Orgia di libertà
Amare riflessioni sulla condizione etico-politica italiana in chiave storica e attuale

La proliferazione delle sigle politiche da cui il bel Paese è stato progressivamente invaso, in specie nel nuovo millennio, ha avuto luogo all’insegna di un’idea antica e nobile, ma sempre utile in chiave strumentale: quella di libertà. Ormai si tratta di un mostro sacro che costituisce un minimo comune denominatore per tutte le forze che aspirano a ritagliarsi uno spazio nell’arcipelago politico nazionale, a prescindere dalla loro collocazione di destra, di sinistra o di centro; naturalmente, per quanto possano valere queste etichette nell’attuale congiuntura «liquida».

In larga maggioranza, gli aggregati politici vecchi e nuovi, compresi quelli di mera valenza elettorale, destinati a sciogliersi nel breve termine, si ispirano alla libertà: almeno da questo punto di vista, non è azzardato parlare di una grande ammucchiata.

L’impressione che si ricava da tale «comunione» su cui sarebbe congruo fare qualche utile analisi motivazionale, è che a essere chiamata in causa è la Libertà con la maiuscola: quella che Benedetto Croce aveva posto nel suo sistema filosofico come categoria dello Spirito, patrimonio insopprimibile e autentico di ogni uomo. Si tratta di quel valore per cui il prigioniero in catene, gettato su un immondo pagliericcio del lugubre treno in viaggio verso la Siberia illustrato nel grande romanzo di Boris Pasternak e nel capolavoro cinematografico che ne venne tratto, affermava di essere libero, mentre gli altri erano schiavi, compreso il sanguinario Strelnikov che seminava il terrore rivoluzionario dal suo convoglio blindato.

Siffatta idea di Libertà trascendentale costituisce una sorta di «Grundnorm» etica, ancor prima che politica e subordinatamente giuridica, indipendente dalle singole libertà, come fu posto in evidenza sin dagli anni Cinquanta a opera di Giovanni Sartori, all’epoca giovane politologo, nella sua critica di Croce. In realtà, all’uomo della strada, libero per definizione nella possibilità di dissenso riveniente dall’esercizio del libero arbitrio, interessano soprattutto le libertà contingenti e la tutela dei diritti fondamentali (e costituzionalmente garantiti) come quelli alla salute, all’istruzione, alla sicurezza, al lavoro, alla giusta mercede.

Le forze politiche italiane, insistendo – anche nell’ottica delle proprie definizioni semantiche – sul principio categoriale della Libertà con la maiuscola, comune praticamente a tutte, non fanno opera di chiarificazione collocandosi in una logica sostanziale di mercato in cui governano le norme della concorrenza economica, della comunicazione promozionale e della pubblicità. L’assunto è tanto più vero in quanto, dopo avere professato la fede in quella sorta di divinità asettica (per qualche aspetto non dissimile dalla Ragione portata sugli altari dai rivoluzionari francesi), non si preoccupano di porre in luce le rispettive opzioni nel campo delle libertà contingenti, anche perché pedissequamente condivise da tutti, e di stabilire i paletti indispensabili a definirne i limiti individuali, in guisa da salvaguardare quelle di tutti.

Del resto, diversi anni or sono non fu certamente un caso che Pierluigi Bersani e Gianfranco Fini («sic transit gloria mundi»), quando vennero invitati, non senza evidenti forzature, a illustrare in tre minuti (!) i valori essenziali della destra e della sinistra davanti alla grande platea televisiva, avessero finito per dire le stesse cose, tanto che l’indomani alcuni autorevoli politologi colsero la sola differenza apprezzabile nella negazione o nell’accettazione dell’eutanasia: fatto di forte valenza etica e civile ma collocabile nell’ambito di valutazioni e decisioni individuali, e quindi riconducibili all’aforisma del prigioniero di Pasternak.

Il rischio che si corre in questa orgia di libertà è quello di perdere di vista la distinzione di fondo tra un valore dello Spirito che appartiene all’uomo come autentico «principium individuationis» nei confronti di ogni altra creatura, e il modo di impostare e risolvere il problema del patto sociale, dove l’unanimità costituisce una contraddizione in termini, o se si preferisce, una nobile ma irraggiungibile utopia come quella di Tommaso Campanella, in disaccordo con lo stesso pluralismo democratico. In altri termini, se l’affermazione della Libertà come categoria è lapalissiana nella sostanza e nella forma, una dialettica politica degna di questo nome non può ridursi a differenti sfumature di linguaggio nella sua enunciazione, che è postulato e non teorema, e al sostanziale insabbiamento delle tante libertà specifiche, comprensibilmente prioritarie nella dialettica della vita quotidiana e nei problemi del semplice cittadino: a più forte ragione, di quello che ha il problema di mettere d’accordo il pranzo con la cena, e che, sia pure a parole, costituisce motivo di costante preoccupazione per i protagonisti vecchi e nuovi dello scenario politico.

La crisi italiana è notoriamente grave, anche perché ha finito per diventare cronica, costituendo un’amara eccezione alla teoria dei corsi e ricorsi di cui al pensiero di Giambattista Vico: fra le tante ragioni che suffragano l’affermazione, si deve citare il trasformismo consociativo da cui l’Italia è palesemente affetta, nel quadro di una progressiva rinuncia al confronto sia sui grandi principi che sui programmi concreti, sostituito da concessioni generalizzate allo spettacolo e magari alla rissa. Oggi è sempre più difficile comprendere se esistano antidoti, e in caso positivo quali possano essere; in ogni caso, è lecito auspicare il recupero di una ragionevole chiarezza, se non altro nell’utilizzo dei momenti fondamentali su cui si fonda la vita civile, a cominciare dall’idea di Libertà come vita dello Spirito e dalle sue correlazioni concrete, nel quadro di un equilibrio in cui la libertà del singolo finisce (senza «se» e senza «ma») dove comincia quella generale.

Essere liberi non significa necessariamente essere liberali, né tanto meno liberisti o libertini. Vuol dire, invece, essere consapevoli dell’obbligo, connaturale all’uomo, di scegliere secondo scienza e coscienza se appartenere al mondo del relativismo e del pressappochismo o a quello di un coerente e costante impegno etico-politico dove Libertà sia sinonimo di una categoria che non è fine a se stessa ma non può, non deve e non vuole prescindere da valori altrettanto fondamentali, o meglio universali, come quelli di umanità, giustizia, cooperazione e civiltà; e da un senso dello Stato degno di questo nome.

(luglio 2019)

Tag: Carlo Cesare Montani, significato di Libertà, riflessioni sulla condizione etico-politica italiana in chiave storica e attuale, Benedetto Croce, Boris Pasternak, Pasha Antipov detto Strelnikov, Giovanni Sartori, Pierluigi Bersani, Gianfranco Fini, Tommaso Campanella, Giambattista Vico, idea di Libertà.