Alto Medioevo
Una non facile problematizzazione

Non solo la periodizzazione ma ancor più la problematizzazione dell’epoca medievale incide sulle poche risposte che ancora abbiamo sulle questioni relative agli Ordini cavallereschi ed al loro vero ruolo guida sia in ambito religioso che civile, piuttosto che sull’incidenza reale che la cultura medievale, soprattutto altomedievale, ebbe sull’intero assetto della nostra Penisola. Ho cercato di pormi queste domande studiando l’epoca risorgimentale e la formazione della nostra Unità Nazionale, che prende le mosse proprio nel lontano Medioevo. Le famiglie che fecero l’impresa, tentando di coinvolgere anche il popolo di mazziniana memoria, sono le stesse che spesso celebrarono questi trascorsi umani e spirituali. Calandomi nella mia realtà di riferimento ho tentato di trovare alcune risposte che qui vorrei proporre.

Quale il panorama offerto ad un osservatore dei secoli altomedievali? Quello di un paesaggio caratterizzato dal dominio dell’incolto, di boschi e foreste, al cui interno rinveniamo i villaggi e le città. Il villaggio aveva una parte abitata, e quasi sempre recintata; una parte coltivata (quella immediatamente esterna a quella abitata); una terza parte costituita da terre comuni, per la sussistenza. Oltre queste tre fasce la foresta, adibita alla caccia. La gran parte della popolazione impiegata in agricoltura, prevalentemente di sussistenza. Ci fu in ogni caso un primo costituirsi di gruppi mercantili e finanziari, anche se le condizioni di vita, con carestie, pestilenze e guerre, erano particolarmente proibitive. Le città continuavano ad avere un ruolo marginale. Eppure tra VIII e IX secolo si sviluppò la «curtis», distinta dal sistema feudale in senso stretto perché quest’ultimo era più legato alla sfera militare, in principio godimento di una proprietà terriera senza compenso monetario. Eppure labile è talvolta il margine che divide queste due realtà, la curtense ed il feudo. Per definire la particolarità di questi margini porterò come esempio concreto la realtà feudale ed al tempo stesso curtense del Comune di Piazza al Serchio racchiuso, in Alta Garfagnana, entro i rami del fiume Serchio, quello di Soraggio e quello di Gramolazzo.

Sono realtà geografiche la cui porzione del territorio fu sin dai tempi antichi di grande importanza strategica e commerciale, tanto da far supporre agli studiosi più attenti che esso sia stato abitato sin dall’epoca preromana, nonostante l’esiguità dei reperti archeologici non ci confermi lo stanziamento in loco di popolazioni stabili. Ma l’epoca romana qui fu essenziale. La romana Via Clodia risaliva il Serchio, nel corso da Lucca verso le sorgenti biforcandosi e proseguendo, un ramo verso Sillano ed il Passo di Pradarena, giungendo nella Valle del Panaro ed in Emilia; l’altro guadando il Serchio e deviando verso la Versilia dove i Cattani avevano i loro consorti; ed i Malaspina, celebrati nella Divina Commedia, conservarono fino alla metà del XIII secolo i loro privilegi, mentre la dipendenza spirituale dal Vescovo di Luni era una logica conseguenza della posizione lungo una strada che conduceva alla Lunigiana, regione con la quale gli scambi erano assai frequenti. Al momento dell’affermazione degli Stati Principeschi e con l’indebolirsi della potenza lucchese, il territorio del Comune passò a Modena sotto i cui Duchi rimase fino all’Unità d’Italia, ad eccezione del capoluogo, Piazza al Serchio, e della frazione di Sala, su cui, fino alla fine del XVIII secolo, si esercitò il potere temporale dei Vescovi di Lucca.

Una delle principali questioni di problematizzazione dell’Alto Medioevo è costituita dagli assi viari, importantissimi, determinanti, sia sul piano politico che economico. Erano gli assi viari il vero spirito guida di quegli Ordini cavallereschi che contrassegnarono l’intero Medioevo. Tanto da spingere qualche studioso a dire che la fine degli stessi coincise con la fine del Medioevo.

