«La strategia della tensione»: storia di un teorema non serio
Una serie di attentati negli anni Settanta compiuti da terroristi rimasti ignoti spinse molti a credere alla presenza di misteriose forze all’interno dei partiti moderati che organizzavano piani di destabilizzazione

Una delle regole fondamentali degli studi storici vuole che i fatti dubbi vengano verificati alla luce dei fatti certi. È sicuramente una regola del buon senso, ma spesso ignorata, giornalisti ed esponenti politici hanno spesso preferito seguire il contrario, affidarsi a ipotesi stravaganti, formulare teoremi privi di qualsiasi giustificazione e giudicare infine i fatti certi alla luce di quelli su cui non è possibile emettere un giudizio chiaro.

La «strategia della tensione» fu un teorema affascinante, uomini di potere negli anni successivi confluiti a Destra come a Sinistra, avrebbero organizzato dei sanguinosi attentati per «destabilizzare» il Paese e creare un Governo vagamente autoritario con delle alleanze di Destra o forse di Sinistra. Il teorema era privo di prove, come spesso hanno affermato gli stessi autori della teoria (esecutori ignoti con mandanti altrettanto ignoti), e privo anche di logicità. È ovvio pensare che di fronte ad una situazione di violenza e di pericolo si abbia una radicalizzazione politica e coloro che ritengono di sentirsi minacciati si allontanino dai moderati e si orientino verso movimenti che attuino una politica di difesa ricorrendo anche a metodi estremistici. In pratica non si conosce alcun caso nella storia recente di partiti di Centro stabilmente al potere che organizzavano atti di violenza per rafforzare le proprie posizioni, mentre abbiamo numerose situazioni di violenza che hanno radicalizzato lo scontro e favorito i gruppi estremisti. Si può facilmente ricordare la Repubblica di Weimar dove la tensione favorì Partito Comunista e nazisti (sommati insieme nel 1930 rappresentavano il 60% dell’elettorato) e la Spagna degli anni Trenta dove la Democrazia Cristiana e il Partito Repubblicano si dissolsero a favore rispettivamente di falangisti e socialisti massimalisti. Una variante del teorema della strategia della tensione voleva che l’ispiratore degli attentati terroristici fosse il Governo degli Stati Uniti, risulta tuttavia che gli Americani fossero molto favorevoli all’apertura da parte dei centristi ai partiti della Sinistra moderata in funzione anticomunista, e nessuno d’altra parte è in grado di comprendere la ragione per la quale una potenza si impegnerebbe a destabilizzare i propri alleati. Molti all’interno della Sinistra parlarono degli atti terroristici compiuti in quegli anni come di «stragi di Stato», sulla base di ipotesi e di collegamenti non chiari con servizi segreti e gruppi politici anticomunisti. Si parlò molto di depistaggi (che in molti casi erano solo indicazioni incerte) e di aiuti all’espatrio di singoli personaggi sospetti o collaboratori dei servizi stessi, ma nulla che provasse anche lontanamente una strategia comune fra esponenti politici di Governo e terroristi. Lo studioso di questioni militari Ambrogio Viviani scrisse: «Buon gioco ebbero gli accusatori speculando sulla presenza di agenti segreti infiltrati negli ambienti del terrorismo, presenza dettata da necessità informative e cioè proprio a scopi antiterroristici». La «politica delle bombe» nel nostro Paese sembrò al contrario dare sostegno in quegli anni negli ambienti di Centro e di Sinistra ai fautori del compromesso storico berlingueriano. Ha scritto Giorgio Bocca: «Il terrorismo nero… scompare anche perché nella prospettiva del compromesso storico cioè di una alleanza di Governo fra Cattolici e comunisti bisogna ridare forza a una opposizione di Destra legale, presentabile».

