C’erano una volta una colonna, un capitello e dei sarcofagi nelle basiliche cristiane
Le motivazioni ideologiche e politiche presenti alla base del riuso degli «spolia»

Non sempre l’uomo ha guardato al passato in modo negativo, non sempre lo ha considerato come qualcosa da cancellare, spesso lo ha considerato come qualcosa a cui richiamarsi e ispirarsi soprattutto nelle complesse fasi di passaggio. Ciò successe già durante il lungo Impero Romano quando gli Imperatori si richiamavano ai loro predecessori, ma sul finire dell’Impero e soprattutto con l’affermarsi del Cristianesimo come religione dominante il richiamarsi e il riusare il passato assunsero un significato nuovo. Testimoni involontari di questa fase di passaggio sono gli «spolia» i quali raccontano il complesso passaggio dal mondo pagano a quello cristiano che, come spesso succede in questi particolari momenti storici, innescò un complesso processo di assimilazione e di riadattamento della cultura antica da parte di quella cristiana.

Tale fenomeno è stato sempre presente in ogni epoca, ma nella fase di passaggio tra la fine dell’Impero e l’inizio del dominio cristiano assunse un significato particolare che, malgrado i recenti studi e le scoperte archeologiche, viene sempre poco menzionato o viene liquidato come una forma di risparmio economico da parte degli uomini medievali i quali, a causa della crisi economica e dell’instabilità politica tipica di quei secoli, preferivano «estrarre» da palazzi e necropoli in disuso i materiali necessari per le nuove costruzioni, in realtà, alla base del loro riutilizzo c’erano motivazioni ideologiche che, come un filo rosso, collegano l’Evo Antico ai giorni nostri.

In questo articolo cercherò di evidenziare proprio alcuni aspetti del riuso che potrebbero servire a comprendere il perché elementi appartenenti al mondo pagano vennero usati per nobilitare le basiliche e gli edifici civili cristiani.

Per prima cosa va detto che i concetti di «riuso dell’antico» e di «memoria dell’antico» sono stati introdotti negli anni ’80 del Novecento, ciò permise di riconsiderare il periodo tardo antico e medievale (inteso Alto e Basso Medioevo) in modo unitario e non di frattura con il mondo classico poiché, alla base del loro riuso, c’era una condivisione culturale e ideologica da parte di una società e di un potere che vedevano negli «spolia» i testimoni di quei valori necessari e utili a garantire stabilità, unità sociale e politica in un complesso periodo storico.

Gli «spolia», chiamati anche «fragmenta docta», altro non sono che tutti quegli elementi architettonici classici – colonne e capitelli – ricollocati in nuovi edifici con le medesime funzioni, così come per tutti quegli elementi antichi riutilizzati sia in modo funzionale sia estetico – transenne, lastre ricavate da epigrafi o sarcofagi tagliati, busti, statue, gioielli, parti di edifici, eccetera – riadattati secondo le esigenze dei committenti cristiani.

Le motivazioni ideologiche e politiche presenti alla base del loro riuso sono presenti già nel Tardo Antico e un interessante promotore del reimpiego fu l’Imperatore Costantino che costruì il suo Arco di Trionfo a Roma riutilizzando elementi provenienti da altri monumenti perché conferivano «auctoritas» e gli garantivano un ricollegamento politico e culturale con la gloriosa Roma Imperiale, legittimando visivamente il suo potere come nuovo e unico Imperatore nel rispetto, però, degli antichi valori che avevano fatto grande Roma.

La visione politica costantiniana e la sua idea di riutilizzare parti di monumenti antichi per conferire «auctoritas» al potere verrà ripresa anche dalla nascente Chiesa Cristiana che vide nei vari elementi architettonici pagani, soprattutto colonne e capitelli riutilizzati per dividere le navate interne, un mezzo ideologico per conferire «dignitas» e «decus» («dignità» e «decoro») all’ambiente perché l’intento dei Pontefici era quello di presentarsi come figure di congiunzione, come continuatori e sostenitori di quella politica unificatrice che rese grande la Roma pagana ma in nome della nuova fede.

