Gianfranco Gambassini
Onore ad un patriota irredentista

Il mondo politico italiano è una sorta di proscenio dove si sono affacciati protagonisti di alto spessore etico e civile, la cui visibilità è stata condizionata dall’avere scelto la «parte sbagliata» e dall’avere sottratto forti energie innovative e propositive ad Istituzioni quanto meno perfettibili, che invece avrebbero avuto bisogno fondamentale di uomini capaci di perseguire davvero il bene comune, come da vecchia ma sempre valida definizione dell’attività politica.

In tale ambito si colloca certamente Gianfranco Gambassini (classe 1924), andato «avanti» nell’aprile del 2016 dopo essere passato alla storia italiana, con particolare riguardo a quella di Trieste – sua città adottiva – per avere guidato con attenta e pervicace «leadership» l’opposizione al trattato di Osimo (1975) e per essere stato tra i massimi esponenti della Lista del «Melone» con cui venne eletto per vari mandati, dapprima in Consiglio Comunale (dove per qualche tempo ebbe a sedere accanto a Giorgio Almirante e a Marco Pannella che avevano portato a Trieste un’ampia solidarietà extra-regionale a carattere bipartisan), e poi in quello regionale del Friuli Venezia Giulia, con l’incarico di Capo Gruppo.

Gambassini

Gianfranco Gambassini

Fiorentino di nascita e di cultura, si era trasferito ancor giovane nella città di San Giusto, dove avrebbe operato a lungo quale dirigente d’azienda, ma nello stesso tempo, con un costante occhio di riguardo per le vicende politiche, e più specificamente per quelle del mondo giuliano, istriano e dalmata, che aveva dovuto subire in modo violentemente traumatico le conseguenze della guerra perduta. Ciò, nella fedeltà ai valori patriottici che lo avevano portato sin dalla prima giovinezza a schierarsi nelle file della Repubblica Sociale Italiana, con una scelta che non avrebbe mai rinnegato, anche se gli era costata esperienze assai dure, raccontate con viva ma oggettiva partecipazione in una coinvolgente autobiografia (Una pagina di vita in una pagina di storia, Settimo Sigillo, Roma 2006). Ciò, sia negli ultimi tempi del conflitto, sia in quelli successivi, quando fu costretto a rifugiarsi in Seminario per sfuggire alla «giustizia» sommaria di quella stagione agghiacciante.

Gambassini è stato uomo di esemplare chiarezza e coerenza: alla maniera di Dante come «torre ferma allo spirar de’ venti» ma nello stesso tempo, come pensatore di sicuro ingegno e giornalista di stile esemplare sia nel sostenere i valori non negoziabili dello Stato etico, sia, ad esempio, nel promuovere soluzioni capaci di restituire al porto di Trieste un ruolo propulsivo sin troppo compromesso dalle mutate condizioni geopolitiche.

Dobbiamo ricordarlo, inoltre, come autentico campione dell’irredentismo adriatico nella difficile stagione in cui le istanze della redenzione avevano perduto la pregiudiziale di affrancamento del territorio (proposta sin dall’Ottocento grazie all’impulso di Matteo Renato Imbriani e di tanti altri patrioti), per assumere un timbro morale e civile di alto spessore umano e cristiano. Non a caso, fu per lungo tempo editorialista de «L’Esule» di Gianni Fosco e di Paolo Venanzi, che sin dall’occhiello si era dichiarato «Voce dell’irredentismo istriano, fiumano e dalmata» e che sapeva coniugare al meglio politica e cultura, onorando una ragione civile lontana anni luce da ogni deteriore demagogia, ma costantemente fedele alla regola primaria dell’ethos.

Ciò non significa che indulgesse agli ultimi ideali romantici di marca risorgimentale; al contrario, si rendeva perfettamente conto, con lucido realismo, delle difficoltà dell’ora, che peraltro avevano il potere di corroborare la sua fede e la sua esigenza volontaristica di gettare un seme a futura memoria, nella costante speranza che un giorno non avrebbe mancato di germogliare e di prevalere sulla zizzania.

La sua opposizione all’infausto trattato di Osimo (1975) venne condivisa, del resto, con tutti gli esponenti della «Lista per Trieste» e naturalmente con il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante – sempre compatto nella difesa dei valori nazionali – ma nello stesso tempo con parecchi «non allineati» appartenenti ai partiti dell’area di governo, dai socialdemocratici come Fiorentino Sullo e dai liberali come Luigi Durand de la Penne, per giungere ai democristiani dissidenti come Giacomo Bologna, Giuseppe Costamagna e Giorgio Tombesi.

Nondimeno, diversamente da quanto accadde in altri casi, la linea di Gambassini non conobbe soluzioni di continuità e si protrasse fino agli anni del tramonto, quando il movimento del cosiddetto «autonomismo patriottico» fu vittima della sua complessa eterogeneità e di matrici storiche oggettivamente difformi, pur nella convergenza della «Lista» dapprima sull’intento di salvare l’italianità di Trieste e della Zona «B» del cosiddetto Territorio Libero di Trieste, e poi sull’ostracismo alla ZFIC (Zona Franca Integrale del Carso) e sulla difesa del porto; ma prima ancora fu vittima delle diverse condizioni politiche conseguenti al crollo del comunismo, al disfacimento della Jugoslavia ed all’avvento delle nuove Repubbliche indipendenti di Croazia e Slovenia.

Il vecchio Leone – come gli stessi avversari lo chiamavano con affettuoso rispetto – è stato un esempio di probità tanto più importante in un contesto caratterizzato dalla triste negazione dei valori per cui si era impegnato durante tutta la vita, talvolta con forte insistenza che poteva sembrare velleitaria, ma che corrispondeva ad un’impostazione quasi rigorista in cui non era difficile scorgere reminiscenze dell’intransigenza mazziniana o della tradizionale correttezza amministrativa della Destra storica, sublimate nella fedeltà all’onore ed all’amore di Patria che aveva presieduto la sua scelta di campo per la Repubblica Sociale Italiana: una scelta di cui Gambassini ha sempre dichiarato di sentirsi «orgoglioso». A ben vedere, ne aveva un diritto tanto più condivisibile nella triste epoca dei tanti voltagabbana elevati a struttura portante di una democrazia non certo rappresentativa. Non a caso, nella commossa allocuzione in onore dello scomparso, Monsignor Ettore Malnati, Vicario del Vescovo di Trieste, ha voluto ricordare che Gianfranco era uomo d’ordine sempre propenso al dialogo con tutti, ma che era naturalmente alieno dall’inutile confronto con i camaleonti «che cambiano pelle» ad ogni stagione.

Seguendo un antico aforisma si potrebbe dire che, se uomini come Gianfranco Gambassini non fossero esistiti, si sarebbe dovuto inventarli. Fuor di metafora, è il caso di aggiungere che grazie al Cielo sono esistiti, dimostrando forti propensioni a coniugare pensiero ed azione, e soprattutto, ad indicare il cammino dell’avvenire, all’insegna di una «volontà che veramente vuole» sempre in grado di fare la differenza e di «spostare grandemente la linea del possibile».

(luglio 2016)

Tag: Carlo Cesare Montani, Italia, Gianfranco Gambassini, patriota irredentista, Trieste, trattato di Osimo, Lista del «Melone», città di San Giusto, Repubblica Sociale Italiana, Matteo Renato Imbriani, L’Esule, Movimento Sociale Italiano, Lista per Trieste, autonomismo patriottico, Territorio Libero di Trieste, Zona Franca Integrale del Carso, disfacimento della Jugoslavia, Monsignor Ettore Malnati.