Negli anni Settanta il nostro Paese vide, nonostante l’incredibile crescita economica degli anni precedenti, uno scontro sociale molto pesante, anche se in molti Paesi Europei le maggiori lotte sociali erano già arrivate a conclusione. Il Governo era stabilmente nelle mani dei partiti di Centro, la Democrazia Cristiana, i partiti laici, mentre il Partito Socialista, specie dopo la scissione del Psiup, tendeva progressivamente ad una politica più moderata. Al di fuori dalla coalizione di Governo si aveva da una parte il Movimento Sociale e dall’altra un Partito Comunista che disponeva di un robusto apparato e di una forza elettorale molto superiore a quella degli altri partiti marxisti del resto del mondo occidentale. Tale partito aveva detenuto in forme nemmeno troppo occulte un’organizzazione armata clandestina e aveva fatto sentire negli anni precedenti la sua presenza minacciosa, nel novembre del 1947, organizzando l’assalto alla Prefettura di Milano, nel luglio del 1948 dopo l’attentato a Togliatti occupando con gruppi armati le principali città del Nord, e nell’estate del 1960 scatenando le violenze contro il Congresso del Movimento Sociale Italiano a Genova. Per tali ragioni non venne considerato da molti come un partito affidabile, ma come un partito non diverso da quelli che avevano stabilito dei regimi totalitari nei Paesi dell’Europa Orientale.

All’interno dell’Alleanza Atlantica nel 1951 venne studiato il progetto di una rete di organizzazioni (Stay Behind, che venne estesa anche all’Italia nel 1956 col nome di Gladio) che nel caso di invasione di un Paese da parte dell’Unione Sovietica fosse in grado di opporre resistenza, e successivamente venne studiato (Piano Demagnetize) un progetto per impedire l’imposizione (anche non preceduta da invasione da parte di uno Stato straniero) di un regime totalitario di tipo comunista. La struttura Gladio doveva avere un carattere sostanzialmente segreto, la sua esistenza venne rivelata solo nel 1990 dal Presidente del Consiglio Andreotti, il quale sottolineò che l’organizzazione non aveva nulla a che vedere con episodi di terrorismo e che conclusa la guerra fredda era stata soppressa. Probabilmente sulla base di tali iniziative, nonché sulla base dei tragici eventi accaduti a Genova nel 1960 che avevano messo in evidenza le difficoltà di garantire l’ordine pubblico, nel 1964 venne formulato il Piano Solo. Il generale De Lorenzo, comandante dei carabinieri e medaglia d’argento al valore della Resistenza, consultandosi con il Presidente della Repubblica Segni preparò il piano, che prevedeva misure d’emergenza in caso di insurrezione comunista ed esplicitamente l’arresto dei principali dirigenti del Partito Comunista Italiano. Tre anni dopo «L’Espresso» scrisse: «Finalmente la verità sul SIFAR. 14 luglio 1964. Complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato», la questione divenne oggetto di uno scontro giudiziario che si concluse con una condanna per calunnia contro il direttore del giornale, la magistratura riconobbe che i giornalisti «consapevolmente montarono una campagna scandalosa e scandalistica». Secondo gli storici Paolo Mieli e Mimmo Franzinelli non esiste alcun motivo per ritenere che il piano costituisse il presupposto per costituire un Governo autoritario ma semplicemente un’iniziativa per la difesa delle istituzioni in caso di minaccia da parte degli estremismi.

Negli stessi anni si ebbero molte iniziative nel campo anticomunista. Un grande leader dell’antifascismo, l’ex Segretario del Partito Repubblicano Randolfo Pacciardi, iniziò a parlare dei pericoli per la democrazia e della necessità di misure energiche per fermare il Partito Comunista, trovando negli ambienti moderati sostegno ma anche molta opposizione. Molto vicino alle sue posizioni fu anche il movimento Pace e Libertà diretto dal liberale, medaglia d’oro della Resistenza, Edgardo Sogno. Tale organizzazione, che si affiancava a quella prevista dalla NATO, Stay Behind, sorse già negli anni Cinquanta e comprendeva democristiani, liberali e altri uomini di Centro; Scelba, Taviani e Saragat erano in qualche modo vicini. Dell’organizzazione facevano parte anche ex comunisti caduti in disgrazia che non digerivano la dura disciplina di partito, erano invece esclusi uomini di estrema Destra. Un altro capo di gruppi partigiani autonomi, Carlo Fumagalli, creò nel 1962 il Movimento di Azione Rivoluzionaria, indagato e successivamente assolto dall’accusa di aver compiuto attentati contro tralicci dell’energia elettrica. Infine è da ricordare il movimento Rosa dei Venti, diretto dal colonnello Amos Spiazzi, di idee monarchiche, coinvolto nel cosiddetto Golpe Borghese, e la Maggioranza Silenziosa che cercò di costituire un interessante movimento democratico a Destra della Democrazia Cristiana tendenzialmente moderato. A tale riguardo la giornalista Maria Antonietta Calabrò ha scritto nel 1992 sul «Corriere della Sera» un interessante articolo sui gruppi di ex partigiani cattolici che conservavano depositi di armi da utilizzare nel caso di insurrezione comunista. Alcune associazioni che affiancavano Stay Behind beneficiarono di aiuti (prevedibili) da parte dei servizi segreti o dei carabinieri, e questo spinse molti commentatori politici a parlare di misteriose trame nere. Uno dei testi più interessanti su tale materia è Storia dei servizi segreti dello studioso di Sinistra Giuseppe De Lutiis, il quale sebbene citi numerosi episodi non arriva ad alcuna certezza né a stabilire collegamenti chiari fra i gruppi in questione e gli atti terroristici. Spesso cita contatti fra gruppi terroristici e ambienti politici, ma piuttosto vaghi, se per esempio si parlasse di contatti fra terroristi rossi e ambienti politici, non sarebbe difficile considerare buona parte della Sinistra coinvolta in attività illegali. Le sentenze della magistratura nel corso degli anni, sebbene contrastanti, hanno demolito alcuni dei miti nella materia che comunque conserva un certo grado di incertezza.

