Santa Croce
Glorie nazionali della Basilica Fiorentina: sepolcri d’ispirazione ed impegno civile

Sono passati oltre 700 anni da quando Arnolfo di Cambio fece dono a Firenze di un’opera architettonica destinata a sfidare i secoli, e ad assumere un ruolo di grande importanza nella coscienza collettiva dell’intera Italia: Santa Croce. Anche se fu completata soltanto nell’Ottocento con la facciata ed il campanile, la Basilica venne subito eletta ad autentico capolavoro del gotico italiano, esaltato dagli affreschi di Giotto in un’atmosfera di tranquillo raccoglimento e di forte valenza simbolica, integrata in tempi relativamente brevi da quel singolare gioiello che è il Chiostro dei Pazzi, altrimenti detto dei Morti, con la perfezione architettonica del grande Filippo Brunelleschi ed il suggestivo decoro dei Della Robbia.

Basilica di Santa Croce, facciata

Basilica di Santa Croce, Firenze (Italia), la facciata

Basilica di Santa Croce, navata arnolfiana

Basilica di Santa Croce, Firenze (Italia), la navata arnolfiana

In tempi meno remoti, soprattutto nell’Ottocento, Santa Croce si vide conferire simboli di più ampio vigore spirituale, grazie alla valorizzazione dei grandi del passato che vi avevano trovato l’estrema dimora, come Michelangelo e Galileo, o quanto meno un cenotafio, come Dante (con l’invito marmoreo ad onorare l’altissimo Poeta) o Machiavelli (tanto «nomini nullum par elogium»), per non dire di tanti personaggi illustri come Leon Battista Alberti, Vittorio Alfieri o Gioacchino Rossini, e di altri, oggi meno noti: ad esempio, il Marchese Carlo Alfieri di Sostegno od il Cancelliere della Repubblica Fiorentina Leonardo Bruni, il cui successore Carlo Marsuppini avrebbe dettato una celebre iscrizione sepolcrale con quattro versi degni di Virgilio: «Cum Leonardus ex vita migravit / historia luget, eloquentia muta est / ferturque Musas tum graecas tum latinas / lacrimas tenere non potuisse»[1].

La semplice elencazione dei Nomi (e delle epoche in cui vissero) attesta che Santa Croce ha svolto una funzione continuativa, come si direbbe oggi, di «memoria condivisa». Infatti, c’è un filo conduttore costante che diventa quasi un fiume carsico nel collegare il Rinascimento al Risorgimento, attraverso l’affermazione di valori non sempre convergenti, e peraltro avvertiti in tutta la loro complementare autenticità. È un filo che muove dal Quattrocento, con personaggi come Alberti e lo stesso Bruni, per passare attraverso la successiva scoperta di una fondamentale autonomia della politica (Machiavelli) alle vette dell’arte rinascimentale (Michelangelo), abbracciare lo scientismo moderno (Galileo), pervenire alla riscoperta «illuminata» della nazionalità (Vittorio Alfieri) e giungere ai fasti del Tardo Ottocento, come nel caso di Rossini, il cui sepolcro venne inaugurato addirittura nel 1900, a 32 anni dalla morte e previa traslazione dal cimitero parigino di Père Lachaise.

Basilica di Santa Croce, tomba di Michelangelo

Basilica di Santa Croce, Firenze (Italia), la tomba di Michelangelo

Il passo decisivo verso il riconoscimento di Santa Croce come un vero e proprio Pantheon nazionale ebbe luogo con il grande contributo di Ugo Foscolo e la sua esaltazione dei Sepolcri quali opere destinate a perpetuare il ricordo dei grandi Spiriti ed a costituire il luogo dove andare «ad ispirarsi» sulle orme di quanto lo stesso Vittorio Alfieri aveva fatto con ricorrente e commosso entusiasmo. L’oblio dei morti, nella concezione foscoliana, ma prima ancora cristiana, è segno di barbarie, perché non permette di amare le loro virtù e di meditare sui loro esempi: in questa ottica, Firenze diventa beata perché «in un tempio accolte serba l’itale glorie». La Patria non scomparirebbe nemmeno se dovessero crollare le mura cittadine, perché la Storia possiede una carica di eternità che trascende la pur triste sorte dei singoli uomini: a più forte ragione, visto che «ai generosi giusta di glorie dispensiera è morte».

