Pianosa, il Paradiso dell’Inferno
Una colonia penale costruita in un angolo d’incantevole bellezza; ora è zona protetta

Ci sono luoghi, nel mondo, che possono essere definiti «frammenti di Paradiso» per le loro bellezze artistiche o naturalistiche, come ad esempio il Palazzo Tè a Mantova coi suoi eccezionali affreschi o le Dolomiti dalle tinte fiabesche; ma anche luoghi che fanno piuttosto pensare all’Inferno, come i campi di reclusione, le colonie penali, le prigioni…

Pianosa, piccola isola dell’Arcipelago Toscano, è un Paradiso e un Inferno allo stesso tempo: un luogo di rigenerazione ma anche di punizione, di fascino e di segregazione… un Paradiso racchiuso in un Inferno.

Al turista che la visita, l’isola si annuncia con un orribile muro grigio intervallato da torri di guardia; è la prima cosa che si vede di questo lembo di terra brullo e piano (non oltrepassa i trenta metri nei punti più elevati) che durante le ere glaciali era unito all’Isola d’Elba e, attraverso questa, al continente, come testimoniano ossa di uomini preistorici e resti fossili di cervi. Le prime popolazioni che risiedevano stabilmente a Pianosa ci hanno lasciato sepolture di vario tipo, ossari, grotte artificiali o naturali e manufatti. Dalla localizzazione dei siti abitativi, tutti sul mare, possiamo pensare che la loro economia si basasse essenzialmente sulla pesca, favorita da un mare particolarmente ricco di specie ittiche: l’interno dell’isola, pur presentando ritrovamenti di tombe e piccoli pozzi per la conservazione di prodotti agricoli, non conserva infatti orme di insediamenti. Le più antiche tracce di presenza umana nell’isola sono attribuibili al Paleolitico Superiore, mentre le acque raggiunsero quasi i livelli attuali intorno al 5000 avanti Cristo, in un tempo relativamente breve. L’isolamento di Pianosa, lontanissima sia dall’Elba che dalla costa toscana, determinò il mutare delle forme di vita (per esempio, con l’estinzione dei cervi, che non poterono trovare più cibo a sufficienza per sostentarsi, ma non dei cavalli selvatici, numerosi ancora nell’Ottocento) e la sua scelta come luogo di reclusione, dall’antichità ai giorni nostri.

Tra le varie attività che vengono proposte ai visitatori dalle guide locali (trekking, gita in carrozza, visita guidata al paese...), una delle più affascinanti è il percorso in mountain-bike lungo la costa settentrionale e centrale dell’isola.

Più che una gita, sembra quasi un viaggio a ritroso nel tempo. Il sentiero corre accidentato lungo la costa, in direzione Nord, tra l’aspro e pungente sentore della macchia mediterranea; dal terreno affiorano sassi e rocce simili a scogli che emergano dai flutti verdastri del mare. Alcuni, nelle ere passate, erano adagiati sul fondo del Tirreno, e recano ancora le impronte dei loro più remoti abitanti – conchiglie e molluschi. Cormorani vigilano ritti sugli scogli, immobili come gargoiles sulle guglie di chiese gotiche. Cespugli spinosi e piccoli arbusti allungano i loro rametti sottili sul sentiero, tra un gran ronzio d’api. Alcune erbe sono endemiche: sulle altre isole dell’Arcipelago ne crescono varietà simili, ma non proprio le stesse; sprigionano un intenso profumo di liquirizia, e lo stesso Napoleone Bonaparte – che aveva libero accesso a Pianosa durante la sua reclusione sull’Elba – disse che, aspirandolo, si ricordava della natia Corsica.

Costa di Pianosa

Un tratto della costa, isola di Pianosa (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2014

L’isola di Planasia o Planaria era già menzionata nelle opere di storici ed eruditi latini, Varrone ne attribuiva la proprietà ad un certo M. Pisone, Tacito la nominava spesso a proposito di Augusto e nel V secolo Marziano Capella la definì ingannatrice dei naviganti; le prime notizie documentate che riguardano Pianosa risalgono all’epoca del Secondo Triumvirato, negli anni 43-34 avanti Cristo. L’Imperatore Ottaviano Augusto nel 6-7 dopo Cristo esiliò a Pianosa il nipote Agrippa Postumo su consiglio della seconda moglie, Livia Drusilla, accusandolo (falsamente) di omosessualità e dissolutezza; l’esilio di Agrippa sull’isola era attenuato da una piccola corte di amici e famigli, e non dovette essere particolarmente duro: lo storico Dione Cassio sostiene che il nobile romano passava il suo tempo pescando e giocando ad impersonare Nettuno, forse alludendo a spettacoli tenuti nell’anfiteatro di Pianosa o alle decorazioni (a soggetto mitologico marino su uno sfondo naturale) del complesso detto dei «Bagni di Agrippa»; Agrippa fu poi ucciso nel 14 dopo Cristo da un sicario inviato dal successore di Augusto, l’Imperatore Tiberio. Recenti sopralluoghi lasciano ipotizzare la presenza di un’altra villa marittima di epoca romana, i cui resti potrebbero trovarsi nei pressi del porto attuale, antecedente alla reclusione di Agrippa. Si possono ancora vedere le vestigia di un murenaio (un luogo dove venivano allevate le murene), esso pure d’epoca romana.

