I Canossiani
La loro attività giurisdizionale con particolare riferimento alla Toscana

Un celebre saggio di Margherita Giuliana Bertolini[1] ci introduce al reale significato e ruolo in ambito giurisdizionale della potente famiglia dei Canossa. Il saggio è straordinariamente ricco di aspetti tecnici e storici sul reale apporto dei Canossiani in ambito giurisdizionale, a significare la grande capacità della dinastia dei Canossa di esserci proprio sul piano giuridico per una possibile ipotetica realizzazione di una più ampia statualità, che di fatto non si realizzò. La storia non si fa né coi «se», né coi «ma», è del tutto evidente. Ma riflettere sulla portata del loro apporto giuridico equivale a comprendere che forse il nostro Paese a suo modo perse un’occasione.

Intendo con questo mio breve scritto cercare di vagliare quanto la studiosa ha saputo suggerire con alcune osservazioni che sorgono spontanee dalla lettura del testo.

L’autrice esordisce dicendo che «l’esame dell’attività giurisdizionale dei Canossiani “comites”, “marchiones”, “marchiones et duces”, non è che un capitolo. O meglio, una delle vie da percorrere per illuminare il problema delle istituzioni del Regnum Italiae, tra metà del X ed i primi decenni del XII secolo […]».

I termini cronologici dell’età canossiana vanno dal 962, anno in cui il primo canossiano appare come «comes», al 1115, anno della morte di Matilde di Canossa, ultima rappresentante della stirpe. L’ambito territoriale comprendeva i comitati di Reggio e Modena, Mantova, Ferrara e Brescia, le marche di Toscana, Spoleto e Camerino, il comitato di Perugia e la Pentapoli. Ferrara, Pentapoli e Perugia facevano parte della sovranità papale, con legami stretti coll’Impero; la marca Toscana e il ducato di Spoleto con una loro propria antica fisionomia.

Ma che cosa significa davvero il termine marchionale e/o comitale? E soprattutto quanto peserà per la famiglia canossiana esserlo?

In un sistema giuridico dove le marche e le contee rappresentavano l’unica autentica centralizzazione, là dove non esisteva una centralità statuale come si verificò dall’età moderna, rappresentava l’unica risorsa per il controllo del territorio. E se i poteri forti erano rappresentati dal Papato e dall’Impero, la partita si giocava sul campo, dunque proprio in tali rapporti marchionali/comitali.

Perché gli spostamenti erano complessi, l’ambiente geografico dispersivo e impervio per poter ottenere un facile controllo. Anche solo immaginare tutto questo ci introduce in un mondo privo di connotazioni «garantiste» e facile bersaglio di complicate diatribe, in ambito familiare.

L’autrice del saggio in tal senso ci viene incontro definendo la famiglia canossiana. «Sarà utile ricordare», sottolinea «i termini della fisionomia stessa della famiglia che amiamo chiamare canossiana: essi non si mantengono sempre omogenei ma subiscono, al contrario, un notevole cambiamento quando elementi, provenienti da altro mondo, altro ceto, altra cultura, divengono prevalenti per un periodo non lunghissimo, ma significativo – e non solo per i destini della nostra famiglia –, che varrebbe la pena chiamare lorenese o lorenese-canossiano, piuttosto che canossiano». L’allusione è riferita al periodo in cui al vertice della famiglia, negli anni 1056-1069, si trovano membri delle famiglie del più alto rango dell’Impero: Goffredo, duca di Lorena, figlio del duca di Bassa Lorena Gozzelone; Beatrice, vedova di Bonifacio di Canossa e sua consorte, che, figlia del duca dell’Alta Lorena Federico, era in stretti rapporti di parentela con la famiglia regia e imperiale – era cugina prima per via materna dell’Imperatore Enrico III – ed era stata allevata a Corte».

Con l’ingresso dei Lorena l’attenzione dei Canossa entra in un giocoforza, diremmo noi oggi, europeo. Quindi certamente rafforzato nelle aspettative della stessa dinastia, ma al contempo indebolito in una gestione più territoriale, che forse avrebbe consentito di non perdere di vista il più circoscritto contesto peninsulare. L’ambiguo, per così dire, rapporto con la famiglia imperiale, non fu sicuramente d’aiuto nel rafforzare in ultima istanza il potere canossiano.

