Le rivolte contadine e urbane nel Medioevo
Un periodo difficile per gran parte della società

Il Trecento è considerato un secolo di crisi da vari punti di vista, sul piano culturale fu un periodo fecondo che anticipò il Rinascimento, ma sotto il profilo politico ed economico fu un periodo molto difficile.

Nel secolo precedente l’Europa aveva iniziato ad affrancarsi dal feudalesimo e in alcuni paesi emergevano delle potenti signorie e monarchie, ma nel periodo successivo questo processo di stabilizzazione si arrestò e si crearono nuovamente situazioni precarie, la Guerra dei Cent’anni dovuta a questioni dinastiche, le guerre fra le signorie italiane, le carenze di guida della Chiesa a causa del trasferimento del Papato ad Avignone furono causa e conseguenza di tale stato.

Gli storici hanno opinioni diverse sulla crisi economica e la grande quantità di rivolte urbane e contadine avvenute dalla fine del Duecento e durante tutto il secolo successivo. Molti studiosi individuano come causa principale della crisi economica l’eccessivo sviluppo demografico dei due secoli precedenti e quindi la minore disponibilità pro capite di risorse agro-alimentari e di altro tipo. Nei secoli precedenti all’anno Mille la popolazione era numericamente molto bassa, si può ritenere che esistesse quindi un collegamento diretto fra signore e lavoratore, situazione che non favoriva i conflitti, così come nell’epoca moderna sono stati i lavoratori delle grandi fabbriche ad avviare le lotte sindacali, mentre i lavoratori delle piccole imprese si limitavano a seguirli. Anche la diffusione dei gruppi religiosi radicali ed ereticali trovava un terreno più fertile dove si avevano delle moltitudini, in altre zone l’autorità religiosa ufficiale era in grado di tenere sotto controllo la popolazione più povera. Alla enorme crescita della popolazione avvenuta nell’XI e XIII secolo era seguita solo in parte una crescita della produzione agricola e quindi alimentare, si ebbe al termine di quel periodo pertanto un peggioramento delle condizioni di vita generali. Le rese per ettaro erano molto basse, l’ampliamento della produzione avveniva mettendo a coltura terre vergini dove la fertilità del terreno non era sempre sufficiente.

Gli storici hanno individuato vari fattori che potrebbero aver peggiorato la situazione delle classi popolari. Oltre a quelli già citati, vanno considerati i fattori climatici, dalle cronache risulta un forte calo delle temperature con conseguenze dirette sulla popolazione (maggiori esigenze di alimentazione e di mezzi di riscaldamento) e sull’agricoltura ovviamente meno produttiva. Insieme al raffreddamento della terra si ebbero in alcune parti del continente piogge disastrose e per motivi puramente casuali un aumento dei terremoti.

Altri storici individuano la ragione del malessere nelle guerre su larga scala con i relativi saccheggi e distruzioni avvenute in Francia ed in Italia. Le guerre non erano tuttavia una novità, molte di quelle locali sfuggono al lavoro degli storici e parte di queste non hanno probabilmente una documentazione arrivata a noi. Nello stesso periodo si ebbe però la formazione dei mercenari, ovvero delle Compagnie di Ventura che quando non combattevano per una fazione specifica si davano al saccheggio o al taglieggiare la popolazione locale. Il Trecento fu caratterizzato anche dal fallimento di diverse banche fiorentine con sedi in varie nazioni europee, queste non avevano una conseguenza diretta sulla popolazione povera, ma peggiorò in una certa misura quella delle famiglie che disponevano di buoni patrimoni.

Le rivolte urbane precedono quelle rurali ed ebbero inizio già alla metà del Duecento nelle Fiandre e successivamente in Italia, le regioni più ricche e sviluppate d’Europa. In alcuni casi si ebbero rivolte urbane che interessavano più o meno tutti i ceti, come nel caso di un inasprimento della pressione fiscale, ma in molti casi (diversamente dall’epoca moderna) le lotte riguardavano singole categorie a volte in contrasto con altre categorie. Non sempre erano i più poveri a ribellarsi, molte volte furono gli artigiani (o singole categorie di artigiani) che costituivano quello che oggi si chiamerebbe il ceto medio. Numerose furono le rivolte di questo ceto per poter accedere agli incarichi politici cittadini di rilievo e controllare la gestione delle finanze pubbliche.