Notoriamente la viabilità medievale si distingue in percorsi di crinale, di mezza costa, di fondovalle, di raccordo e, se possibile, traversanti intervallive. Dopo l’intervallo di Età Romana, in cui l’assetto insediativo e la rete viaria assumono specifiche caratteristiche, anche giuridiche, i percorsi recuperano, in Età Medievale, le valenze naturali, così come assistiamo ad una rioccupazione dei siti di altura, pressoché assente in epoca precedente. Trattare Piazza al Serchio significa occuparsi del nodo comunicativo principale della Valle, nonché importante necropoli longobarda di inizio VII secolo, che costituisce, con i suoi ritrovamenti archeologici, un luogo predominante del territorio. Qui si insediò un importante «castellum» longobardo, complesso insediativo, religioso e curtense che, dal punto di vista del controllo viario e del territorio, bloccava tutte le direttrici della vallata, provenienti da Nord-Nord Ovest. La vicina e celebre Via Francigena, così come appurato in sede scientifica, è da ritenersi un’area di strada solcata da un itinerario centrale e da una serie di percorsi diversi attivati nei secoli, sulla base di problemi politici, militari, commerciali e religiosi. Secondo questa interpretazione le vie distinte dal percorso dell’Arcivescovo Sigeric possono essere definite come strade appartenenti al sistema viario definito Via Francigena o Romea, come loro organiche varianti. Quindi, seppur il percorso identificato dall’Arcivescovo di Canterbury Sigeric alla fine del X secolo possa essere definito come il principale, la spina centrale, gli altri possiamo considerarli percorsi alternativi, come varianti del principale fascio di strade chiamato Via Francigena. In Toscana tra queste varianti annoveriamo come essenziale l’asse viario, antecedente la stessa Francigena, che collegava Pavia, Piacenza, la Pianura Padana con Lucca, tagliando trasversalmente la Val di Magra. Si tratta della vecchia romana Via Clodia e dell’altomedievale Via di Monte Bordone. I cavalierati qui, sin dall’Alto Medioevo, assunsero un ruolo essenziale perché precipuo è il valore dato negli stessi incastellamenti al significato strategico delle valli attigue. Commerci non solo con la Valle Padana ma oltre le Alpi, in direzione della Francia. Soprattutto salvaguardia del territorio, che i numerosissimi castelli attestano. Questi prolifereranno a partire dall’XI secolo. Ma già a partire dal X ne troviamo due consistenti: Campori (957) e Gorfigliano (997). Altri otto sono riscontrabili nell’XI secolo; e nuovi sei castelli troviamo qui nel XII secolo. Un numero così esorbitante è spiegabile perché in un primo momento i potenti Vescovi Lucchesi vollero creare nell’estremità settentrionale della diocesi centri di potere analoghi a quelli tenuti nella piana di Lucca; successivamente i laici Cunimondinghi di origine longobarda se ne appropriarono affermandosi economicamente e politicamente a partire dalla metà del X secolo. Tra i Cunimondinghi i Suffredinghi, di matildina memoria. Qui la tipologia del castello curtense, prevalente in ambito toscano, resta un cono d’ombra. Perché in assenza di chiari segnali evolutivi della «curtis» in castello, non possiamo dimostrare la coincidenza fisica tra il vecchio ed il nuovo centro di potere. In una parola la labile distinzione tra mondo curtense e mondo feudale in senso stretto, ossia politico e militare, prende qui le sembianze prevalenti dell’assetto difensivo-militare. Alcune «curtis» presenti qui a partire dal IX secolo, tutte di pertinenza vescovile, sembrano decadere e poi scomparire dalla seconda metà del secolo successivo. Solo una «curtis», quella di Sala, vicino a Piazza al Serchio, in un documento dell’883, pare corredarsi di opere di fortificazione. Con diploma del 1027 nel raggio di un chilometro nella zona di Piazza al Serchio sono citati quattro castelli facenti parte di un preesistente ed unico castello «et curte». La ricerca sul territorio dimostra che la maggior parte delle sedi incastellate tende a disporsi sulle alture vicine ai centri aperti, ma dichiaratamente separati da questi. Proprio la distinzione tra castello e nucleo abitato più in basso, risulta qui un elemento ricorrente. Anche la morfologia del territorio agevolava questo, però è visibile la volontà di occupare aree tattiche da parte dei feudatari, più che favorevoli all’insediamento e allo sfruttamento agricolo.

