Nel cuore della Toscana Longobarda: i Da Filicaja
Tra storia e leggenda

Il periodo longobardo ha lasciato un’impronta profonda nella storia d’Italia e, sebbene sia ricordato spesso come «dominazione», determinò una rinascita economica, dopo le devastazioni della Guerra Greco-Gotica. Soprattutto nel VII secolo, con Rotari, furono realizzate opere idrauliche per la regimazione dei fiumi e altre misure tese a dare nuovo impulso alle attività produttive ed al commercio. Nelle tombe dei cavalieri longobardi sono stati rinvenuti ricchi manufatti, e nelle tombe delle donne ricchi corredi che denotano la frequentazione con la cultura bizantina.

Vesti longobarde

Vesti longobarde

Intendo osservare, con questa breve descrizione, alcuni chiaroscuri della nomenclatura toscana di origine longobarda, che ha dato lustro alla nostra storia nazionale ed alla più generale storia europea. Chiaroscuri impercettibili, ma non per questo meno rilevanti.

Traggo dunque dalle vicende dei Da Filicaja (una dinastia longobarda) particolari annotazioni: «Si tramanda che un giovane nobile volterrano, Ajone, passasse un giorno intorno all’attuale Montaione, luogo in epoca alto medievale ammantato di foreste e che nel più profondo del bosco incontrasse una piccola casa abitata da una donna, Ine, che piangeva l’infausta sorte della bellissima sua figlia, Figline, rapita da Gambasso. Il giovane Ajone decise di riportare a casa Figline e per questo partì in guerra contro Gambasso. Vittorioso, ottenne di sposare Figline e fondò il paese di Monte Ajone. Nello stesso tempo, come dimora per se stesso e sua moglie costruì il castello di Figline a poca distanza dal paese. Tempo dopo i discendenti di Ajone e di Figline si trovarono a fronteggiare un esercito nemico che, dopo lungo assedio al castello, riuscì ad entrare e a distruggere il castello stesso. Dicono che tutti i discendenti di Ajone rimasero uccisi nella battaglia o scapparono e si fecero frati. Dopo tale disastro la popolazione di Montaione, smarrita la guida e la fede, persi intorno alle rovine fumanti del castello, ritornò all’idolatria e decise di sacrificare la più bella donzella del paese agli dèi affinché ristabilissero la pace e la prosperità. Quella donzella si chiamava Filli. Ma un giovane e valente cavaliere fiorentino passò da quei luoghi e, inorridito dal sacrificio umano e attratto dalla bellezza della fanciulla sottoposta a martirio, combatté contro i popolani e obbligò loro a liberare la fanciulla e a sacrificare, al suo posto, una vitella. Fu così chiamato il Sire della Vitella. La fanciulla, riconoscente al suo salvatore, gli donò il vestito rosso stracciato dai tormenti del supplizio che egli usò, con orgoglio, come sua bandiera. Filli e il Sire della Vitella si sposarono ed egli ricostruì il castello di Figline dove visse con lei innumerevoli anni. Era così innamorato della sua Filli che non faceva altro che chiamarla “Filli mia bella”, “Filli desiata”, “Filli cara…”. Il luogo si chiamò Fillicara o Filicaja così come i suoi discendenti. Questi ebbero come emblema il simbolo del vestito di Filli.

Nel 1623 Michelangelo Buonarroti il Giovane, nipote del più famoso omonimo, scrisse un poemetto, l’Ajone, che interpreta a suo modo la leggenda. Alla leggenda subentra la storia.

