Italo Balbo e la trasvolata dell’Atlantico
La storica impresa di «Aquila Volante»

La trasvolata dell’Atlantico era un sogno per molti di coloro che s’interessavano di volo nei primi decenni del XX secolo. Già nella seconda parte del XIX secolo, si era riscontrato un grande interesse per le possibilità di volare. Furono molti gli alianti fatti volare, ma nessuno aveva pensato a montarvi sopra un motore, anche e soprattutto perché questi pesavano parecchio. La prima soluzione venne dai fratelli americani Wright, i quali, esattamente il 17 dicembre del 1903, tentarono l’impresa: fu un successo, poiché l’aereo riuscì a restare in volo 12 secondi, percorrendo la distanza di 35 metri. Poca cosa, si dirà, ma fu la dimostrazione che un aereo a motore poteva volare. Ci furono correzioni e i miglioramenti non si fecero attendere. Il primo volo di un certo livello fu tentato e portato a termine il 27 luglio del 1909, quando il Francese Louis Blériot fece parlare di sé, compiendo la trasvolata della Manica, volando senza incidenti da Calais a Dover in 32 minuti. Che l’interesse per il volo a motore fosse tanto lo dimostra pure il premio di 10.000 sterline, messo in palio per chi fosse riuscito per primo a collegare l’Europa con gli Stati Uniti mediante un aereo, dal quotidiano britannico «Daily Mail» nel 1914. Purtroppo, intanto era scoppiata la Prima Guerra Mondiale, per cui fu necessario attendere la sua fine per riprendere il discorso. Ci furono diversi tentativi, ma quello che ebbe esito positivo fu quello di Alcock e Brown, i quali, partiti da Terranova con un Vicker Vimy, riuscirono a raggiungere l’Irlanda, in tal modo aggiudicandosi il premio. Nel 1927 ci fu l’avventura di Lindberg, che volò, nei giorni 21 e 22 maggio 1927, dall’America all’Europa, per primo in solitario.

L’Italia, prima della Seconda Guerra Mondiale, aveva un personaggio molto amante dell’aria: era Italo Balbo, nato nel 1896 a Quartesana, un centro della Bassa Ferrarese, uno dei quadrunviri della «marcia su Roma» e uno dei fedelissimi di Mussolini. Era un pilota provetto. Durante il fascismo, organizzò diverse crociere nel Mediterraneo e nell’Atlantico Meridionale. Per celebrare il decimo anniversario della costituzione dell’Aeronautica quale Arma autonoma, pensò di organizzare il giro del mondo, ma le difficoltà che si sarebbero dovute incontrare, da un lato il costo che avrebbe rappresentato il volo, e dall’altro le delicate tensioni politiche che erano in atto fra Giappone e Unione Sovietica, lo portarono a pensare di puntare il proprio interessamento verso la realizzazione della doppia trasvolata dell’Oceano Atlantico, ma questa volta effettuata non da un aereo isolato, bensì da una formazione di 25 aerei. Del resto c’erano tutti i presupposti affinché il progetto potesse andare positivamente in porto, giacché Balbo da tempo era sottosegretario all’Aeronautica, aveva acquisito un’esperienza di volo invidiabile, però questa doveva essere trasferita anche ad altri, attraverso un severo addestramento. Così, il giorno 2 maggio del 1931, a Orbetello fu istituita la Scuola di Navigazione Aerea D’Alto Mare (SNADAM) dove, nel corso di un paio d’anni, almeno 500 ore di volo furono garantite a tutti gli equipaggi. Fra parentesi si può ricordare che si fece pure un corso di sopravvivenza sulla neve, nel caso ci fosse stata la necessità, trovandosi in difficoltà, di ammarare nei mari nordici.

A questo punto, con il consenso di Mussolini, iniziò a valutare quale sarebbe stato il tipo di aereo giusto, idoneo a compiere quel doppio volo, dall’Italia agli Stati Uniti e ritorno. Fra le varie possibilità di scelta, Balbo diede fiducia all’idrovolante biscafo Savoia-Marchetti S.55, bombardiere aerosilurante, progettato dagli ingegneri Alessandro Marchetti e Pier Luigi Torre, sul quale erano installati due propulsori contrapposti, ognuno con un’elica spingente e una traente, che fra l’altro era stato soddisfacentemente usato da Balbo nelle precedenti crociere. Per l’occasione, l’aereo fu elaborato e trasformato nell’S.55TA (Trasvolata Atlantica) e definitivamente chiamato S.55X, con miglioramenti nell’aerodinamica e nella struttura e con la dotazione di una strumentazione idonea al volo senza visibilità.

Per avere le garanzie di aiuto nel caso di necessità, l’organizzazione logistica fu eccezionale, così come furono eccezionali i controlli sulle previsioni del tempo su tutto il tragitto previsto. Qualora le nubi avessero impedito la visione delle stelle per l’orientamento, lo stormo di aerei avrebbe potuto seguire la pista tracciata da segnali radio provenienti da una piccola flotta di sommergibili, da tre navi da guerra e da sei baleniere inglesi, affittate per l’occasione, opportunamente dislocate. Dopo tutti i necessari preparativi, la Crociera del Decennale iniziò il primo giorno di luglio del 1933, con ritardo sul decennale, a causa dei lunghi tempi resisi necessari per la corretta pianificazione, con la partenza da Orbetello verso Amsterdam, per proseguire volando via Londonderry (Irlanda del Nord) a Reykjavik (Islanda), Cartwright, Shediac e Montreal (Canada), Chicago, dove il volo si concluse il giorno 15. La prima tappa, purtroppo, fu funestata dalla perdita del sergente motorista Quintavalle, deceduto nella distruzione del suo aereo durante l’ammaraggio ad Amsterdam. Pieno successo ebbe la più pesante tappa, quella da Reykiavick a Cartwright, che richiese ben 12 ore per superare la distanza di 2.400 chilometri.