L’anno successivo all’istituzione del Piano Solo si tenne a Roma, Hotel Parco dei Principi, un convegno su «guerra rivoluzionaria» a cui parteciparono un gran numero di esponenti di Ordine Nuovo, l’associazione di Pino Rauti che raccoglieva i fascisti su posizioni economiche di Sinistra. Per i teorici della strategia della tensione tale iniziativa fu quella che diede inizio ai complotti e allo stragismo di Destra, ma appare effettivamente difficile che iniziative di tale portata si tenessero in luogo pubblico, più probabile che i convenuti volessero semplicemente discutere della situazione di tensione e violenza generalizzata che si stava creando nel Paese.

Nel 1969 il Movimento Studentesco diede vita a diverse manifestazioni violente ed ebbe inizio la terribile ondata di scontri studenteschi che per un decennio insanguinò il Paese. Nel dicembre si ebbe uno dei più tragici eventi nel nostro Paese, la strage di Piazza Fontana. In quell’occasione si ebbero contemporaneamente quattro attentati, oltre a quello mortale già citato, ad una banca romana, ad una banca milanese, e all’Altare della Patria. Nel corso degli anni molti a Sinistra hanno sostenuto che ingiustamente le indagini furono inizialmente dirette sull’estremismo di Sinistra, ma il tipo di obiettivi effettivamente faceva ritenere quella la direzione più giusta.

A distanza di decenni non si conoscono gli autori di quel delitto, l’anarchico Valpreda venne riconosciuto da un testimone, mentre timer simili a quelli adoperati per gli attentati furono ritrovati da Franco Freda e Giovanni Ventura, due estremisti di Destra di tendenze «nazimaoiste». Nel mondo dell’estremismo, ma il fenomeno è scarsamente conosciuto, ci sono stati infatti casi di strane commistioni, Mario Merlino, altro personaggio considerato implicato nella vicenda della strage, frequentava un circolo anarchico ma professava idee vicine a quelle dell’estrema Destra. In anni recenti il giornalista del «Corriere della Sera», Paolo Cuchiarelli, ha ipotizzato che le bombe della strage fossero due, collocate da terroristi rossi e neri insieme. Tesi ritenuta possibile anche da alcuni esponenti politici.

Nel corso delle indagini venne interrogato alla questura di Milano l’anarchico Pinelli, che per ragioni non conosciute, forse in stato d’agitazione a causa delle accuse ricevute, morì cadendo dalla finestra, questo fatto spinse molti senza alcuna ragione ad accusare la polizia di averne provocato la morte. Un appello firmato da grandi intellettuali della Sinistra parlò del commissario Calabresi (non presente al momento del fatto) come di un «torturatore responsabile della morte di Pinelli». Il clima di odio si accrebbe, si ebbe una lunga campagna stampa contro il personaggio, che alcuni anni dopo venne ucciso da estremisti di Sinistra.