Nel 1317 ricomparve in Europa la carestia, che negli ultimi due secoli era quasi scomparsa. L’indebolimento fisico delle persone favorì il diffondersi delle epidemie, anche se queste colpivano anche le classi superiori. La Morte Nera, ovvero la peste, fu un flagello terribile, negli anni 1347-1352 provocò la morte di un terzo della popolazione europea ed epidemie simili si ebbero con una cadenza più o meno decennale o ventennale nei secoli successivi. Le epidemie che ovviamente colpivano più i grandi centri abitati rispetto ai villaggi isolati, ebbero conseguenze diverse sull’economia. I salari degli operai crebbero a causa della carenza di manodopera, ma la popolazione contadina ebbe meno possibilità di vendere le eccedenze agricole agli abitanti delle città. In molte parti d’Europa la popolazione si avvicinò ai movimenti religiosi estremistici ed attribuì la colpa dei disastri agli Ebrei che subirono un gran numero di aggressioni e massacri, nonché si ebbe l’inizio di quel fenomeno chiamato caccia alle streghe (donne che in genere seguivano dei rituali provenienti da tradizioni pagane) che interessava soprattutto le zone più remote del continente. Probabilmente il miglioramento dei salari fu la causa dell’estinguersi delle rivolte urbane che cessarono ben prima di quelle rurali, l’ultima di una certa importanza fu quella del 1382 a Parigi e Rouen scatenata da eccessiva pressione fiscale.

A causa della riduzione della popolazione europea si abbandonò una parte delle terre meno produttive e nel Quattrocento si ebbero un numero minore di carestie. Tuttavia queste ripresero con forza nel Cinquecento e soprattutto nel Seicento, per il nuovo moderato aumento della popolazione e a causa della Guerra dei Trent’anni. Nella seconda metà del Quattrocento si ebbe una minore quantità di rivolte, ma queste ripresero vitalità nei decenni successivi con il diffondersi della Riforma Protestante.

Nel Cinquecento si ebbe la definitiva affermazione delle monarchie e con esse una maggiore situazione di legalità e sicurezza fra la popolazione. In questo periodo come sappiamo le famiglie nobili iniziarono ad abbandonare i castelli e incominciarono a vivere in città o in più confortevoli ville spesso situate in zone lontane dai possedimenti. Tale fenomeno portò ad un progressivo impoverimento di tali dinastie, in controtendenza abbiamo un nuovo fenomeno, i contadini cessarono di vivere nei villaggi arroccati, dove le terre sfruttabili erano più povere e iniziarono a vivere anche in insediamenti sparsi con la possibilità quindi di lavorare meglio le terre più fertili e di accedere più facilmente alle vie di comunicazione. Una importante novità nel Settecento fu la coltivazione della patata (introdotta già dopo la scoperta dell’America) che ridusse il fenomeno delle carestie; per ragioni poco razionali e poco comprensibili nei due secoli precedenti era stata scarsamente utilizzata.

Tornando al Medioevo i primi tumulti popolari documentati avvennero in Francia a Douai (città del Nord Est vicino al Belgio) e Rouen (nella Normandia) nel 1248 ad opera dei tessitori, seguiti poco dopo nel 1252 dagli appartenenti alla stessa categoria a Gand nelle Fiandre che richiedevano l’accesso al Consiglio cittadino. Le agitazioni continuarono nei decenni successivi, causate anche dal blocco delle importazioni di lana da parte dell’Inghilterra (1270-1274) che davano molto lavoro a quella regione nonché dall’inasprimento fiscale. Nel Sud della Francia (Linguadoca) contemporaneamente si ebbero rivolte politiche per l’accesso alle maggiori cariche pubbliche e rivolte a carattere religioso. Contro la dura politica fiscale di Filippo il Bello si ebbe una rivolta a Bruges nelle Fiandre, a Calais (1298), Douai (1296-1306), Tournai e nella stessa Parigi (1307). Tali lotte ebbero alla fine successo, nel primo decennio del Trecento i cittadini delle associazioni di mestiere delle Fiandre ottennero l’accesso alle maggiori cariche pubbliche, tuttavia i disordini proseguirono nei decenni successivi ad opera della categoria dei macellai, sempre contro le autorità cittadine.