Possiamo ipotizzare che questi cavalieri fungessero da nume tutelare alle principali direttrici commerciali che attraversavano la valle, provenienti dai luoghi abitati e più sviluppati sul piano artigianale e commerciale della Toscana. Essendo la Toscana una autentica «via di mezzo» tra Inghilterra, Francia e Terra Santa, possiamo supporre che qui si ponesse una sorta di snodo geografico verso la direttrice ultima, Roma, sempre in direzione della Terra Santa. In questo caso i vari cavalierati ivi presenti si attestavano certamente come possibili difensori dell’ordine sulle cime appenniniche, sui crinali, con un preponderante ruolo politico. Non conosciamo nel dettaglio le questioni inerenti al periodo però sappiamo che quei «fanti, cugini di Matilde», di cui ci parla lo storico Monsignor Domenico Pacchi nelle sue dissertazioni del XVIII secolo, si attestano in loco ed hanno un ruolo guida nelle vicende medievali sul territorio, al punto che la stessa celebre donazione matildina non li riguardò da vicino. Furono ignorati dalla medesima donazione in quanto mantennero i loro possessi oltre la donazione, senza che alcun Pontefice Romano li reclamasse mai. Io credo che in questa definizione dello storico sia contenuta la risposta sul perché il quadrisavolo di Matilde, il cavaliere e conte lucchese Sigifredo Atto abbia avuto una forza propulsiva di natura essenzialmente militare tale da permettere l’inizio della formazione della poi sua celebre Casata Attonide. E come lo stesso Castruccio Castracani, lontano «cugino» egli stesso di Matilde, in epoca successiva, pur avendo la sua famiglia ormai abbracciato in pompa magna la mercatura, possa essere diventato quel valoroso uomo di ventura di machiavellica memoria, celebrato prima che in Patria, in Terra d’Albione e da Filippo il Bello in territorio francese.

Nel paesino più alto di questi crinali, che poi ha la maggiore altitudine di un centro abitato dell’intero Appennino, San Pellegrino in Alpe, troviamo le reliquie di un Santo molto noto, ma forse non abbastanza, per spiegare questi spostamenti. San Pellegrino era figlio, secondo tradizione, del Re di Scozia. Pellegrino si fece mendicante e si recò in Terra Santa, abbandonando gli agi del suo stato. Di ritorno dalla Terra Santa si fermò in queste terre davvero suggestive sul piano paesaggistico, che molto ricordano le nostre Alpi, e qui divenne punto di riferimento per l’intera collettività. Ivi morì nel 643. La sua fama tanto si diffuse che da San Pellegrino passarono moltissimi protagonisti del nostro intero Medioevo. A cominciare da Federico II di Svevia. Matilde di Canossa poi adorava quel luogo e ne fece motivo di transito costante, nonché di soggiorno. Così i suoi valorosi cavalieri, e tutti venerarono non solo il Santo, ma il personaggio ed il valore simbolico dello stesso. Perché Pellegrino, già il suo nome dice tutto, unì l’Europa in un’epoca in cui l’unione era probabilmente più forte di adesso, sia sul piano culturale che monetario. Soprattutto la condivisione, il vero valore principe del Medioevo, più coeso in questa che in altre epoche. Andando spesso in questo luogo mi sono sorpresa a riflettere sul grande significato politico di questo minuscolo fazzoletto di terra in alta quota che domina a suo modo la nostra Penisola e mi piacerebbe condividere di più sia con gli storici di professione che con i cultori della disciplina il senso di questa affermazione. San Pellegrino è conosciuto, ma ancora non abbastanza, come il nostro fulgido Medioevo.

San Pellegrino in Alpe

Panorama di San pellegrino in Alpe
(febbraio 2016)

Tag: Elena Pierotti, Italia, Toscana, Medioevo, problematizzazione dell’epoca medievale, Ordini cavallereschi, Alto Medioevo, curtis, Piazza al Serchio, Via Clodia, Via Francigena, Lucca, Sigeric, Arcivescovo di Canterbury, Via di Monte Bordone, Cunimondinghi, Suffredinghi, Monsignor Domenico Pacchi, Matilde di Canossa, Sigifredo Atto, Castruccio Castracani, Filippo il Bello, San Pellegrino in Alpe, Federico II di Svevia, San Pellegrino.