Casi molto controversi di azioni violente si ebbero anche negli anni successivi. Nel 1972 l’editore Giangiacomo Feltrinelli venne trovato ucciso a causa dello scoppio di una bomba alla base di un traliccio vicino a Milano. Senza alcuna prova alcuni intellettuali di Sinistra (fra i quali Camilla Cederna) affermarono che l’estremista di Sinistra fosse stato ucciso, mentre risultava più probabile che stesse preparando un attentato, come venne confermato successivamente da esponenti delle Brigate Rosse. L’anno successivo un anarchico, Gianfranco Bertoli, lanciò una bomba a mano contro la folla presente ad una cerimonia in ricordo del commissario Calabresi. Si discusse a lungo (oggetto anche di questioni giudiziarie) sul fatto che il responsabile dell’azione fosse in realtà un estremista di Destra che intendeva uccidere il Ministro Rumor presente fino a qualche momento prima alla manifestazione, colpevole di non aver decretato lo stato d’assedio al momento della strage di Piazza Fontana. Negli anni successivi venne confermata la sua precedente attività di informatore dei servizi segreti, ma il personaggio dubbio continuò negli anni una prolungata e intensa collaborazione a gruppi e riviste anarchiche.

Nel 1970 si scoprì che armi (200 mitra) dell’armeria del Viminale erano state trafugate e successivamente ricollocate a posto. Si parlò di un tentativo di colpo di Stato o di un’azione dimostrativa compiuta dal principe Junio Valerio Borghese, ex comandante della Repubblica Sociale Italiana e in quel periodo capo del Fronte Nazionale. Al possibile tentativo insurrezionale avrebbe partecipato un piccolo reparto della Forestale che da Rieti si stava spostando su Roma. Nel corso dell’azione i congiurati avrebbero ricevuto un contrordine dato dal capo della Loggia P2 Gelli o dal colonnello Spiazzi, e l’iniziativa non avrebbe più avuto seguito. Si parlò anche che altri reparti sarebbero dovuti intervenire per reprimere l’azione illegale e imporre lo stato d’emergenza presentandosi così come forze moderate che intendevano tutelare la legalità. Lo studioso Ambrogio Viviani riporta che anche negli anni precedenti c’erano state iniziative di generali che potevano far supporre la preparazione di un colpo di Stato senza comunque arrivare a precisi accordi ai massimi vertici delle forze armate. Le congetture sulla vicenda furono numerose, la Corte d’Assise d’Appello stabilì comunque nel 1984 che «il fatto non sussiste», aggiungendo che tutto ciò che era successo non era che il parto di un «conciliabolo di 4 o 5 sessantenni». In precedenza anche il Ministro degli Interni Restivo aveva confermato la non esistenza del complotto o almeno la sua scarsa pericolosità. Il giornalista Bruno Vespa al riguardo riportò l’opinione di Andreotti, secondo il quale «il tentativo ci fu… non è improbabile che la polizia sia stata avvertita da Almirante». Anche Arnaldo Forlani riteneva Almirante un moderato, e sulla questione scrisse: «Quando ci sono state minacce o rischi di devianze più o meno velleitarie – come per la Rosa dei Venti o il Golpe Borghese – era preoccupato più di noi e non si limitava a prendere le distanze». La vicenda Borghese ebbe un ulteriore misterioso finale con la presunta uccisione del «Principe Nero» in Spagna dove si era rifugiato.

I fatti terribili avvenuti in quegli anni, e le associazioni politico-militari inquadrate nella Gladio iniziarono a suscitare sospetti fra i magistrati che nel 1974 inquisirono il generale Vito Miceli, capo dei servizi segreti, per la questione del Golpe Borghese, anche se le accuse presto decaddero. Miceli era politicamente legato ad Aldo Moro e avversato da un altro generale, l’andreottiano Gianadelio Maletti, in quanto considerato troppo filo arabo in politica internazionale. Due anni dopo toccò a quest’ultimo a trovarsi nell’occhio del ciclone per la questione dell’aiuto all’espatrio di due estremisti di Destra che collaboravano col SID, Marco Pozzan e Guido Giannettini che in precedenza aveva fornito qualche aiuto parlando di «bande autonome neofasciste» che preparavano «attentati in luoghi chiusi». Secondo l’opinione di Ambrogio Viviani l’aiuto accordato non costituiva un sostegno all’estremismo politico o ad attività illegali, ma solo una forma di protezione che i servizi segreti accordavano generalmente ai loro informatori. Diversamente da quanto sostenuto da coloro che parlavano di depistaggi a favore della Destra, le indicazioni fornite dai servizi segreti spesso non erano a loro favorevoli. Dopo la strage di Piazza Fontana, parlarono di Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino come dei possibili autori. Anche il Governo mostrò di non nutrire tolleranza verso l’estrema Destra, decretando nel 1973 lo scioglimento di Ordine Nuovo, e successivamente di Avanguardia Nazionale, movimenti considerati come «ricostituzione del Partito Fascista».