Insomma, la Chiesa attuò quel processo di assimilazione che i Romani fecero nei confronti dell’Ellade (l’antica Grecia) intorno al II secolo avanti Cristo: adattò alla nuova fede il patrimonio figurativo e letterario del mondo pagano tanto da conservarlo, nonostante gli alti e bassi della storia, nei monasteri.

La necessità di richiamarsi alla Roma Costantiniana, spinse molti Re Barbari ad usare gli «spolia» per legittimare il loro nuovo status politico. Tale fenomeno continuò, in modo più o meno esplicito, per tutto il Medioevo, un esempio è la «Renovatio Carolingia» («Rinascita Carolingia»).

Concretamente il riuso consisteva nell’estrarre da edifici e necropoli non più utilizzati, quegli elementi architettonici e artistici necessari per le nuove costruzioni e adattarli al gusto dei nuovi committenti cristiani. Il riuso interessava non solo singoli elementi ma anche intere porzioni di edifici che vennero riqualificati, un esempio è il Pantheon a Roma, per rispondere a nuove esigenze di culto o di potere. Ciò comportò, da parte delle maestranze tardo antiche e medievali, un continuo e costante confronto con le forme e le tecniche del passato, iniziò, così, un lungo dialogo tra passato e presente, un dialogo sia pratico sia ideologico tra l’Evo Antico e il Medioevo che servirà come solida base per il Rinascimento.

Il fenomeno del reimpiego era così esteso che nacque un fiorente commercio dove, nonostante la forte presenza di «vestigia antiche», la domanda di «spolia» superava l’offerta tanto da spingere all’imitazione: nacquero maestranze specializzate per imitare le tecniche antiche necessarie per riadattare i pezzi e renderli vetusti e soddisfare la richiesta dei committenti.

Un interessante esempio di neoantico è la porta San Ranieri, nel Duomo di Pisa, un battente è un riuso, l’altro è per tecnica, forma e iconografia antichizzato. A voi il piacere di scoprire le differenze.

Anche i sarcofagi sono stati spesso riadattati o meglio reinterpretati in chiave cristiana, si potrebbe dire che sono tra gli oggetti su cui il suddetto dialogo ha dato il meglio di sé, un esempio è il sarcofago per la sepoltura del giudice pisano Giratto, realizzato nel 1176 dallo scultore Biduinom, è un neoantico sarcofago strigilato.

Ci sono molti esempi anche di sarcofagi riadattati e riusati come altari, per citarne qualcuno, nella chiesa di San Michele a Corte a Capua, fu usato come altare fino al grande restauro eseguito dal Chierici nel 1934, altro esempio è il sarcofago-altare presente nella chiesa dei Santi Rufo e Carponio a Capua, fortunatamente, non ha subito trasformazioni sostanziali tanto che durante i recenti lavori di restauro sono stati scoperti, sotto il sarcofago, quattro cinerari di età imperiale usati per conservare le reliquie.

Se guardiamo attentamente nei nostri centri storici ci sono moltissimi esempi di «spolia», li possiamo ammirare in tutte quelle chiese paleocristiane e medievali che non hanno subito profonde trasformazioni nel corso della storia: a Napoli, ad esempio, troviamo delle colonne romane in Santa Restituta nel Duomo, nella chiesa di San Giorgio Maggiore, nella facciata di San Paolo Maggiore (a memoria dell’antico tempio dei Dioscuri) e nella torre romanica di Santa Maria Maggiore. A Roma basta guardare attentamente tutte quelle bellissime chiese come, per citarne una a caso, Santa Maria Maggiore o Santa Sabina.

Come accennato più volte, questo continuo richiamo all’Evo Antico porterà durante tutto il Medioevo a varie rinascite culturali, oltre alla già citata Rinascita Carolingia, un nuovo rinnovamento culturale sarà promosso da Federico II e con questa complessa figura stiamo quasi alla fine dei cosiddetti «secoli bui», non mancherà molto all’Umanesimo che fungerà da preambolo per il Rinascimento.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(maggio 2017)

Tag: Annalaura Uccella, Medioevo, gli spolia, riuso dell’antico, fragmenta docta, auctoritas, Rinascita Carolingia, memoria dell’antico, Italia medievale, Duomo di Pisa, Santa Maria Maggiore, Federico II, secoli bui, Santa Sabina.