Storia del Partito Comunista Italiano da Togliatti a Berliguer
Gli anni del dopoguerra

I giudizi storici e politici sul Partito Comunista Italiano sono caratterizzati spesso da una notevole ambiguità. In parte dovuta ad atteggiamenti omissivi e in parte a una caratteristica dei comunisti che li differenziava dai sostenitori dei regimi totalitari di destra. Questi ultimi sostenevano apertamente l’idea di uno stato forte, i primi invece adoperavano una terminologia simile a quella dei democratici forzando o alterando il significato dei termini. La confusione fra programmi politici e azione di governo e più in generale tra miti e realtà è stata un elemento importante non solo dei sostenitori del marxismo leninismo ma di tutto il mondo vicino all’utopismo. Anche nell’ultimo periodo di questo partito, sotto la direzione di Enrico Berlinguer, l’ideologia era sostanzialmente quella leninista e si affermava negli atti ufficiali che la collocazione era intermedia (terza via) fra socialdemocrazie europee e socialismo reale.

Molti ritengono che Palmiro Togliatti nel 1956 dopo il Congresso di Krusciev e il Rapporto Segreto sui crimini di Stalin abbia preso posizione a favore di un comunismo diverso e più democratico. Ovviamente i molti dirigenti comunisti italiani, fra i quali lo stesso leader, che avevano soggiornato in Russia negli anni Trenta conoscevano già i fatti rivelati. Nella famosa intervista concessa dal leader alla rivista «Nuovi Argomenti» affermò che alcuni «errori» del sistema sovietico furono causati da gravi difficoltà che lo stato affrontava ma che poteva comunque considerarsi valido. In particolare il leader affermò: «Anche se, dunque, giungeremo alla conclusione che il XX Congresso apre un nuovo processo di sviluppo democratico nell’Unione Sovietica, siamo ben lontani dal pensare e riteniamo sia errato pensare che questo sviluppo possa o debba compiersi con un ritorno a istituti di tipo “occidentale”… Il sistema dei soviet è, come tale, molto più democratico e progredito di qualsiasi sistema democratico tradizionale… non si potrà mai concludere alla necessità di un ritorno alle forme di organizzazione delle società capitalistiche». Neanche sul personaggio Stalin ci furono critiche di rilievo: «Stalin non commise solo degli errori, ma fece anche molte cose buone, fece moltissimo per l’URSS, era il più convinto dei marxisti e saldo nella sua fiducia nel popolo». E concludeva: «I successi della società sovietica non mancarono. Vi furono nel campo economico, in quello politico, in quello culturale, in quello militare, in quello dei rapporti internazionali».

Lo studioso Ugo Finetti di Mondoperaio nel 1978 scrisse che anche i giovani dirigenti del Partito Comunista Italiano come Enrico Berlinguer, Franco Rodano e Giorgio Napolitano si strinsero attorno a Togliatti per contrastare quegli esponenti come Fabrizio Onofri e Antonio Giolitti (il primo espulso, il secondo passato al partito socialista) che avevano espresso critiche al modello sovietico. Le posizioni filo sovietiche non si estinsero in tempi brevi, ma in pratica caratterizzarono tutta la storia del Partito Comunista Italiano. Nel Comitato Centrale di fine 1956 Berlinguer per conto di Togliatti denunciò: «Non sono mancate formulazioni che sono apparse muoversi non nel senso della concezione leninista del partito fondata sul centralismo democratico, ma nel senso di un formalismo e democratismo piccolo borghese». Finetti riporta che Giorgio Napolitano sulle stesse posizioni affermò che il partito comunista sovietico lavorava «in misura decisiva non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss, ma a salvare la pace nel mondo».

Nel 1964 morì Togliatti e subentrò Luigi Longo, l’uomo che negli anni passati aveva criticato molto velatamente (nel Partito Comunista Italiano erano ammesse solo critiche velate) il vecchio leader in quanto troppo moderato e legalitario. Tuttavia la denuncia dei crimini di Stalin e l’invasione dell’Ungheria con interventi armati contro le proteste operaie resero insostenibile la posizione dei difensori più strenui del mito sovietico. Non ci furono grandi innovazioni né significativi ripensamenti al vertice ma da allora iniziarono ad apparire in superficie i contrasti interni, particolarmente fra la «destra» di Giorgio Amendola, favorevole alla collaborazione con i partiti socialisti e la «sinistra» di Pietro Ingrao, condotti con un linguaggio ermetico, difesa dell’ortodossia con uno stile enfatico ma con alcune sottili critiche. Il tutto poteva apparire singolare e poco chiaro a un osservatore esterno ma conteneva qualcosa di suggestivo, una specie di chiesa con finalità sociali, con una gara verso la «purezza».