Nel 1974 ci furono altri due eventi terribili, la strage di Piazza della Loggia a Brescia e la strage sul treno Italicus. Nella prima si ebbero 8 morti a causa di una bomba collocata durante una manifestazione antifascista, nella seconda i morti furono 12 e avvenne mentre il treno transitava vicino a Bologna, uccidendo gente comune che non aveva nulla a che vedere col mondo politico. Le indagini della magistratura per la prima strage si orientarono su elementi dell’estrema Destra bresciana, e portarono all’arresto di uno sbandato con precedenti per reati comuni, Ermanno Buzzi, successivamente ucciso in carcere da altri due estremisti di Destra, Mario Tuti (che aveva probabili contatti con l’ambasciata libica) e Pierluigi Concutelli. Successivamente un ordinovista informatore dei servizi segreti, Maurizio Tramonte, accusò esponenti di Ordine Nuovo del Veneto, fra i quali anche un ufficiale dei carabinieri, ma successivamente ritrattò, e tutti vennero assolti con formula dubitativa. Anche qui si parlava di depistaggi, ma in maniera decisamente vaga, i responsabili sarebbero stati i vigili del fuoco, colpevoli di aver ripulito la piazza con gli idranti subito dopo la tragedia, cancellando le prove sul tipo di esplosivo adoperato. Per la seconda strage, la svolta arrivò quando un extraparlamentare di Sinistra accusò gli estremisti di Destra Luciano Franci, di cui era stato compagno di cella, e Mario Tuti di aver collocato la bomba sul treno. Non venne però ritenuto credibile dai magistrati. Non mancava comunque un elemento interessante per coloro che credevano nelle attività sospette dei servizi segreti: alcuni testimoni riferirono di aver sentito una funzionaria del SID, Claudia Aiello, parlare da un telefono pubblico di bombe e di movimenti di treni, questione che non ebbe però grande seguito sul piano giudiziario.

Lentamente diminuivano gli scontri studenteschi di piazza e il terrorismo rosso, quando nell’agosto del 1980 si ebbe il più grave degli atti terroristici della storia d’Italia, la strage alla stazione di Bologna con 23 chili di esplosivo che provocò la morte di 85 persone. Si presero in considerazione varie piste: terroristi palestinesi, libici, ma prevalse quella degli estremisti di Destra. Alla fine la responsabilità della strage venne attribuita a due terroristi di Destra considerati particolarmente autonomi, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che riconoscevano orgogliosamente la paternità di molte azioni efferate ma si ritenevano del tutto estranei a quella inutile strage.

Negli anni successivi i servizi segreti tornarono nell’occhio del ciclone. Nel 1983 venne arrestato il comandante del SISMI Giuseppe Santovito per aver passato un dossier a un giornalista di «Panorama». Per uno strano caso il generale dopo due mesi morì, ma non vi erano ragioni per pensare che la morte fosse dovuta a cause non naturali. Nel 1984 il vice direttore del SISMI Pietro Musumeci venne accusato (e successivamente riconosciuto colpevole) di aver creato delle false prove per incastrare Stefano Delle Chiaie e alcuni estremisti di Destra stranieri. Entrambi i generali risultarono appartenenti, insieme a parecchi altri ufficiali, alla Loggia P2. Tale loggia venne considerata dapprima un’associazione eversiva, ma le ultime sentenze della magistratura affermarono che costituiva essenzialmente un centro affaristico. Tale fatto portò comunque ad accuse e polemiche pesantissime su trame occulte per rovesciare le istituzioni, ma risultò probabile che il generale Musumeci avesse compiuto le illegalità al solo fine di trarre un profitto pecuniario personale, intascando i fondi destinati all’azione.

Dopo molti anni di silenzio, nel 2000 il generale Maletti scrisse che i mandanti degli atti terroristici avvenuti negli anni Settanta sarebbero stati gli Americani o che almeno ne fossero in qualche modo coinvolti, ma lui stesso ammise che non vi erano prove. Tutta la complessa vicenda ha continuato ad essere oggetto di dibattito, molti continuarono a parlare di «servizi segreti deviati», ma l’idea di centri di potere in combutta con gruppi terroristici risultò sempre molto lontana da una qualche dimostrazione.

(febbraio 2011)

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