, quando le cronache registrarono il suo trasferimento nelle file socialdemocratiche, dove sarebbe rimasto per qualche anno, fino al rientro nella Democrazia Cristiana.

Qui non si vuole ripercorrere la sua lunga milizia di parlamentare e di uomo di governo, su cui esistono ampie testimonianze[1] ma ricordare un aspetto poco noto di un leader come Sullo, molto discusso, e tuttavia di forte seguito popolare, confermato dalle ripetute rielezioni. Si tratta di un patriottismo in controluce, ma sempre sentito e pronto a manifestarsi anche a costo di prendere decisamente posizione contro quella che un illustre politologo come Giuseppe Maranini aveva felicemente definito «dittatura d’assemblea».

In questo senso, il caso di maggiore visibilità ebbe luogo proprio nel 1975, quando l’Italia decise di chiudere il lungo contenzioso con la Jugoslavia per la definizione dei confini, avviando le trattative che si sarebbero concluse con l’infausto trattato di Osimo (10 novembre) e con l’immotivata rinuncia all’intera Zona «B» del cosiddetto Territorio Libero di Trieste. Ebbene, Fiorentino Sullo, che era passato da pochi mesi nel Gruppo parlamentare del Partito Socialista Democratico Italiano, fu tra i pochissimi componenti della maggioranza che si schierarono sul fronte opposto: oltre a lui, si ricordano soltanto, quali dissidenti di Montecitorio, il liberale Luigi Durand de la Penne, e i democristiani Giacomo Bologna, Giuseppe Costamagna e Giorgio Tombesi, con l’aggiunta del Senatore Paolo Barbi, che peraltro sarebbe uscito dall’aula di Palazzo Madama al momento del voto[2].

La motivazione del proprio gesto, annunciata da Sullo, fu di vera nobiltà: dopo avere protestato per la fretta e la segretezza con cui si era pervenuti alla firma, per il mancato coinvolgimento delle Commissioni Affari Esteri di entrambe le Camere, e per non aver tutelato la minoranza italiana in Jugoslavia e nella Zona «B» del Territorio Liberi di Trieste, concluse ricordando che il padre «aveva combattuto sul Carso e sul Pasubio come sottotenente di complemento» e che gli sarebbe sembrato di «tradirne la memoria» qualora avesse votato per il Governo a favore di Osimo[3].

Poteva essere la fine di una prestigiosa carriera politica, ma le doti di Sullo erano conosciute e riconosciute in una valenza morale che gli garantiva il comune rispetto, senza dire che il seguito elettorale di cui godeva nella propria circoscrizione rendeva problematica ogni possibile dissociazione, diversamente da quanto accadde per i deputati democristiani che avevano votato contro Osimo e che vennero deferiti ai probiviri del partito, provocando le dimissioni di Giacomo Bologna, Esule dall’Istria eletto nel collegio di Trieste.

A 45 anni da Osimo, e a cento dalla nascita, si è ritenuto di fare cosa buona e giusta ricordando il gesto di Sullo quale esempio di onestà politica e di commendevole patriottismo, che sono valori tanto più apprezzabili in una congiuntura politica che si distingue, oggi più che mai, da un ricorrente trasformismo all’insegna di interessi puramente contingenti; e prima ancora, dal frequente ripudio di una politica estera degna di questo nome, nella consapevole volontà di non ridursi, secondo una pertinente definizione e una prassi ricorrente, al «fare gli interessi degli altri»[4].


Note

1 Tra i contributi più significativi circa la vicenda politica di Sullo, confronta Gianfranco Rotondi, Viva Sullo: ascesa e declino, trionfi e tonfi di un leader che la DC non capì, con prefazione di Francesco Cossiga, La Discussione, Roma 2000. Molte furono le opposizioni con cui l’uomo politico irpino fu costretto a confrontarsi durante la sua complessa esperienza: tra le più vivaci e pervicaci, a parte i dissensi interni al suo partito, si deve ricordare quella di Gianna Preda, nota editorialista e polemista de «Il Borghese».

2 La sola opposizione schierata compattamente contro il Trattato di Osimo, sia alla Camera che al Senato, fu quella del Movimento Sociale Italiano, «in un crescendo di argomentazioni politiche, giuridiche ed economiche» tra cui quella, oggettivamente fondamentale, riguardante l’accusa di «alto tradimento raggiunto con viltà politica». Nondimeno, quando la Camera avrebbe votato la legge di ratifica, approvandola con 377 voti favorevoli e qualche decina di contrari – a un anno dalle firme apposte a Osimo dal Ministro degli Esteri Mariano Rumor e dal collega jugoslavo Milos Minic – sarebbero mancati all’appello ben 177 deputati della maggioranza: segno che, pur non avendo avuto il coraggio di uscire allo scoperto, molti parlamentari avvertirono il richiamo della coscienza e l’esempio dei dissidenti, tra cui erano emerse le alte motivazioni di Fiorentino Sullo (confronta Carlo Montani, Il Trattato di Osimo – 10 novembre 1975 –, Edizioni Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato provinciale di Firenze, Edizione Risma 1992, pagina 83).

3 Carlo Montani, Il Trattato di Osimo, Edizioni Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato provinciale di Firenze, Edizione Risma 1992, pagina 46.

4 La citazione, di suggestiva valenza storica e attuale, appartiene all’Ambasciatore A. R. Gianfranco Giorgolo: venne pronunciata nel 2012 presso il Senato della Repubblica in sede di presentazione dell’opera storiografica di Italo Gabrielli (Venezia Giulia e Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, Udine 2011).

(dicembre 2019)

Tag: Carlo Cesare Montani, Fiorentino Sullo, Giuseppe Conte, Ciriaco De Mita, Giuseppe Maranini, Luigi Durand de la Penne, Giacomo Bologna, Giuseppe Costamagna, Giorgio Tombesi, Paolo Barbi, Gianfranco Rotondi, Gianna Preda, Mariano Rumor, Milos Minic, Gianfranco Giorgolo, Italo Gabrielli, Territorio Libero di Trieste, trattato di Osimo, Zona B.