La salina di Comacchio
Dalle origini ai giorni nostri, una storia che intreccia politica, economia e salvaguardia dell’ambiente

Il sale (chimicamente cloruro di sodio – HCl) è una di quelle sostanze che hanno fatto segnare più di un punto a loro favore. In effetti, era l’unica che potesse essere usata per la conservazione degli alimenti (e ciò durò fino alla rivoluzione industriale nelle prime decadi dell’Ottocento) e indispensabile per dare un palese e piacevole sapore a ciò che si portava alla bocca. Il mondo è ricco di giacimenti di salgemma, sale minerale (halite o sale di miniera), che si presenta in cristalli cubici. Ma la mancanza di mezzi meccanici a disposizione rendeva l’estrazione dalle miniere decisamente difficile e pericolosa per i minatori, sicché si preferiva la produzione del sale dall’evaporazione delle acque del mare, che consentiva di non infierire troppo sugli sforzi dei lavoratori. Si tratta comunque di una sostanza preziosa, perché la sola presenza di acqua di mare non è sufficiente per ottenere un prodotto abbondante, giacché occorrono condizioni climatiche e ambientali che non si trovano dappertutto e non sono facilmente riproducibili; per cui non tutte le aree litoranee sono adatte a questo tipo di attività. Al tempo della guerra, chi poteva allevava e ingrassava un maiale per farne a ottobre o novembre prosciutti, salami, salsicce e quant’altro; e le varie parti, abbondantemente salate, erano conservate entro pensili con grate per ricambio dell’aria, a temperatura ambiente. Oggi, avere il sale in cucina è l’ultima delle preoccupazioni di cuochi e casalinghe, ma un tempo rappresentava una delle necessità estreme per la vita di tutti i giorni e nello stesso tempo, purtroppo, era di difficile reperibilità. Ma nei secoli fino al diciottesimo, il sale, indispensabile per la vita, era un’arma importante per gli Stati che, per fortuna loro, possedevano aree rivierasche idonee allo scopo; infatti, essi potevano contare su situazioni estremamente vantaggiose, che garantivano ricchi mercati e conseguenti entrate di moneta e favorevoli scambi.

Le Valli di Comacchio sono una delle zone umide più vaste del Paese e una delle più importanti in Europa, dove abbondano tanti elementi di biodiversità, che attirano l’attenzione di scienziati e studiosi, di biologi e turisti di tutto il mondo. Sono caratterizzate da facilità di ingresso di acque di mare, ricche di fondali bassi e argillosi, mostrano le situazioni più favorevoli dal punto di vista produttivo da parte della Salina, che è da sempre un’area particolarmente delicata e complessa, nata e realizzata dall’attività dell’uomo; mentre la vicinanza del fiume Po, via di collegamento fino alla Lombardia, garantiva importanza ai commerci e agli scambi. Durante l’intero Medioevo, tutto il territorio del delta padano fu il centro della commercializzazione del sale. E una tale situazione stuzzicava l’appetito di tutti gli Stati viciniori, i quali, a un certo momento, dimostrarono, senza mezzi termini, l’invidia nei confronti dello Stato Estense; fra questi lo Stato che si dimostrava più insofferente e aggressivo era la Serenissima Repubblica di Venezia. E la ragione è duplice. Infatti, Venezia non era priva di saline, anzi ne aveva diverse: invero, aveva le saline di Chioggia, Aquileia, Grado, Pirano. Da ciò si comprende che, pur essendo elevata la produzione di sale, la concorrenza della salina di Comacchio era una spina nel fianco dello Stato lagunare, giacché non sempre riusciva a collocarla tutta, mettendo in difficoltà il commercio del settore. E proprio per questa ragione, usando il diritto del più forte, Venezia impose a Comacchio di smettere di produrre sale e di chiudere la salina; tutto questo durò diversi secoli, sempre e comunque, sia quando Comacchio faceva parte dei suoi territori, sia quando la città si trovava sotto il dominio estense. Ma guarda caso, come succede in tanti settori dell’umana attività, anche allora valeva il detto «fatta legge, fatto l’inganno!» e i Comacchiesi, sordi da quell’orecchio, in silenzio e senza fare tanta pubblicità, continuarono imperterriti a produrre abusivamente il sale e a venderlo a chi lo chiedeva, contrabbandandolo in certi mercati particolari; era un’attività pericolosa senza dubbio, ma ne valeva la pena, tanto che riuscivano a mantenersi alla pari di coloro che producevano il sale nel rispetto dei vincoli di legge. Naturalmente, Venezia, che aveva i suoi collaboratori e le sue spie dappertutto, venuta a conoscenza delle continue infrazioni dei Comacchiesi, perse la pazienza, attaccò la città e la rase al suolo, senza dimenticare di distruggere la famigerata salina. Era l’anno 932. Da allora fino al 1598, la Salina rimase sotto il controllo veneziano, fonte di discussioni fra Ravennati e Ferraresi, finché il Papato mise tutti d’accordo a modo suo. Quindi, nel XVI secolo Venezia continuò la sua politica vessatoria, impedendo (o almeno tentando di impedire) ai Comacchiesi di produrre sale, mentre gli stessi continuarono al contrario ad accumularlo e a venderlo, continuando a farle la più silenziosa e micidiale delle concorrenze. Del resto, mettendoci nei loro panni, perché dovevano privarsi dello sfruttamento di una risorsa di loro proprietà che, fra l’altro, consentiva loro di avere una vita meno miseranda? Praticamente, i Comacchiesi erano servitori in casa propria, il che è tutto dire; costretti a «rubare» ciò che da sempre era di loro legittima proprietà, mah!