In Italia si ebbe il tumulto dei follatori (addetti alla lavorazione della lana per renderla compatta e impermeabile) appartenenti al «popolo minuto» ovvero alle arti o corporazioni minori a Bologna nel 1289 che tentarono di linciare il podestà. Anche in altre città si ebbero contrasti fra il popolo minuto e il popolo grasso formato da aristocratici e ricchi mercanti. A Parma nel 1291 venne rovesciato il governo magnatizio formato da un ristretto numero di famiglie benestanti, due anni dopo a Firenze venne emanata la legislazione antimagnatizia e nel 1306 si ebbe il governo popolare a Bologna ad opera dei macellai e poco più tardi a Siena. Nei due decenni successivi si ebbero invece tumulti cittadini a causa della penuria di farina, il maggiore dei quali si ebbe a Firenze fra il 1328 e il 1330, nello stesso periodo si ebbero anche scioperi per la riduzione della giornata lavorativa allora molto pesante. Nel 1345 a Firenze si costituì ad opera di Ciuto Brandini una corporazione o fratellanza di operai e artigiani per il miglioramento salariale e l’accesso alle cariche pubbliche cittadine che non ebbe tuttavia successo in quanto coinvolgeva solo una parte della popolazione. Per motivi fiscali e di rappresentanza politica si ebbe il tumulto dei Ciompi, i salariati della lana esclusi dalle corporazioni a Firenze che presero il potere per quattro anni (dal 1378 al 1382). Agitazioni simili si ebbero anche a Perugia e Siena, per far fronte a tale situazione ed evitare i continui conflitti cittadini venne istituita in molti comuni la figura del Podestà, generalmente un nobile estraneo alla città e pertanto ritenuto imparziale. Tuttavia il podestà per le sue origini nobili tendeva a favorire gli appartenenti alle classi alte e i popolani gli contrapposero il Capitano del popolo, generalmente fu quest’ultimo a prevalere ma ciò non favorì nel nostro paese l’affermarsi delle libertà cittadine.

Il fenomeno dei disordini interessò anche la parte centro orientale dell’Europa, nella seconda metà del Trecento si ebbero scioperi e violenze anche nelle città della Boemia e della Polonia che allora vedevano una grande quantità di abitanti tedeschi ed ebrei.

Per quanto riguarda specificatamente le campagne dobbiamo ricordare che verso la fine dell’Impero Romano, Diocleziano e Costantino avevano introdotto l’obbligo per i contadini di non abbandonare la terra. Nel periodo successivo, data la minore sicurezza garantita dallo stato, i signori proprietari di vaste terre che generalmente disponevano di uomini armati garantivano la protezione dei propri lavoratori i quali videro però restrizioni pesanti nelle loro libertà e l’obbligo di sottostare alla giurisdizione di tali personaggi, fenomeno passato alla storia come la servitù della gleba. Nel Basso Medioevo la servitù terriera iniziò a ridimensionarsi, in particolare a Bologna nel 1257 si ebbe la prima importante affrancazione da tale regime, seguita nei decenni successivi da eventi analoghi, nel nostro paese alla condizione servile si sostituì gradualmente l’affitto dei terreni e la mezzadria, tuttavia questo fenomeno coincise in Europa con l’incremento delle rivolte contadine che ebbero spesso connotati religiosi.

Già nel XII-XIII secolo si erano avuti movimenti ereticali che coinvolgevano i villaggi contadini. Nel 1250 un predicatore soprannominato Maestro d’Ungheria, convinto che i governanti e i ricchi fossero dei maligni, guidò in Francia migliaia di pastori e contadini in una lunga marcia nel corso della quale saccheggiarono villaggi e città e aggredirono in modo particolare gli Ebrei. Settanta anni dopo (1320) in Normandia due predicatori diedero vita a quello che venne chiamato il Movimento dei Pastorelli diretto contro gli infedeli, che analogamente al precedente si diede alle violenze e ai saccheggi.

