Le Crociate: scontro di civiltà?
Nonostante la Guerra Santa, negli Stati Crociati si creò un clima di coesistenza tra le due fedi

Nella mentalità popolare l’epoca medievale è vista come un periodo dominato dal fanatismo e dall’oscurantismo religioso, associato spesso all’immagine in cui eserciti cristiani e musulmani uccidevano i propri nemici in nome del loro Dio. Questa visione, pur contenendo alcuni elementi di verità, non rispecchia tuttavia a pieno la realtà storica. È vero che quando ebbe inizio l’espansione araba nel VII secolo, questa ebbe una giustificazione religiosa nella dottrina della «jihad», intrapresa per espandere il «territorio della fede»; ed è anche vero che alla base delle Crociate vi era una forte visione religiosa: l’invasione musulmana venne infatti percepita dal mondo cristiano come un castigo voluto da Dio per punirli dei loro peccati e vi era la convinzione che, se i fedeli si fossero pentiti, sarebbe stato ristabilito lo «status quo ante». Questa prospettiva non venne indebolita dal fatto che Gerusalemme, la città santa, era rimasta per quattro secoli sotto la dominazione islamica in quanto vi era la credenza che Dio avesse deciso in quel momento, per bocca del Pontefice, di porre fine a quello «scandalo»[1].

Tuttavia, sarebbe scorretto immaginare Cristiani e musulmani situati in due campi contrapposti in continua guerra tra di loro dato che, nella realtà, si ebbero trattati di amicizia e persino alleanze per combattere contro i loro compagni di fede, e questo accadde anche ai tempi delle Crociate[2]. Del resto, l’avanzata dei Crociati fu favorita dal fatto che le Nazioni Musulmane fossero in guerra tra di loro: prima che i Cristiani raggiungessero Gerusalemme, la città venne conquistata dai Fatimidi d’Egitto, la cui ostilità verso i Turchi era tale da spingerli a chiedere ai Crociati un’alleanza[3]; e guerre vi erano persino tra gli stessi governatori turchi in Palestina. Né migliore unità vi era tra i Cristiani dato che ben noti sono i contrasti tra i Crociati e i Bizantini[4]: a Costantinopoli si ebbero diversi scontri tra Alessio Comneno e alcuni condottieri europei che mal sopportavano l’idea di prestare un giuramento vassallatico all’Imperatore, e dopo la battaglia di Ascalona i Crociati ritrovarono nell’accampamento egiziano delle lettere dell’Imperatore Alessio che esortava il Visir a non mantenere le promesse che aveva fatto ai Crociati[5].

Contrariamente all’immaginario comune, durante il periodo dei Regni Crociati in Palestina si era andata col tempo sviluppando una cultura d’intesa e di dialogo con l’ambiente musulmano, come riferiscono diversi resoconti dell’epoca come quello dell’Emiro di Shaizar, Usama ibn Munquidh, vissuto nel XII secolo, che ebbe a visitare per motivi diplomatici il Regno di Gerusalemme e che strinse amicizia con alcuni Templari. Molti guerrieri e pellegrini di quegli anni provenienti dall’Europa rimasero scandalizzati per i costumi di quella società d’oltremare considerata corrotta e quasi islamizzata (per contro, i Crociati di Palestina giudicarono i loro confratelli europei rozzi e pericolosi, e non di rado preferirono giungere ad un accordo diplomatico con gli «infedeli» piuttosto che contare sull’aiuto militare dei loro correligionari esteri). Non è forse un caso che una diceria circolante nel Duecento e nel Trecento contro i Cavalieri Templari (che fu utilizzata da Filippo IV di Francia nel processo intentato contro l’Ordine) fu appunto quella di filoislamismo[6].

Un elemento importante da sottolineare è che la Crociata non venne attuata per effettuare delle conversioni forzate e anzi, negli Stati Latini, i fedeli non cristiani ebbero a subire un trattamento generalmente migliore di quello subito in Europa dalle minoranze religiose. I musulmani ottennero infatti una condizione simile a quella dei «dhimmi» nelle terre islamiche e venne infatti consentito loro di continuare a praticare la loro fede, di avere le loro scuole e i loro tribunali e di andare in pellegrinaggio nei loro luoghi di culto. Agli islamici venne permesso inoltre di mantenere alcune moschee, altre furono invece trasformate in chiese (in molti casi si trattò di un ripristino perché molte moschee erano state delle chiese prima dell’invasione islamica); mentre alcuni edifici vennero assegnati sia ai Cristiani che ai musulmani. Nei confronti di questi ultimi vennero anche adottate delle misure discriminatorie affini a quelle adottate nei confronti dei Cristiani nelle terre islamiche: ad esempio, il divieto fatto ai musulmani di chiamare i fedeli alla preghiera dall’alto dei minareti, era simile alla proibizione del suono delle campane delle chiese nei Paesi Islamici[7].