Ma perché ci fu l’intervento papale? Il Ducato di Ferrara era governato da Alfonso II d’Este fino alla sua morte, avvenuta nell’ottobre del 1597. Egli aveva contratto matrimonio per ben tre volte, ma non ebbe mai figli legittimi, per cui, sentendosi vicino alla fine, designò alla sua successione il cugino Cesare, che purtroppo pure lui non lasciò eredi. Il Papa Clemente VIII applicò pedissequamente la bolla del Papa Pio V dal titolo Prohibitio alienandi et infeudandi civitates et loca Sanctae Romanae Ecclesiae, con la quale vietava che figli illegittimi fossero investiti in feudi vaticani. Per cui, malgrado il parere positivo dell’Impero, si riappropriò del Ducato, riportandolo sotto la diretta giurisdizione dello Stato Pontificio e trasformandolo nella Legazione di Ferrara, mentre la Corte Estense, se voleva sopravvivere, fu costretta ad accettare il trasferimento nel Ducato di Modena.

Molti sostenitori del Papato (i guelfi locali, per intenderci), stanchi del potere estense, furono felici per la nuova situazione, convinti che si sarebbero portati rinnovamenti e riforme importanti e a tutto vantaggio della popolazione e della città; ma, purtroppo per loro (con evidente soddisfazione dei ghibellini), ogni speranza andò miseramente delusa, giacché per due secoli almeno Ferrara rimase praticamente senza nessuna miglioria, tanto che furono chiamati correttamente «i secoli bui». E infatti non cambiò proprio nulla, se non in peggio.

Finalmente, un po’ di sole spuntò sulle finestre dei lagunari quando, ai primi dell’Ottocento, Napoleone Bonaparte, che fu come uno stuolo di cavallette in un campo, qualcosa di buono lo fece: per esempio il canale (Cavo Napoleonico, appunto) che, attraversando la zona di Bondeno, collega il torrente Reno con il fiume Po, per poter trasferire dall’uno all’altro le piene, che potrebbero mettere in pericolo di esondazioni il territorio frapposto tra i due corsi d’acqua. Infatti, Napoleone a Comacchio fece ripristinare la salina, mettendola nelle condizioni migliori per operare in maniera moderna, per quei tempi, e facendole raggiungere produzioni veramente interessanti. Il progetto relativo fu elaborato da tecnici francesi e successivamente portato a termine da tecnici e autorità vaticani dopo che, con il Congresso di Vienna del 1815, l’intero territorio ferrarese ritornò sotto il dominio papale. E operando con le innovate modalità, la salina divenne veramente importante, raggiungendo una produzione di 150.000 quintali di sale l’anno. Ma, come purtroppo accade abbastanza spesso, quando ci si adopera per migliorare una produzione inserendo nella progettazione scoperte e comodità per i lavoratori, si corre il rischio di combinare il peggio. Infatti, nel 1962 furono apportate due importanti novità nella gestione della salina: da un lato la meccanizzazione e dall’altro una serie di cambiamenti morfologici che il chiamarli stravolgimenti è del tutto riduttivo. Tanto che – come nessuno se l’aspettava – ci fu una riduzione nella produzione pari a due terzi del totale, calo che rappresentò un vero disastro per l’impresa che la gestiva. A quel punto, lo Stato che deteneva il monopolio, considerò la salina di Comacchio priva di interesse e nel 1973 la scaricò. Per di più, si deve tener presente che, oltre a quanto riportato più sopra, con l’avvento della meccanizzazione, era diventata pure abbordabile la coltivazione dei giacimenti di salgemma: infatti, con la riduzione delle spese, il sale minerale poteva costare molto meno. A questo punto, senza l’appoggio dello Stato e soggetta alla concorrenza di altri produttori, la gestione divenne insostenibile, e infine il Ministero delle Finanze la chiuse definitivamente nel 1985; insomma, la salina subì un divorzio dopo l’altro.