Nel 1969 si formò il gruppo del Manifesto vicino al mondo della contestazione giovanile e critico verso il sistema sovietico. I sostenitori della nuova rivista vennero aggrediti in maniera pesante dalla Direzione del Partito Comunista Italiano e fra le maggiori accuse ci fu quella di criticare l’Unione Sovietica. Il Comitato Centrale dichiarò: «Il Manifesto… rivolge ancora una volta nei confronti di altri partiti comunisti attacchi infondati politicamente e inammissibili».

Nel 1972 salì alla segreteria del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer (già di fatto leader da alcuni anni), si ebbero degli immediati cambiamenti politici, il cosiddetto eurocomunismo, che incontrò le critiche della parte «dura» del partito ma difficilmente si potrebbe considerare la nuova politica come una accettazione dei principi di democrazia. La Rivoluzione d’Ottobre, il leninismo, il centralismo democratico, vennero in qualche modo ridimensionati ma non abbandonati, il nuovo corso si esprimeva con dichiarazioni politiche che contenevano sempre una certa dose di ambiguità. Tale ambiguità si mostrava soprattutto quando si passava dalle dichiarazioni teoriche alle azioni concrete. Quando il capo del partito comunista spagnolo Santiago Carrillo espresse giudizi pesanti contro l’Urss e subì la scomunica del Cremlino, il Partito Comunista Italiano non espresse in alcun modo solidarietà al collega, quando nel 1977 i socialisti promossero una Biennale di Venezia dedicata ai dissidenti sovietici, il Partito Comunista Italiano si impegnò per boicottarla. Infine sulla questione degli «Euromissili» il Partito Comunista Italiano assunse una posizione apertamente filo sovietica, i missili cosiddetti intermedi sovietici potevano rimanere collocati contro l’Europa occidentale mentre questa si sarebbe dovuta astenere dallo schierare missili simili contro la Russia.

Il nuovo segretario nel 1977 dichiarò: «Noi rispondiamo no a chi vuole portarci a negare ad esempio, la funzione storica decisiva della Rivoluzione d’Ottobre, le conquiste irrevocabili dei sistemi socialisti», senza ricordare che tale rivoluzione significò già nei primi anni persecuzioni e un pesante sistema vessatorio verso i lavoratori delle campagne (i cui raccolti venivano regolarmente confiscati) e quelli dell’industria che videro la introduzione della cosiddetta «militarizzazione del lavoro». Nello stesso periodo Berlinguer affermò: «La lezione che Lenin ci ha dato a me sembra del tutto vivente e valida». In pratica le dichiarazioni del capo comunista risultavano del tutto contraddittorie. Anche negli anni successivi nonostante i gravi fatti avvenuti nel mondo comunista la posizione politica non appariva cambiata. Dopo la repressione in Polonia, affermò nel 1981: «Noi consideriamo l’esperienza storica del movimento socialista, nel suo complesso, nelle sue due fasi fondamentali: quella socialdemocratica e quella dei paesi dove il socialismo è stato avviato sotto la direzione dei partiti comunisti nell’Est europeo. Ognuna di queste esperienze ha dato i suoi frutti nell’avanzata del movimento operaio, ma entrambe vanno superate criticamente con nuove formule, con nuove soluzioni, con quella, cioè, che noi chiamiamo la “terza via” appunto rispetto alle vie tradizionali della socialdemocrazia e rispetto ai modelli dell’Est europeo». Negli stessi anni il vertice del partito comunista vedeva importanti figure come Giancarlo Pajetta e Giorgio Amendola che parlavano dell’intervento sovietico in Ungheria del 1956 come di un «aiuto fraterno» contro il nemico capitalista.

Anche in tempi recenti sono stati molti quelli affascinati dalla personalità ascetica di Berlinguer, ma allo storico viene da domandarsi: oltre le frasi altisonanti, cosa c’era di reale nel partito da lui guidato? Interessante per comprendere la realtà del Partito Comunista Italiano è la questione dei finanziamenti che consentivano al partito di mantenere un apparato di funzionari di notevoli dimensioni. Gianni Cervetti, membro della segreteria del Partito Comunista Italiano, ha scritto nel 1991 che i contributi economici moscoviti cessarono alla fine del 1975. Secondo i documenti raccolti dall’Archivio Mitrokhin il Partito Comunista Italiano ricevette oltre venti milioni di dollari fra il 1970 e il 1977, quindi anche in pieno periodo berlingueriano. Lo studioso Mario Riva ha scritto ugualmente sulla base di documenti della magistratura russa degli anni Novanta che i finanziamenti durarono a lungo, fino agli anni Ottanta, e che il nostro partito comunista riceveva una quota più alta rispetto ai partiti omologhi, oltre a varie forme di assistenza.

(novembre 2020)

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