Un ulteriore elemento da evidenziare è che il mondo musulmano dell’epoca prestò scarsa attenzione alle Crociate. Sebbene la storiografia araba dell’epoca parli dell’arrivo dei Crociati, delle battaglie da loro svolte e degli Stati da essi costruiti, dimostrò però anche di sapere poco o nulla sulla natura e sulle intenzioni di questa spedizione. Le stesse parole «Crociata» e «Crociati» non comparvero mai negli scritti islamici dell’epoca, ma si fece invece spesso riferimento agli Europei Cattolici con l’appellativo «Franchi» per distinguerli dai loro correligionari ortodossi e orientali. La causa di questo scarso interesse è dovuta sopratutto al fatto che le Crociate furono un fenomeno limitato, dall’esito tra l’altro fallimentare, e fino alla sconfitta subita dall’Impero Ottomano nell’assedio di Vienna del 1683, fu sopratutto la Cristianità che dovette difendersi dall’avanzata islamica. Fu soltanto nel XIX secolo, con le conquiste dell’imperialismo occidentale (e la traduzione dei libri di storia europei) che si affermò l’idea delle Crociate come movimento storico, che vennero lette come un’anticipazione dell’espansionismo europeo nel mondo islamico[8]. La prima storia musulmana delle Crociate apparve infatti nel 1899 e venne scritta da Sayyd Ali al-Hariri, sotto il Sultano Abdul-Hamid II. In essa si afferma che «i Sovrani d’Europa attaccano oggi il nostro sublime Impero in un modo che presenta notevoli somiglianze con le imprese di quella gente di un tempo passato [i Crociati]. Il nostro glorioso Sultano, Abdul-Hamid II, ha giustamente sottolineato che oggi l’Europa sta conducendo una Crociata contro di noi[9]».

In definitiva, sebbene sia indubitabile che la Crociata contribuì ad alimentare odi e rancori, innalzando un muro fra Cristiani e musulmani, oltre che fra l’Occidente e Bisanzio[10], va tuttavia aggiunto che, nonostante la dottrina della «guerra santa» presupponesse teoricamente un conflitto senza quartiere contro gli infedeli, nella pratica si ebbero anche tregue, scambi diplomatici e culturali oltre a rapporti improntati ad un reciproco rispetto.


Note

1 Si veda Jean Flori, La guerra santa, Bologna 2003, pagine 379-385.

2 Confronta Bernard Lewis, Il Medio Oriente, Milano 1996, pagina 226.

3 Degno di nota, come simbolo della divisione negli Stati Musulmani dell’epoca, è il resoconto scritto da Ibn Zafir alla fine del XII secolo, dove si diceva che era meglio che i Franchi occupassero il Regno di Gerusalemme in quanto ciò avrebbe impedito «la diffusione dell’influenza dei Turchi nelle terre d’Egitto» citato in Rodney Stark, Il trionfo del Cristianesimo, Torino 2012, pagina 306.

4 Paradossalmente, le Crociate sembrano siano sorte in seguito alla richiesta di aiuto inviata al Papa dall’Imperatore Alessio Comneno per contrastare i Turchi, sebbene la sua richiesta non prevedesse un «pellegrinaggio armato» ma piuttosto l’invio di mercenari da far combattere nel suo esercito.

5 Confronta Jean Richard, La grande storia delle Crociate. Volume primo, Roma 1999, pagina 103.

6 Confronta Franco Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Bari 2001, pagine 93-95.

7 Confronta Jean Flori, Le Crociate, Bologna 2003, pagina 105. La condizione dei «dhimmi» nelle terre islamiche ha diviso il giudizio degli studiosi odierni tra chi la giudica un segno della tolleranza islamica, e chi invece, al contrario, vede nel loro trattamento un esempio di persecuzione religiosa. Qui, come in altri casi, si può dire che la verità sta nel mezzo: il trattamento dei «dhimmi» in epoca medievale costituiva generalmente una condizione indubbiamente migliore rispetto a quella subita dalle minoranze religiose residenti negli Stati Cristiani; ma è anche vero che questo rapporto sarebbe inaccettabile in uno stato laico moderno poiché presuppone una situazione di discriminazione con i fedeli musulmani collocati in una condizione di superiorità rispetto ai sudditi non islamici.

8 Confronta Bernard Lewis, La crisi dell’Islam. Le radici dell’odio verso l’Occidente, Milano 2004, pagine 53-54.

9 Il trionfo del Cristianesimo, Torino 2012, pagina 307. Si noti che il Sultano Abdul Hamid II è tristemente noto per essere stato il responsabile dei massacri armeni del 1894-1896, e che nel compiere questi eccidi utilizzò l’ideologia panislamista per cercare di istigare la popolazione musulmana contro gli «infedeli».

10 Confronta Le Crociate, pagina 114. Il giudizio sulle Crociate ha suscitato divisioni tra diversi storici odierni tra chi rivaluta queste imprese attribuendo loro il merito di aver ritardato di due secoli l’avanzata islamica in Europa; e chi invece le giudica negativamente sostenendo che non abbiano ottenuto altri risultati se non quello di attizzare il fanatismo religioso. A prescindere dai risultati effettivi, non si può tuttavia non concordare con lo storico Steven Runciman quando, definendo la «guerra santa», la descrisse come «un lungo atto di intolleranza in nome di Dio, cioè un peccato contro lo spirito».

(aprile 2018)

Tag: Mattia Ferrari, Crociate, jihad, guerra santa, Cristianesimo, Islam, Papa Urbano II, Abdul Hamid II, Usama ibn Munquidh, Sayyd Ali al-Hariri, Filippo IV, Templari, dhimmi, Alessio Comneno, Ibn Zafir.