Ciò che sappiamo è che nel 572 dopo Cristo viene fondato il Ducato Longobardo di Lucca e che l’ultimo Duca, o il penultimo, si chiama Allone. Sappiamo anche dell’esistenza, circa contemporanea alla vita di Allone, di un luogo chiamato Mons Allonis, locato dove ora è Montaione. Possiamo intuire, senza sicurezza alcuna, che quello che sembra essere l’ultimo Duca di Lucca fonda oppure dà il suo nome ad un villaggio o più semplicemente ad un luogo disabitato che chiama Mons Allonis (Monte di Allone?). Si hanno notizie che a meno di cento chilometri di distanza dal Mons Allonis, alla fine dell’XI secolo, una famiglia chiamata Tebaldi o della Vitella o d’Aquona (dal luogo dove vivevano, il castello di Quona) domina la città di Pontassieve, ad Est di Firenze. Questa famiglia prenderà poi il nome di Filicaja (felceto, cioè area coperta da felci) dal toponimo originario dell’area coperta dal castello, detta anche Costa Filicaja. I Tebaldi (o della Vitella) cambiarono nome in Filicaja coll’avvento in Firenze della Repubblica per apparire non nobili e quindi per poter ricoprire cariche pubbliche. Più o meno dello stesso periodo sono le prime notizie di un castello chiamato Figline, vicino a Montaione, sito dove ora è Villa Filicaja. Detto castello era di proprietà della famiglia Figlinesi ed era il risultato della ricostruzione di un fortilizio tardo-romano. Il nome Figline sembra provenire da “figurinae”, “figurine”, indicante il luogo dove i Romani trovarono molte statuette, appunto figurine, etrusche. Attualmente Figline è chiamata una casa colonica quattrocento metri a Sud della Villa, fatto questo che origina una certa confusione. Nel Quattrocento i Da Filicaja, ormai famiglia fiorentina, sembrano avere un certo interesse per Montaione tanto che a metà secolo Giovanni da Filicaja acquista dalla famiglia Figlinesi il castello di Figline.

Due cugini, Alessandro (1429-1512) e Antonio da Filicaja (1455-1526) si mettono particolarmente in luce a Firenze ricoprendo moltissime cariche pubbliche. Alessandro si interessa soprattutto di amministrazione locale e centrale dello Stato, mentre Antonio sembra più attratto dalla direzione delle operazioni belliche, soprattutto sul mare. Più volte è incaricato di difendere la costa a Sud di Livorno dalle incursioni dei Pisani. Nel 1509 Antonio da Filicaja e Averado Salviati sono inviati dal Governo Fiorentino ad assediare Pisa. L’8 giugno dello stesso anno Antonio da Filicaja, Averado Salviati e Niccolò Capponi entrano vincitori seguiti dalle loro truppe a Pisa ed i loro nomi, a perpetuo ricordo della loro azione, vengono scolpiti su di una lastra di marmo all’ingresso di Palazzo Pretorio. Da segnalare che nel luglio di sei anni prima il Governo Fiorentino aveva invitato Leonardo da Vinci, Gerolamo da Filicaja e Alessandro degli Albizzi a studiare come poter deviare il corso dell’Arno per impantanare le zone limitrofe a Pisa; allo studio non seguirono i fatti, non sappiamo se per eccessivo costo, impossibilità, mutate condizioni politiche o altro. Tra la metà e la fine del Cinquecento la famiglia Da Filicaja investe molto in commerci con le Americhe. È di questo periodo l’acquisto di palazzi e magazzini a Lisbona, aiutati nell’investimento da un accordo tra Francesco I de’ Medici e Re Sebastiano del Portogallo in cui alcuni mercanti fiorentini, tra cui i Filicaja, ottengono una concessione privilegiata per l’importazione di pepe ed altre spezie. Tuttavia l’unificazione voluta dall’Imperatore Filippo II pochi anni dopo (1580) dei Regni del Portogallo e di Spagna fa sì che l’importanza commerciale di Lisbona diminuisca notevolmente fino a obbligare i Da Filicaja a chiudere le attività portoghesi. Così Braccio da Filicaja (1575-1610), arrivato giovanissimo in Portogallo in pieno splendore dei commerci, da adulto si trova a doversi inventare un mestiere. A vent’anni sbarca in Brasile dove è nominato Governatore da Francesco de Sousa, «Ingegnero Maggiore» con il compito di fortificare i porti, costruire alcune fortezze e restaurarne altre. Contemporaneamente è nominato Capitano d’Artiglieria con il compito di addestrare i bombardieri e di rifornire di armi le basi militari. In questo periodo infatti, dopo l’annessione del Portogallo alla Corona Imperiale e la sconfitta della flotta invincibile di Filippo II (l’Invincible Armada), il Brasile è soggetto a continue scorrerie inglesi ed al lento insediamento dei coloni francesi nella zona a Nord di Pernambuco. Nei dieci anni seguenti Braccio ricopre diversi incarichi in Brasile, dalla conquista, al seguito di Pietro Coelho de Sousa, dei territori tra il fiume Maranhao e il Rio delle Amazzoni, alla costruzione della chiesa di Monte Serrat (Santos), al tentativo di esplorazione in vascello della foce del fiume Maranhao. Questa ultima operazione non riesce e, complice il cattivo tempo, il vascello si perde e approda fortunosamente nell’odierno Messico. Da lì Braccio per qualche motivo non chiaro, forse per lo scorno o semplicemente per nostalgia di casa sua a Lisbona, fa vela verso l’Europa. Lo stesso anno in cui Braccio è a Lisbona (1608), Filippo III nomina Francesco de Sousa, già Governatore del Brasile, Sovrintendente alle miniere. Questi richiede nuovamente i servigi di Braccio affinché costruisca alcune fortificazioni ed altre ne ripari. Così parte di nuovo per il Brasile dove non arriverà mai. Secondo alcuni, ma non è verificato, viaggiando su vascello battente bandiera imperiale, fu intercettato dagli Inglesi e, quindi, catturato e ucciso; secondo altri, più semplicemente, fu colto da tempeste; quello che è certo è che nell’Atlantico si perdono le sue tracce.