Di tanto in tanto, costeggiando il litorale dell’isola, ci si imbatte in resti di edifici penitenziari: mura che non hanno tenuto reclusi i delinquenti, camminamenti che non hanno mai udito il passo cadenzato delle guardie, torri di vedetta che non sono mai state usate – era l’isola stessa ad essere considerata tutta un’immensa prigione. Più sopra ho parlato di un orribile muro grigio intervallato da torri di guardia: fino al 1997, infatti, l’isola ospitava una colonia penale; si pensava di usarla per i mafiosi più pericolosi e per i maxi-processi, che invece furono tenuti a Napoli. Molti criminali venivano mandati lì perché malati di tubercolosi, e in tempi anche recenti in cui non si conosceva alcuna cura per la malattia, si pensava che l’aria pura e salmastra del mare potesse portar giovamento. Dopo il 1997 tutti gli abitanti dell’isola (detenuti, carcerieri, ma anche le famiglie dei pescatori locali) abbandonarono Pianosa per trasferirsi sul continente. Ora l’unico abitante stabile è il custode delle catacombe paleocristiane (ma si sta già pensando ad un ripopolamento dell’isola, non sono poche le famiglie disposte a ritrasferircisi): Pianosa fa parte del Parco Nazionale Arcipelago Toscano e lo sbarco è consentito solo ad un numero limitato di persone al giorno, oltre a vigere il divieto di caccia, di pesca, di asportazione di piante... l’isola è una piccola fetta di Paradiso, e tale dovrà rimanere finché l’incessante lavorio della pioggia e delle onde del mare, che lentamente ma incessantemente ne erodono le coste, non l’avranno ricondotta interamente nel grembo del Tirreno.

Il paese, l’unico dell’isola, è dominato dalla rocca, testimone di violente incursioni prima genovesi e pisane (le due Repubbliche Marinare si contesero il dominio dell’isola attorno al XII-XIII secolo per la sua notevole posizione strategica), poi saracene, che sfociavano immancabilmente in feroci eccidi ai danni della popolazione locale: l’incursione più famosa e cruenta si verificò nel 1553 ad opera di una flotta franco-turca comandata dal feroce pirata Dragut.

Il paese ha l’aspetto di un cadavere in lenta decomposizione, ma non è privo di un certo fascino romantico e decadente e fa ancora intuire quale dovesse essere la sua bellezza negli anni in cui rigurgitava di vita. Molte delle sue costruzioni sono ormai fatiscenti, diroccate, transennate e non visitabili perché soggette a crolli. Solo una minima parte è stata restaurata o è in corso di restauro, da parte degli ex detenuti che si recano lì a svolgere un lavoro ammirabile, praticamente senza sovvenzioni dallo Stato perché i costi per salvare tutto sarebbero elevatissimi (solo l’abbattimento del muro grigio che accoglie il turista costerebbe il doppio di quanto si è speso per innalzarlo)...

Ma il vero gioiello è quello che il giornalista Mauro Mancini ha definito «il più bel porto del mondo» (e Mancini è un’autorità assoluta, in fatto di porti): si tratta di un porto artificiale circondato da alte mura, un accorgimento per suggerire ai criminali che giungevano lì che la fuga fosse impossibile, per metterli in soggezione. Su un lato, un palazzo sormontato da una specola (un osservatorio astronomico) d’epoca pisana, alcune case e dei magazzini scavati nella viva roccia. Regna un silenzio irreale, da luogo cristallizzato fuori dal tempo; sembra di non udire neppure il sospiro delle onde del mare che si accalcano contro i moli di pietra. Un silenzio che fa pensare a quello dei detenuti che non avevano speranza di liberazione, ma anche a quello di chi cerca un luogo riparato per lasciar riposare la mente, nella contemplazione e nella meditazione, lontano dal frastuono e dal caos della vita cittadina...

Il porto più bello del mondo

Il porto più bello del mondo, isola di Pianosa (Italia)

Il porto più bello del mondo, particolare

Il porto più bello del mondo, isola di Pianosa (Italia); la costruzione bianca è la specola; fotografia di Simone Valtorta, 2014
(aprile 2016)

Tag: Simone Valtorta, Pianosa, Italia, Arcipelago Toscano, Paradiso dell'Inferno, Isola d’Elba, Tirreno, Napoleone Bonaparte, Planasia, Planaria, Varrone, Pisone, Tacito, Marziano Capella, Ottaviano Augusto, Agrippa Postumo, Livia Drusilla, Dione Cassio, Bagni di Agrippa, murenaio, colonia penale, Parco Nazionale Arcipelago Toscano, Dragut, Mauro Mancini.