L’Italia democratica (anni Cinquanta-Settanta)
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in Italia si afferma la democrazia, che deve affrontare molti problemi ereditati dal passato; un’eredità che perdura anche nel nostro presente

Finita la Seconda Guerra Mondiale, si comincia a fare un bilancio di quanto sia costata, ed è un bilancio pauroso: a parte le vittime umane, mezzo Paese è stato devastato, le ferrovie distrutte, le fabbriche bloccate, interi quartieri rasi al suolo. Col trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, all’Italia vengono tolte tutte le colonie (avrà solo la Somalia, in amministrazione fiduciaria, per 10 anni), Briga e Tenda (assegnate alla Francia), il Dodecaneso (dato alla Grecia), l’Istria ed una parte di Trieste cedute alla Jugoslavia (l’Italia riotterrà la città intera di Trieste nel 1954, ma priva d’entroterra e praticamente indifendibile); di fronte alle violenze slave, molti Italiani rimasti nei confini della Jugoslavia sono costretti alla fuga, in un esodo di proporzioni bibliche che coinvolgerà oltre metà della popolazione.

Anche sul piano politico l’Italia deve ricominciare da capo. Per un ventennio, il regime fascista ha colpito con durezza i capi e le organizzazioni dei partiti che avevano il torto di osteggiarlo; ma l’opposizione è continuata, o all’estero o in patria, in modo clandestino. La resistenza armata in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 è stata preceduta, già dall’anno precedente, da intensi contatti tra i capi di cinque partiti: socialista (fondato nel 1892 con il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), democristiano (diretta continuazione del Partito Popolare Italiano fondato nel 1919 da Don Sturzo), comunista (sorto nel 1921 per scissione dal Partito Socialista in occasione del Congresso di Livorno), liberale (costituitosi nell’ottobre 1922) e il Partito d’Azione (emanazione del movimento Giustizia e Libertà, creato nel 1929 da Carlo Rosselli).

Divenuto capo del Governo Badoglio, i partiti sono costretti dagli eventi a rimanere inattivi; nel gennaio 1944 però, a Bari, ci si accorda di chiedere l’abdicazione di Vittorio Emanuele III e la convocazione di una costituente. Il 10 dicembre 1945 Alcide De Gasperi diviene Presidente del Consiglio.

In una Nazione democratica, le elezioni sono il momento fondamentale in cui il popolo esercita il suo potere sovrano: e nel 1946 gli Italiani, uomini e donne, vengono chiamati alle urne per decidere se conservare la Monarchia o introdurre la Repubblica. Il 2 giugno 1946 votano l’89% degli aventi diritto (meno quasi un milione di persone ancora risiedenti nell’Istria ceduta alla Jugoslavia, in maggioranza favorevoli alla Monarchia) e la Repubblica vince con la minaccia lanciata da Pietro Nenni con il motto: «La Repubblica o il caos» (minaccia valida, di per sé, a dichiarare nullo l’esito referendario). In realtà, allo spoglio delle schede i voti a favore della Monarchia superano di poco i voti a favore della Repubblica (12.717.923 contro 10.719.284; circa un milione e mezzo di voti sono dichiarati nulli). Il 4 giugno, di mattina, Alcide De Gasperi anticipa al Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, la vittoria della Monarchia; a questo punto Saverio Brigante, per ordine di Palmiro Togliatti, capovolge la realtà modificando le cifre nei verbali: è sufficiente invertire «Monarchia» con «Repubblica» in testa ai verbali. Il 5 giugno Falcone Lucifero contesta a De Gasperi il mutamento della situazione. L’esito finale viene comunicato il 18 giugno dal Presidente della Corte di Cassazione Giuseppe Pagato, il quale non proclama la nascita della Repubblica (caso raro, se non unico nella storia, in cui un cambio istituzionale di tali proporzioni non ha neppure il «suggello formale» della pronuncia di rito). Così, con un imbroglio, viene deciso il futuro della Penisola.

L’Assemblea Costituente approva, il 22 dicembre 1947, la Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Essa tutela in modo fermo i diritti inviolabili dell’uomo – vita, libertà personale e di pensiero, proprietà individuale –, riconosce le autonomie locali, promuove lo sviluppo della cultura e si contraddistingue in particolare per le precise aspirazioni sociali (l’articolo 1 afferma che l’Italia è «una Repubblica Democratica fondata sul lavoro» perché è nel lavoro che i cittadini trovano il motivo della loro unità e il fondamento stesso della loro società; e che «la sovranità appartiene al popolo», che la esercita attraverso i suoi rappresentanti, liberamente scelti).

Le elezioni del 1948 si svolgono in un clima di incertezza e di tensione per la contrapposizione tra il Fronte Popolare (comunisti e socialisti) e la Democrazia Cristiana: questa esce vittoriosa, ma per volontà di De Gasperi continua a governare con la partecipazione dei partiti «minori». Una tale formula «centrista» dura praticamente immutata fino al 1963, quando, con la partecipazione al Governo del Partito Socialista Italiano, si avvia il «Centro-Sinistra».

Negli anni Settanta diviene evidente che la lunga permanenza al Governo ha logorato il partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, che tenta una sua rifondazione: nonostante la buona tenuta democristiana alle elezioni del 1976, acquista sempre più credito la proposta di un’alternativa di Sinistra o di un «compromesso storico» per la costante avanzata elettorale del Partito Comunista Italiano, che si fa propugnatore – ma solo a parole, non nei fatti – di un eurocomunismo che si dichiara rispettoso della dialettica parlamentare e di una certa libertà economica e religiosa. Questo non è approvato dagli Stati Uniti (il Partito Comunista è legato a Mosca), ma neppure dall’Unione Sovietica, che vede scardinato il suo principio che il comunismo deve arrivare al potere con una lotta violenta, non attraverso libere elezioni democratiche. È questo che porterà le Brigate Rosse (braccio armato del Partito Comunista Italiano) a rapire ed assassinare Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana e uomo di profonda bontà e cultura, favorevole al dialogo parlamentare con tutti. Rapimento sul quale non è stata ancora detta tutta la verità, sul quale restano ancora numerosi punti oscuri, una macchia indelebile nella storia della Repubblica.

(giugno 2018)

Tag: Simone Valtorta, Italia democratica, dopoguerra, Governo Badoglio, Vittorio Emanuele III, rapimento di Aldo Moro, referendum su Monarchia o Repubblica, 2 giugno 1946, Costituzione della Repubblica Italiana, Pietro Nenni, Alcide De Gasperi, Falcone Lucifero, Saverio Brigante, Palmiro Togliatti, Giuseppe Pagato, 22 dicembre 1947, 1° gennaio 1948, Democrazia Cristiana, Aldo Moro, Partito Comunista Italiano, Brigate Rosse.