L’errore di Dante
Il confine orientale d’Italia e la realtà istriano-dalmata

La pubblicistica contemporanea italiana, con riguardo particolare a giornali e riviste orientati in senso «nazionale» ed a quelli del movimento esule, si compiace di citare con ricorrente frequenza i celebri versi di Dante: «Sì com’a Pola presso del Carnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini bagna» (Inferno, Canto IX, 113-114). Ciò, nell’evidente e commendevole intento di trarre dal sommo Poeta uno spunto che suffraghi ulteriormente, se per caso ve ne fosse bisogno, l’italianità di quella terra martoriata. Tutto questo, peraltro, non esime dall’obbligo extra-letterario di una nuova lettura oggettiva e ragionevolmente critica del famoso distico.

Dante, nella fattispecie, propone una delle tante similitudini che ricorrono nel suo grande poema e mette in evidenza come nel girone degli eretici, dove si trovava assieme a Virgilio in quel momento del «viaggio» ultraterreno, esistesse una quantità di sepolcri simile a quella istriana: infatti, secondo un antico cronista a lui familiare, l’Istria si caratterizzava per «grande moltitudine di arche funerarie» perché era invalso l’uso di portarvi le spoglie dei defunti anche da fuori, e persino dalla Slavonia, onde seppellirle vicino al mare, simbolo di eternità.

A prescindere dalle pene che in quei sepolcri erano riservate agli eretici, ininfluenti ai fini della similitudine, giova rilevare che, da buon conoscitore della geografia ed attento viaggiatore, Dante manifesta una sicura certezza nel collocare il confine territoriale italiano all’altezza del golfo di Fiume; ma nell’esegesi contemporanea deve essere altrettanto chiaro che in una stagione ancora medievale come quella del 1.300 poteva fare riferimento ad una conoscenza i cui presupposti andavano cercati nella suddivisione amministrativa romana, vecchia di un millennio. In realtà, quando Dante scriveva, l’esperienza della Serenissima era relativamente giovane, ma ormai consolidata soltanto «in loco» e l’idea dell’Adriatico come mare veneto non era giunta a completa maturazione oltre i limiti della Repubblica di San Marco, sebbene quella del suo carattere latino fosse patrimonio comune, in specie per le memorie tardo-romane e bizantine.

Sempre legato a concezioni arcaiche, Dante non poteva pensare all’Italia come ad uno Stato sovrano nel senso moderno della parola, ma tutt’al più, quale realtà civile e linguistica priva di reale ed efficace valenza politica: non a caso, in versi ancora più celebri l’avrebbe definita «di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello» (Purgatorio, Canto VI, 76-78).

Sono passati sette secoli da quando il grande Esule scrisse quei versi su «Pola presso del Carnaro» che secondo logica debbono essere interpretati alla luce dell’epoca e non certo in chiave attuale. Le mutazioni occorse sono davvero epocali: basti pensare al mezzo millennio di ulteriore presenza della Repubblica di Venezia in Istria e Dalmazia; alle grandi Rivoluzioni ed alla diffusione dell’idea di nazionalità; alla forza dirompente dell’irredentismo non soltanto giuliano, ma anche dalmata. Proprio per questo, è motivo di sorpresa, non solo dal punto di vista culturale, che si continui a considerare Dante come interprete quasi dogmatico di una verità storica largamente superata e quindi anacronistica.

È vero che nell’attuale prospettiva europea le cose sono ulteriormente cambiate, ma è parimenti vero che, con buona pace di quanti sostengono che i confini sono caduti, scambiando per tali le garitte della polizia di frontiera, esistono tuttora divisioni profonde, a cominciare da quelle tra Slovenia e Croazia (non a caso, questi due Paesi ex Jugoslavi hanno dovuto ricorrere all’arbitrato internazionale per dirimere le loro controversie in materia di acque territoriali e definizione del confine terrestre). Tornando a Dante, è surreale che il suo pensiero possa essere assunto, alla stregua di un vero e proprio vangelo, come prova dell’italianità istriana, quasi per sottintendere che quella della Dalmazia e delle Isole è un’invenzione postuma dei nazionalisti, o meglio dei patrioti; nel nuovo millennio, l’irredentismo è diventato un movimento essenzialmente culturale, ma non per questo meno significativo sul piano etico.