Lontana dalle avventure brasiliane di Braccio, una parte della famiglia Da Filicaja si gode gli ozi di Al Filicaja, vicino a Montaione. È qui che Michelangelo Buonarroti il Giovane, nipote del grande artista, ospite dei Da Filicaja, compone nel 1623 il poemetto Ajone, che ricostruisce la leggenda di Ajone e Figline, Gambasso e Varna, Filli e il Sire della Vitella. Alla fine del poemetto, in ringraziamento per l’ospitalità, il Buonarroti afferma che nel palazzo dei Da Filicaja a Montaione “si sguazza, e mangia altro che ghiande / e d’un buon vino vi beon le pile”.

Nel 1642 nasce a Firenze Vincenzo da Filicaja, che qualche decennio più tardi godrà di fama e lustro come poeta. Più che a Firenze, Vincenzo dimorò ad Al Filicaja, che egli chiamava, vezzosamente, ancora col vecchio nome di Figline. Quarantenne, compose e pubblicò le sue prime opere poetiche che lo resero celebre grazie anche al sodalizio culturale e all’amicizia con la Regina Cristina di Svezia, ormai Cattolica e dimorante in Roma. Vincenzo prese le distanze dal “manierismo” ed ebbe maggior interesse per i temi sacri, filosofici o politici. Si ha notizia che nel 1687 la Regina di Svezia aiutò il poeta nel pagamento della retta del Collegio “Tolomei” per il figlio Braccio. In effetti il poeta visse tra restrizioni economiche, essendo indeciso ad accettare cariche pubbliche per paura di perdere la propria libertà; e Cristina fu prodiga di aiuti. Dopo la morte di Cristina, Vincenzo è costretto a cercarsi fonti di aiuto concrete e riesce a far accettare il proprio figlio Braccio come paggio alla Corte Medicea. Tuttavia Braccio morì giovane ed il poeta si convinse ad accettare la carica di Senatore “non per ambizione, ma per bisogno”. Verrà poi nominato anche Commissario di Volterra e poi di Pisa. Morì a Firenze nel 1707 di “mal di petto” e fu sepolto nella cappella detta di San Giuliano nella chiesa di San Pier Maggiore. Quando poi, alla fine del Settecento, la chiesa fu demolita, fu posta una lapide a sua memoria nella chiesa di Santa Croce».

La descrizione potrebbe continuare con l’elencazione dei membri della celebre casata fino ad arrivare ai giorni nostri. Io mi fermo qui nel rinverdire i fasti di personaggi impegnati su più fronti perché desidero mettere in rilievo l’origine della famiglia nei suoi legami con la terra di Lucca, quella della Tuscia Longobarda, che forse mai del tutto si persero.