Così, la salina si trovò in un perfetto stato di abbandono e poté evolversi a modo suo, senza più imposizioni da parte dell’uomo, diventando un’oasi naturalistica di eccellenza, dimora di moltissime specie di volatili stanziali e rifugio e riposo per quelli di passo durante le migrazioni verso Nord d’estate e il contrario d’inverno. In sostanza, era il luogo ideale per gli uccelli che si trovarono padroni di ampie estensioni di acque basse salmastre, attraversate da chilometri di argini raramente percorsi dall’uomo: in definitiva, un ambiente naturalistico di tutto rispetto.

Tra i frequentatori della ex salina si possono ricordare il fenicottero rosa, con le enormi ali che gli danno un aspetto regale, o la spatola, che sta diventando una rarità nelle raccolte d’acqua europee o ancora l’avocetta, dal caratteristico becco all’insù come i nasini alla francese, tanto per citare qualcuna delle tantissime specie di volatili che vi sostano o vi vivono. Però, l’assenza ultraventennale della presenza dell’uomo, grazie all’abbandono da parte del Monopolio di Stato, si è fatta sentire negativamente, tanto da mettere in difficoltà la vivibilità legata alle sue attività. Essendo cessata l’attività produttiva, si è verificato un saccheggio più o meno legale di mezzi, strutture, attrezzature, che ha causato grossi guai: infatti, venendo a mancare la gestione idrica, si sono avute rovinose variazioni nel sistema di circolazione, regolazione e contenimento delle acque. Inoltre, è venuta a mancare una delle caratteristiche fondamentali, per una salina, cioè l’abbondanza di ossigeno nell’acqua, riduzione che ha provocato la conseguente mortalità di parecchi animali, come si riscontra quando si vanno a fare verifiche di carattere statistico. Inoltre, venendo a mancare la produzione del sale, l’acqua ha subito un addolcimento e così sono cambiate le condizioni ottimali per quelle specie vegetali che trovavano l’acqua soprassalata congeniale al loro benessere. Pertanto, sarebbe opportuno intervenire, ma iniziando a lavorare nelle valli, con ogni probabilità si renderebbero gli argini inadatti alla nidificazione di certe specie di uccelli, costringendoli a migrare altrove, per trovare i lidi indisturbati di cui necessitano.

Poiché le Valli di Comacchio non interessano solamente il nostro Paese, nel mese di luglio 2001, il Parco del Delta, la Regione Emilia Romagna e l’Unione Europea hanno messo in cantiere uno dei progetti LIFE avente come oggetto sia il ripristino ecologico della Salina, sia la conservazione di tutte le sue caratteristiche congeniali alla vita degli animali. Il progetto, molto importante dal punto di vista naturalistico, lo è pure da quello culturale, in quanto, una volta che si siano risolti tutti i problemi di natura ecologica, l’ambiente diventa visitabile dal pubblico, offrendogli un’occasione in più per comprendere come la difesa del territorio possa divenire un’occasione per divulgare una maggiore coscienza di tutto ciò lo circonda e di cui fa parte.

Per quanto riguarda la salina come tale, è prevista la realizzazione di una salina in miniatura, ma sufficiente a far comprendere dal vivo ai visitatori il suo funzionamento e di quale complessa macchina idraulica e solare si tratti.

(novembre 2020)

Tag: Mario Zaniboni, salina di Comacchio, sale, cloruro di sodio, salgemma, sale minerale, estrazione del sale, Valli di Comacchio, Po, delta padano, commercio del sale, Stato Estense, Repubblica di Venezia, Ducato di Ferrara, Alfonso II d’Este, Clemente VIII, Pio V, Prohibitio alienandi et infeudandi civitates et loca Sanctae Romanae Ecclesiae, Stato Pontificio, Legazione di Ferrara, Ducato di Modena, Napoleone Bonaparte, Ferrara, Cavo Napoleonico, Congresso di Vienna.