Non deve sorprendere, in questa ottica, se Santa Croce giunse ad ospitare circa 15.000 tombe (non soltanto di personaggi illustri), comprese quelle collocate nel contiguo Chiostro, soprattutto in epoca granducale; né deve stupire, a più forte ragione, se alla fine accolse anche quella dello stesso Foscolo, scomparso a Londra nel 1827 e traslato a Firenze 44 anni dopo, quale esaudimento del suo vecchio desiderio patriottico, appena si era compiuta l’Unità Nazionale che il poeta aveva tanto vagheggiato, fino ad accettare l’esilio, l’estrema povertà e la triste fine solitaria, pur di non adattarsi alla servitù.

Il resto è storia recente. Lo smantellamento dei sepolcri di Santa Croce ebbe un preambolo violento nel 1945 con la dispersione (dal sottostante Famedio) delle tombe in cui erano ospitati i resti mortali di 37 «martiri fascisti» e la svendita delle opere in marmo a prezzi di realizzo; poi venne programmato con una pianificazione generalizzata nel corso degli anni Cinquanta ed ebbe una forte accelerazione a seguito dell’alluvione (4 novembre 1966) con cui l’acqua dell’Arno raggiunse proprio a Santa Croce un’altezza di cinque metri, compromettendo tanti capolavori straordinari come il celebre Cristo di Cimabue. Non a caso, lo storico dell’arte Carlo Sisi avrebbe lamentato con accorate parole quella prassi quasi iconoclastica: «Lapidi e sculture furono smantellate con fredda sistematicità cancellando persino le tracce dell’itinerario di memorie che avevano fatto di Santa Croce un insostituibile approdo poetico e sentimentale»[2].

Ad ogni buon conto, i sepolcri di maggiore richiamo spirituale ed artistico restano fortunatamente in Santa Croce a futura memoria, sempre disponibili a fare in modo che gli Italiani di buona volontà possano venire ad ispirarsi ed a «trarre gli auspici» dalle «urne dei forti» come ai loro tempi avevano fatto Vittorio Alfieri ed Ugo Foscolo.

Un contributo importante a queste «egregie cose» (ed in qualche misura decisivo) riviene dal marmo, in larga maggioranza apuano, utilizzato per la memorialistica e le opere funerarie con straordinaria professionalità e con suggestivi «accompagnamenti» di altri materiali, tra cui si possono ricordare talune varietà di gialli e di rossi, la breccia medicea e la stessa pietra serena dell’Appennino. Un altro grande poeta italiano, Gabriele d’Annunzio, avrebbe pensato al marmo come «sostanza delle forme eterne» dandogli una definizione di valore universale che interpreta in modo assolutamente pertinente i marmi di Santa Croce, i cui significati artistici, a ben vedere, sono superati soltanto da quello etico.


Note

1 La tomba del Bruni, opera di Bernardo Rossellino, ed il sepolcro contiguo del suo successore Marsuppini, opera di Desiderio da Settignano, sono tra quelli di maggiore pregio artistico presenti in Santa Croce. A proposito della prima, si può aggiungere a titolo di curiosità che qualche guida non sufficientemente acculturata ha equivocato sulla targa col nome di Leonardo, nella fallace presunzione che si trattasse non già del Cancelliere Bruni, ma del più celebre ed universalmente apprezzato artista di Vinci.

2 Una sintesi del giudizio di Carlo Sisi a proposito delle recenti vicende di Santa Croce è stata recentemente riproposta dalla stampa periodica fiorentina: confronta Lucia Evangelisti Rosier, Santa Croce and its Sepolcri, in «Florence is you», dicembre 2015, pagina 14.

(aprile 2016)

Tag: Carlo Cesare Montani, Santa Croce, Firenze, Italia, Arnolfo di Cambio, Basilica Fiorentina, Giotto, Chiostro dei Pazzi, Chiostro dei Morti, Filippo Brunelleschi, Della Robbia, Carlo Marsuppini, Ugo Foscolo, Sepolcri, Vittorio Alfieri, sepolcri di Santa Croce, Cristo di Cimabue, lapidi e sculture di Santa Croce, Carlo Sisi, opere funerarie di Santa Croce, Gabriele d’Annunzio, Lucia Evangelisti Rosier.