Vincenzo da Filicaja fu amico dello scienziato Francesco Redi. Fu membro dell’Arcadia col nome di Polibo Emonio – componendo poesie di argomento patriottico e politico –, e dell’Accademia della Crusca. Le relazioni sociali che mantenne in virtù dell’influenza del proprio casato e di quello della moglie, Anna Capponi, e la sua profonda amicizia con la Regina Maria Cristina di Svezia, spiegano sufficientemente le sue amicizie letterarie con Megalotti, Menzini e Redi. A quest’ultimo il nostro inviò un sonetto in data 30 dicembre 1693, composto per la Granduchessa Vittoria della Rovere (Pesaro 1622-Pisa 1694), moglie di Ferdinando II de’ Medici. Lo stesso Redi si trova all’epoca alla Corte Granducale Toscana nelle vesti di scienziato e poeta.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’ingegnere Rodolfo Pierotti di Lucca (1845-1909), la cui famiglia ebbe stretti legami con la famiglia dei Capponi di Firenze, pubblicò un breve saggio dal titolo Eredità Mamiani della Rovere-Donoratico probabilmente presente nelle carte dei Della Gherardesca. Dico probabilmente perché al momento non sono riuscita a rintracciarla se non come riferimento generico in rete. L’ingegnere era un eroe di Goito (Terza Guerra d’Indipendenza), deputato per sei legislature nel Parlamento del neonato Stato Unitario Italiano.

Lo scritto sull’eredità Mamiani della Rovere è riferito ad un matrimonio che nel Cinquecento si celebrò fra membri della famiglia Della Gherardesca di Donoratico e i Mamiani Della Rovere. Nella chiesa di San Lorenzo in Castagneto Carducci, di proprietà dei conti Della Gheraresca, alcuni membri della famiglia dell’ingegnere Rodolfo furono dei religiosi che funsero da insegnanti e musicisti, presso i conti di Donoratico. Nel Cinquecento dunque sia i Granduchi Toscani che i Da Filicaja si unirono con vincoli matrimoniali ai Della Rovere. Ma anche ai Capponi, vicini ai congiunti del citato Rodolfo. Insomma, viene da pensare che i rapporti tra queste famiglie di origini longobarde non si scissero mai nel corso del tempo.

Ed in effetti in provincia di Lucca, non lontano da Castelnuovo e dalla Benabbio dove è sepolto l’ingegnere eroe di Goito, c’è un paese che si chiama anch’esso Filicaja. Solo semplici coincidenze? Davvero i Da Filicaja sono gli «eredi» del Duca Longobardo Allone?

Posso solo riferire che per la prima volta questo paesino di Filicaja, in provincia di Lucca, viene menzionato nel 1175 come possedimento delle monache di Santa Giustina in Lucca, ricordato con Bolla Papale di Alessandro III nel 1168. Come recentemente menzionato nel convegno «Toscana in Cammino», tenutosi in Firenze a Palazzo Strozzi Sacrati, la «Romea Strata Longobardia» medievale, che si univa attraverso il Frignano alla più nota «Francigena», permise di unire l’Italia, in questo caso la Toscana con il Friuli ed il Patriarcato di Aquileia, in epoche in cui i rapporti tra le varie parti della Penisola furono più serrati di quanto spesso possiamo immaginare. Davvero l’Unità della Penisola parte da lontano. I Della Gherardesca, i Capponi, i De’ Medici, i grandi Leonardo e Michelangelo: in tali vicende sono citati alcuni episodi e personaggi essenziali delle nostre «historiche questioni»; e dunque, indirettamente, i Da Filicaja piuttosto che il Duca Allone ci proiettano nell’intera nostra storia nazionale. Una curiosità: Audrey Hepburn, la celebre attrice interprete di Sabrina e Colazione da Tiffany, entrò a far parte del «mito» sposando in seconde nozze il medico italiano Andrea Dotti, che era un erede della celebre casata dei Da Filicaja.

(marzo 2016)

Tag: Elena Pierotti, Guerra Greco-Gotica, Rotari, Da Filicaja, Ajone, Michelangelo Buonarroti, Montaione, Niccolò Capponi, Albizzi, Portogallo, Spagna, Francesco de Sousa, Filippo II, Invincible Armada, Maranhao, Rio delle Amazzoni, Figline, Cristina di Svezia, Corte Medicea, Pisa, Firenze, chiesa di Santa Croce, Tuscia Longobarda, Granduchessa Vittoria Della Rovere, Francesco Redi, Arcadia, Polibo Emonio, Pierotti Rodolfo, Mamiani Della Rovere, Donoratico, San Lorenzo, Castagneto Carducci, Della Gherardesca, Goito, Alessandro III, Patriarcato di Aquileia, Palazzo Strozzi, Via Francigena, Leonardo, Michelangelo, Capponi, de’ Medici, Audrey Hepburn, Colazione da Tiffany, Andrea Dotti.