Chi sono i veri protagonisti canossiani del periodo? Tedaldo di Canossa (988-1007/1012); Bonifacio suo figlio (1007/1012-1052); Goffredo di Lorena, marito della vedova di Bonifacio; Beatrice di Lorena (1056-1069); infine Beatrice stessa e sua figlia Matilde (dal 1069 al 1076). Di quarantotto documenti giudiziali pervenutici, ben trentacinque sono toscani, segno evidente del ruolo della marca. Se facciamo dei raffronti con altre famiglie marchionali del periodo che ebbero una longevità identica a quella dei Canossa, come ad esempio gli Arduinici, prevalenti nell’attuale territorio piemontese, troviamo solo due placiti, a distanza di quasi novanta anni. Da ciò deduciamo che i Canossa avevano instaurato una vera e propria attività giudiziale tale da presagire possibili sviluppi centralistici nella gestione del potere.

Indubbiamente la Toscana rappresentò per i Canossa non solo l’ambito territoriale di provenienza, ma terreno fertile per promuovere il loro status giuridico. «L’attività giudiziaria canossiana in Toscana sembra svolgersi preferibilmente nelle città, dentro o fuori le mura, più che nel territorio; in sedi istituzionali, come i palazzi regi, ma non esclusivamente in essi, quand’anche ci siano; in determinate città piuttosto che in altre, con qualche variante temporale nella città preferita.

È Lucca che ospita la maggior parte delle sedute giudiziarie nelle età di Bonifacio e del successore Goffredo: nel palazzo regio posto fuori Porta San Donato[2]; entro le mura, nello spazio tra Duomo e Battistero, si tengono i tre procedimenti giudiziari e di giurisdizione che Beatrice di Lorena presiede o a cui presenzia, nel giugno-luglio 1068». Successivamente sarà Firenze la città che avrà maggiori procedimenti, senza escludere Arezzo, Pisa, Siena, Pistoia, Volterra, dove si terranno altri procedimenti giudiziari.

Il ruolo dei comites toscani ebbe una sua importante giustificazione a questa ampia casistica delle sentenze attribuibili ai Canossa. Pensiamo ai conti Guidi, piuttosto che ai Della Gherardesca, che operavano prevalentemente nel territorio presso Volterra. Da documenti del XVIII secolo dello storico Monsignor Pacchi[3] risulta che i legami esistenti tra i Sigifredi lucchesi (appartenenti al comitatus lucensis e con tutta probabilità, alle origini in simbiosi con lo stesso Sigifredo Atto che fondò la dinastia canossiana) ed i conti Della Gherardesca si perpetuano nel corso del tempo. Addirittura troviamo una documentazione risalente al XIX secolo in cui i rapporti tra gli eredi di famiglie che ebbero nel Medioevo una affinità elettiva con i gli stessi Sigifredi e i Della Gherardesca sono evidenti.[4] I rapporti comitali, per quanto trasformati in età moderna, di fatto non si scissero mai del tutto, visti i legami successivi.

Insistere quindi sul ruolo di questi comites toscani equivale a mettere in evidenza la loro assoluta padronanza, e questo naturalmente in epoca canossiana, del territorio. Senza il loro apporto tutta l’attività giurisdizionale dei canossiani forse non avrebbe potuto aver luogo.

Un altro aspetto interessante di questo contesto giuridico è la condivisione del potere giurisdizionale di Beatrice di Lorena e di sua figlia, Matilde di Canossa, nel periodo che va dal 1069 al 1076.

Due donne suppliscono ad un ruolo così essenziale nella costruzione di quello che possiamo definire, in modo improprio, potere statuale, che un’intensa attività giurisdizionale proponeva.

Scrive infatti Margherita Bertolini: «È nell’età di Beatrice e Matilde, succedute dunque insieme al rispettivo consorte e patrigno, che è documentata una vera e propria contitolarità della giurisdizione tra madre e figlia (peraltro soggiornavano spesso, questo ricordano le fonti, nel palazzo della marchesa, sito in Lucca).

Essa è esercitata indifferentemente a Nord e a Sud dell’Appennino».

Beatrice ebbe una posizione di preminenza. Oso sottolineare che il rango ducale della stessa la ponesse nella condizione di garantire una maggiore rilevanza al ruolo svolto, suppongo, anche, a rappresentare una più ampia possibilità di definire una qualche «certezza del diritto», per usare un termine assolutamente odierno, ed improprio, per l’epoca.

