Valori umani ed intelligenza divina
Divagazioni letterarie nell’ambito di una suggestiva simbologia lapidea

Nella definizione catechistica, Dio è l’Essere «perfettissimo» Creatore e Signore del cielo e della terra – e quindi dell’universo intero – la cui Intelligenza assoluta ispira quelle angeliche e si trasmette, pur nei limiti dovuti alla «finitudine» della creatura, anche all’uomo. Si tratta di un motivo tradotto in espressioni letterarie di varia data che è reperibile, per citare un primo esempio significativo, nel poemetto anonimo scritto in Italia tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, e dotato di un titolo emblematico: L’Intelligenza (intendendo per tale soprattutto quella divina che è matrice e causa di tutte le altre). Si tratta di un’opera già attribuita a Dino Compagni, a suo modo unica anche per i continui riferimenti alle pietre, le cui varietà sono assimilate – in dettagliata progressione – alle Virtù teologali ed a quelle cardinali.

Questa singolare e suggestiva catalogazione lapidea si basa su notizie storiche e nozioni scientifiche rivenienti dalle tradizioni elleniche e latine, come quelle relative ai «lapidari» cui sono dedicate ben 42 strofe della composizione poetica in nona rima, con riferimento ai diversi requisiti magici, simbolici e terapeutici della pietra, il materiale più antico del mondo; e nello stesso tempo, al suo ruolo di arricchimento spirituale suggerito dalla riflessione circa i propri caratteri strutturali ed estetici. Ciò, avuto riguardo alla traduzione effettuata da Zucchero Bencivenni sul testo latino di Marbodo, il celebre Arcivescovo di Rennes scomparso nel 1123, che a sua volta aveva tradotto il «lapidario» greco di Evace.

Qualche esempio? Lo zaffiro, definito «gemma delle gemme», è una pietra che «conserva la virtù che non vien meno» mentre il diaspro «a chi partorisce menoma il dolore». A sua volta, l’alettoria «conserva l’amistà vecchia e la nova» e non trascura effetti sentimentali di sicura suggestione popolare, perché «se femmina la porta» suscita l’amore. Le pietre, in buona sostanza, possono essere strumenti di cura, tanto spirituale quanto materiale.

L’elenco delle proprietà quasi taumaturgiche del marmo e della pietra, tramandato da una fertile tradizione orale, potrebbe continuare. Al di là degli esempi, ciò che preme mettere in luce è come in questa fantasia letteraria un intelletto massimo quale il divino non si ponga su livelli di superiore trascendenza mistica, conforme ad interpretazioni precedenti sempre diffuse nell’epoca in questione, ma scenda ad illuminare la realtà contingente dell’uomo, nobilitandola e rendendola partecipe di valori espressi in maniera empirica, e peraltro conforme allo «spirito del popolo». È il caso dei molteplici riferimenti lapidei, ma non per questo meno significativi quale primo approccio ad una funzione terapeutica a tutto campo, contraddistinta da nuovi spunti immanenti, preludio della filosofia razionalista fondata sulla centralità dell’uomo.

Le pietre vi assumono funzioni con valenza transeunte, ma nel quadro di un «trattamento» morale ancor prima che fisico, in cui sembra rivivere l’antico auspicio della «mens sana in corpore sano». In questo senso, sebbene apparentemente fredde ed inanimate, anch’esse fanno parte di una creazione finalizzata al perseguimento del bene, nel quadro di un’Intelligenza superiore che esprime Amore per le proprie creature, traducendo in pratica gli insegnamenti e gli imperativi «rivoluzionari» del Nuovo Testamento.

Si tratta di un Amore davvero universale: del resto, non è forse vero che sin dall’antichità era stato introdotto l’uso di erigere monumenti funerari anche in ricordo degli animali, o per lo meno di quelli ritenuti nobili, come si può verificare visitando il «lapidario» di Verona ed ammirandovi la stele marmorea realizzata da un nobile romano per onorare la memoria del proprio cavallo?

L’uso della pietra in chiave memorialistica, destinato ad integrare quello di cura dello spirito, non costituisce un fatto eccezionale, ma si colloca ben oltre l’importante esperienza del Medio Evo che – non meno di altre epoche – vide la pietra nel ruolo prioritario di protagonista dell’architettura religiosa e dell’arte plastica, sulla scorta di tradizioni molto antiche: erano di marmo le Tavole della Legge consegnate a Mosè ed erano di onice, come si narra nella Bibbia, le colonne del primo altare edificato per ordine del Signore.

In tempi più recenti, non meno coinvolgente sarebbe stata l’ispirazione lapidea presente nella letteratura italiana, ed in modo particolare in quella romantica: basti pensare, fra i tanti esempi, alle «egregie cose» indotte dalle riflessioni di Vittorio Alfieri o di Ugo Foscolo davanti alle tombe fiorentine di Santa Croce, senza dire che nell’opera poetica di Gabriele d’Annunzio il marmo, collocandosi nella proiezione universale collegata alle sue caratteristiche di resistenza e di durata, sarebbe diventato «sostanza delle forme eterne».

(agosto 2018)

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