Giunti a Chicago, i trasvolatori furono accolti da una folla festante lungo le vie, percorse da un lungo corteo di automobili, e furono accolti come eroi in uno stadio gremito da migliaia di persone acclamanti. Qui, il sindaco proclamò il «Italo Balbo’s Day». Risulta che Mussolini avesse iniziato a nutrire un po’ di fastidio nei suoi confronti e che avesse comunicato che i festeggiamenti dovevano essere ridotti all’osso. Ma questi continuarono e Balbo, fra l’altro, ricevette la «laurea honoris causa» in scienze. Folkloristico e curioso fu il suo incoronamento come capo dei Sioux, con un altissimo diadema di vistose penne e l’attribuzione dell’appellativo di «Aquila Volante». La trasvolata fu seguita in Italia attraverso la radio con grande interesse ed emozione e orgogliosamente acclamata dagli Italiani presenti nel Nuovo Mondo. Il 19 luglio, la squadra formata dai 24 aerei restanti, di buon mattino, riprese il volo e in perfetta formazione sorvolò i grattacieli di New York. Fu uno spettacolo eccezionale: tutti erano alla finestra, il traffico si bloccò, le navi nel porto suonarono le loro sirene a festa, le rive del fiume Hudson erano gremite di persone curiose e festose. Gli Atlantici furono condotti al Madison Square Bowl di Long Island, con tutti i suoi 200.000 posti occupati, mentre altrettanti spettatori ne erano rimasti fuori. Lungo discorso ed elogi solenni. Mussolini, dal canto suo, insistette per la riduzione dei festeggiamenti, ma Balbo non resistette alla tentazione di accettare l’invito a pranzo del Presidente Roosevelt a Washington.

Il 25 luglio, lo stormo ripartì, ma giunto a Shediac il giorno successivo, il tempo si dimostrò tanto inclemente da convincerlo ad aspettare che si rimettesse. Per non perdere ancora tempo, si decise di affrontare un’altra rotta, più verso Sud, facendo scalo a Ponta Delgada (Isole Azzorre) e a Lisbona. A Ponta Delgada, sciaguratamente, avvenne un’altra perdita nella squadra: infatti, il tenente pilota Squaglia perì durante il decollo. Dopodiché gli Italiani si prepararono per il ritorno in Italia, con l’intenzione di fare scalo a Londra, Parigi, Berlino. Ma ebbero il deciso veto di Mussolini, molto preoccupato per la popolarità che Balbo si era assicurata in campo internazionale.

Nel pomeriggio del 12 agosto, i 23 aerei rimanenti ammararono alla foce del Tevere, mentre la radio trasmetteva in diretta l’evento, ricevuti da Mussolini che, in via del tutto eccezionale e inaspettata, abbracciò Balbo. Lungo la strada per la Capitale, una folla festante accompagnò il corteo di macchine; ma gli onori veri e propri furono tributati ai trasvolatori il giorno successivo quando, dopo essere stati ricevuti al Quirinale, tutti in alta uniforme bianca, andarono a Palazzo Venezia e ai Fori Imperiali, su strade gremite di gente e addobbate a festa, per passare, infine, sotto l’Arco di Costantino, fatto che l’ultima volta era avvenuta quasi 2.000 anni prima. Mussolini promosse tutti i partecipanti all’impresa e nominò Balbo Maresciallo dell’Aria, grado coniato proprio per lui. Il giorno dopo, il Re gli fece visita a Orbetello, complimentandosi vivamente con lui.

A questo punto, sembra opportuno spendere due parole su quanto avvenne in seguito a Balbo. Come già accennato, la gloria internazionale del Ferrarese dava parecchio fastidio al Duce e così, per levarselo di torno, lo nominò governatore della Libia, incarico accettato mal volentieri, perché era chiaramente un modo per toglierlo dai piedi. Ci furono dissapori, anche perché egli non era d’accordo sulla politica del Duce, che spalleggiava Hitler. Inoltre Mussolini lo riteneva un bugiardo, in merito alla forza aerea italiana dichiarata e quella veramente disponibile. Insomma, si potrebbe dire che il rapporto fra i due era giunto «alla frutta». Fatto è che, ad appena 18 giorni dall’inizio delle ostilità, avvenuto il 10 giugno del 1940, mentre faceva un volo di ricognizione, «per errore» (fu la giustificazione ufficiale) la contraerea italiana centrò il suo aereo, abbattendolo.

Così finì l’«Aquila Volante», Capo dei Sioux, il Maresciallo dell’Aria e una delle «spine nel fianco» di Benito Mussolini.

(marzo 2020)

Tag: Mario Zaniboni, Italo Balbo, Trasvolata dell’Atlantico, Benito Mussolini, Aquila Volante, Maresciallo dell’Aria, storia dell’Aviazione Italiana, Balbo e Mussolini, l’Aviazione e il fascismo, fratelli Wright, Louis Blériot, trasvolata della Manica, Alcock e Brown, Lindberg, Quartesana, Orbetello, Chicago, New York, Roosevelt, Italo Balbo’s Day, Madison Square Bowl idrovolante Savoia-Marchetti S.55, Alessandro Marchetti, Pier Luigi Torre, S.55TA, Trasvolata Atlantica, come morì Balbo, S.55X.