Proprio nelle terre direttamente controllate dalla monarchia francese, l’Ile de France, nel 1358 si ebbe una grande rivolta contadina, la Jacquerie, diretta contro i nobili con numerosi assalti ai loro castelli, causata dalla pesante situazione economica e politica prodotta dalla Guerra dei Cent’anni (1339-1453). Di tale situazione approfittò anche il capo della lega dei mercanti di Parigi Etienne Marcel che chiedeva una limitazione dei poteri della monarchia, ma la rivolta ebbe breve durata e si concluse con il massacro dei ribelli. Non molto tempo dopo (1363-1384) si ebbe nel Sud della Francia il movimento dei Tuchins («miserabili») contro i nobili locali e le sperequazioni fiscali a danno dei contadini, tale movimento si estese successivamente anche in Piemonte fomentato da alcuni aristocratici nella lotta contro altri signori della regione. Il movimento non era guidato da religiosi e si poneva obiettivi politici ed economici più chiari rispetto a quelli delle precedenti rivolte, ebbe carattere violento ma favorì l’affrancazione dei contadini dai vincoli feudali.

Le rivolte contadine interessarono per un breve periodo anche l’Inghilterra, nel 1381 un sacerdote e un contadino ispirati dalle idee del teologo John Wycliffe contrario all’accumulo di ricchezze nella Chiesa, diedero vita al movimento che presentava due programmi, uno incentrato sulla eliminazione della servitù della gleba, e un altro decisamente più estremista che prevedeva la confisca dei beni ecclesiastici e la messa in comune di tutti i beni fondiari. Tale movimento venne denominato dei Lollardi (in olandese dove esso nacque significava «salmodiante»), ebbe carattere violento e per un periodo occupò la stessa città di Londra dove le bande incendiarono le case dei ricchi mercanti. La richiesta di abolizione del servaggio venne accolta ma il movimento più radicale venne rapidamente represso.

Nel 1395 si ebbero le agitazioni dei contadini della Catalogna contro i signori locali che pretendevano le tradizionali prestazioni feudali in maniera eccessiva e trovarono nel re contrario alla politica di autonomia dei nobili un alleato. Le rivolte durarono fino al 1471 o al 1487 secondo altri studiosi, ed ebbero un revival nel periodo 1640-1659 a causa della Guerra dei Trent’anni e la presenza di truppe nel territorio. Sempre nel Quattrocento si ebbe la diffusione del brigantaggio in Francia, agitazioni contadine in Danimarca e Scandinavia, ma il paese più interessato dalle sollevazioni fu la Germania. Nel 1476 Hans Boem detto il Pifferaio, un giovane pastore, iniziò a predicare il «Nuovo Regno di Dio sulla Terra» e a contestare nobili e clero, diede inizio ad una sollevazione dei contadini che venne tuttavia immediatamente soppressa dalle truppe del Vescovo della zona. Nel 1487 ebbe inizio una serie di rivolte contadine che durò fino al 1517. Una delle più importanti fu quella promossa in Alsazia dal movimento detto dello Scarpone formato da contadini contro gli usurai della regione, ma che si proponeva obiettivi maggiori fra i quali la confisca dei beni dei monasteri. Nel 1514 si ebbe una rivolta contadina nel Wuttemberg detta del «Povero Konrad», meno estremista della precedente, che si proponeva di eliminare le gravose tasse imposte dal duca locale. Una parte della nobiltà riteneva non ingiuste le richieste ma i contadini vennero comunque sopraffatti. In Germania pochi anni dopo si ebbe la predicazione di Martin Lutero e in seguito allo stato di disordine creatosi, si ebbe (sebbene duramente contestata dal predicatore) la imponente rivolta contadina a sfondo religioso del 1525.

Le rivolte contadine proseguirono anche nei secoli successivi, ma prive di programmi e di organizzazione non ebbero esito positivo.

(novembre 2017)

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