Intanto, nel sito ufficiale della Municipalità di Pola è possibile leggere un’introduzione storica bilingue, italiana e croata, da cui si apprende che nel secolo scorso la struttura demografica fu interessata da forti modifiche dovute ad opposti movimenti di emigrazione ed immigrazione e che dagli anni Cinquanta in poi la città fu caratterizzata, grazie al turismo, da un vivace sviluppo economico: nessun accenno a fenomeni come le foibe e le analoghe uccisioni indiscriminate (almeno 16.500 martiri come da testimonianza di Luigi Papo de Montona); la strage di Vergarolla provocata dalla polizia politica di Tito nell’agosto 1946 (con oltre cento vittime); e l’Esodo dei Polesi, tanto maggioritario, se non anche plebiscitario, che quanti scelsero di non partire furono meno dell’8%.

Quel testo dimostra che i Croati, e più generalmente gli ex Jugoslavi, ad oltre 30 anni dalla scomparsa di Tito, fanno sempre il loro mestiere e sanno farlo bene, mentre gli Italiani continuano a trastullarsi, fra l’altro, con interpretazioni dantesche piuttosto opinabili.

Il «grande Esule» non vide giusto quando scrisse che il Carnaro «chiude» l’Italia, ma il suo errore, storicamente comprensibile, è comunque marginale rispetto a quello di coloro che si ostinano a citare Dante come depositario di una verità storicamente obsoleta, tanto da essere diventata, settecento anni dopo, un vero e proprio falso. Sia consentito di aggiungere che anche per questo egli espresse una verità oggi più valida che mai, quando pronunziò la celebre invettiva nei confronti di un’Italia ridotta al rango di «bordello» e governata da ignoranza, malcostume e diffuse tirannidi. Ecco quello che del sommo Poeta si dovrebbe più propriamente e significativamente citare in termini di contemporaneità.

C’è di più. Quando Dante intraprese il percorso che gli avrebbe fatto smarrire «la diritta via» nei meandri dalla «selva oscura» di cui ai primi versi della Commedia, erano già accaduti, e da parecchio tempo, fatti incontrovertibili nella realtà adriatica. Basti rammentare che già nell’anno 1.000 il Doge Pietro Orseolo, dopo aver combattuto vittoriosamente contro gli Slavi, era stato insignito del titolo non solo onorifico di «Dux Dalmatiae», cosa che venne ribadita nel 1.058 a Spalato con un altro Doge della Serenissima, Domenico Selvo. In altri termini, nel 1.300 era già passata parecchia acqua sotto i ponti da quando il «termine» dantesco si era spostato verso Oriente in misura più che significativa.

Vale la pena di aggiungere che tra la fine del Duecento ed i primi decenni del secolo successivo (epoca che coincide con la vita di Dante), furono parecchie le città adriatiche affidatesi a Venezia, e che poco dopo, la città di San Marco avrebbe acquisito la denominazione davvero esaustiva, oltre ogni residua disputa o resipiscenza, di «Maris Adriatici dominatrix».

In conclusione, i versi di Dante non debbono essere strumentalizzati alla stregua di ideologie od interessi di parte e la dimensione del suo errore non preclude la congruità del rammentare che, se non altro, egli aveva posto il confine italiano sul Golfo del Carnaro, mentre al giorno d’oggi quasi tutta l’Istria appartiene agli Stati di Slovenia e Croazia sorti sulle rovine della ex Jugoslavia: purtroppo, alla Conferenza di Parigi del 1946, in cui vennero imposte le condizioni di una pace iniqua, l’Italia non aveva plenipotenziari come l’Alighieri, ma coloro che Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando avrebbero indicato ai posteri quali colpevoli di un’ingiustificata «cupidigia di servilismo» e che Dante avrebbe certamente collocato in una bolgia dell’Inferno.

Il sommo Poeta italiano resta tale, ma la sua immortale gloria letteraria non deve costituire una sorta di alibi per conferire motivi di improbabile attualità ad interpretazioni politiche conformi ad una logica inevitabilmente medievale.

(febbraio 2014)

Tag: Carlo Cesare Montani, Italia, Medioevo, Dante, Carnaro, Fiume, pola, Istria, Repubblica di San Marco, Venezia, Dalmazia, irredentismo, italianità, Slovenia, Croazia, foibe, esodo, Vergarolla, Pietro Orseolo, Domenico Selvo.