Solo a Lucca, dove i procedimenti giudiziari di quest’età si tenevano sia dentro che fuori le mura della città, un missus domni imperatoris affiancava le due marchese. Si trattava del giudice Flaiperto, ben noto funzionario marchionale e regio di Lucca fin dai tempi di Bonifacio ed esponente della società cittadina lucchese, nonché capostipite di una delle più potenti famiglie della Lucca comunale. La sua presenza va messa in relazione ad una situazione nuova della città, capitale della marca.

Quale la natura giuridica che emerge dai documenti sul potere giudiziario esercitato dai Canossa?

Si trattava quasi sempre di banno regio. Formalmente i marchesi canossiani agiscono come rappresentanti dell’autorità regia, come funzionari pubblici. Del resto è proprio la storia di famiglia ad avallare questa condizione. È l’Imperatore Corrado II che attribuisce la marca di Toscana a Bonifacio. È sempre l’Imperatore Enrico III che nel 1055 congela la successione alle giurisdizioni di Bonifacio; sarà Enrico III e, dopo la sua morte, le Diete dell’Impero che dispongono nel 1056 di quelle giurisdizioni a favore di Goffredo di Lorena. È certo che dalla Corte lo stesso Goffredo riceve il ducato di Spoleto-Camerino. Quando i Canossa, soprattutto con le due marchese Beatrice e la figlia Matilde, sosterranno a spada tratta il Papato, lo faranno proprio per cautelarsi dal potere regio; ma, in questo tentativo di sopravvivenza, nella speranza di mantenere in vita l’esteso patrimonio territoriale che i Canossa erano riusciti a costituire, sta proprio la risposta al declino degli stessi Canossa. Stretti tra la morsa del Papato e quella dell’Impero, non riuscirono a sopravvivere.

Alcune domande sorgono spontanee: l’essere donna di Beatrice, ed ancor più di Matilde, senza nulla togliere alla loro grandezza politica, può aver inciso sulla mancata sopravvivenza e/o ulteriore espansione? In Inghilterra diversi secoli dopo, paradossalmente, la stessa operazione riuscì proprio ad una donna, Elisabetta I. Ma quest’ultima dovette abiurare in modo sistematico la fede cattolica. Senza contare il necessario «isolamento» che l’isola britannica riuscì a produrre per salvare la libertà ed autonomia acquisita.

La condizione sia spaziale che temporale dei Canossa era indubbiamente ben diversa da quella inglese. Tuttavia Matilde, con la sua forza belligerante, in particolare per controllare un possibile smembramento dell’unità geografica delle sue terre, combatté fino all’ultimo. E l’adozione del conte Guerra per salvaguardare questo patrimonio fa supporre che sperasse in un proseguo dell’avventura politica dei Canossa, nonostante le mire sia imperiali che papaline. Il tentativo postumo di fare di lei un’eroina in ambito cattolico, lo stesso acquisto del suo corpo da parte del Papa Urbano VIII e relativa traslazione nelle mura vaticane sono, io ritengo, una conferma a quest’ipotesi. Erano indubbiamente Matilde e tutta la sua dinastia una realtà politica scomoda, sia all’epoca del loro fulgore che nei secoli successivi. Anche la storiografia ha sempre messo in evidenza l’ondeggiare della dinastia, i suoi «ma» ed i suoi «forse», piuttosto che la sua capacità di «mascherarsi» dietro quei «ma» e quei «forse».

Il fascino dei Canossa è il fascino di un Paese, il nostro, che ancora nasconde angoli riposti di rinnovabile grandezza.


Note

1 Margherita Giuliana Bertolini, I Canossiani. La loro giurisdizione con particolare riferimento alla Toscana, in Atti del convegno internazionale di studi (Reggio Emilia, Carpineti, 29-31 ottobre 1992, Patron Editore, Bologna).

2 Palazzo regio esterno alle mura di Lucca.

3 Memorie Canossiane di Monsignor Pacchi, Biblioteca Statale di Lucca.

4 Rodolfo Pierotti – Eredità Mamiani-Della Rovere, Donoratico, XIX secolo, contenuti nei documenti dei Della Gherardesca in Firenze.

(aprile 2015)

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