I Templari a Lucca
Un Ordine da riscoprire

Dopo settecento anni i fascicoli del processo ai monaci guerrieri saranno esposti in una mostra a Roma, nei Musei Capitolini. Credo che alcune riflessioni si rendano necessarie su di un Ordine che è stato molto discusso ma poco analizzato sul piano storico. È emersa di più, nel corso del tempo, la spettacolarità, visto l’alone di leggenda da cui l’Ordine è stato sempre circondato.

Nel 1312 l’Ordine del Tempio venne soppresso dal Papa, «in via definitiva» e «con norma perpetua».

Agli inizi del XII secolo, subito dopo la Prima Crociata, che aveva tolto Gerusalemme all’Islam e convogliato in Terra Santa decine di migliaia di pellegrini di ogni estrazione sociale, i sopravvissuti si trovarono alla mercé dei nemici e predoni che infestavano le strade e minacciavano i territori occupati. Per difenderli nacque, intorno al 1120, l’Ordine dei Templari, chiamati così perché stabilirono il proprio quartier generale nei pressi dell’antico Tempio di Re Salomone, a Gerusalemme.

Monaci e guerrieri, con regola monastica e spirito combattente; ciò che adesso appare contraddittorio non lo era allora, quando si esaltava la sacra violenza.

Occupandomi dell’Ordine gesuita nella mia città, Lucca, e constatando che i Gesuiti non vi hanno mai potuto prender piede, grazie alla presenza, a partire dal Cinquecento, di un altro Ordine, i Chierici Regolari della Madre di Dio, mi sono del tutto casualmente avvicinata all’Ordine templare. La chiesa che ospita tuttora l’ordine dei Chierici Regolari era infatti, antecedentemente, un luogo di culto dei cavalieri rossocrociati. Lo testimoniano le numerose vestigia ivi presenti, risalenti alla precedente fondazione dell’edificio sacro, Santa Maria Corteorlandini, avvenuta nel 1188, che una recente pubblicazione, curata peraltro dal celebre storico Franco Cardini, pone in rilievo.[1]

Potrebbe sembrare, tale pubblicazione, un testo di storia locale; in realtà concretizza a piene mani un contesto internazionale, essendo la città di Lucca nel Medioevo al centro di numerosi traffici commerciali in tutta Europa.

I Templari, in questa Città-Stato che sostenne l’Impero, non erano certamente amati: l’Ordine infatti si trovava alle dirette dipendenze del Pontefice. Ma il loro ruolo di banchieri internazionali, prima ancora che di monaci-guerrieri, li pose nella condizione di contrastare quantomeno gli altri Ordini monastici presenti in città, soprattutto i frati minori, che a Lucca ebbero largo seguito.

Ritengo essenziale inquadrare l’Ordine templare nel suo ruolo finanziario, legato a vere e proprie transazioni. Inventarono infatti forme creditizie che molto si avvicinano alle nostre modalità attuali, riuscendo in operazioni bancarie complesse in un periodo in cui spostare merci ma soprattutto capitali risultava particolarmente complicato.

Al di là dell’esempio lucchese, con peculiarità sue proprie, dettate dall’enorme mole d’interessi, circoscritta peraltro in un contesto territorialmente limitato, altrove l’appoggio popolare ai Templari fu stupefacente, sia da parte dei nobili che della plebe. Ricchi e plebei offrivano loro denaro, terre, aiuti. E chi entrava nell’Ordine donava i propri beni. Così il patrimonio dei Templari, che il Papa aveva esonerato da tasse e gabelle, si ingrossava.

Ovunque in Europa governavano terre e bestiame, costruivano edifici religiosi e palazzi. Dall’Europa partivano prodotti e denaro che andavano a sostenere le imprese militari in Medio Oriente. Le loro risorse d’Occidente coprivano i costi di quelle che noi oggi definiremmo delle «missioni al fronte».

Per quasi duecento anni, fino alla caduta dell’ultimo avamposto cristiano, nel 1291, i Templari furono in prima linea nelle Crociate. Si adoperarono però anche nelle retrovie, avendo creato il più avanzato e capillare sistema bancario dell’epoca. Partire per la Terra Santa significava chiedere prestiti all’Ordine o affidargli il proprio denaro, per evitare i rischi del viaggio. I sovrani europei si indebitavano fino al collo, facendosi finanziare le loro guerre.

Possiamo immaginare l’Ordine nel suo insieme come una società con dei bilanci più sostanziosi di quelli dei Re del tempo, con rappresentanti ovunque. Una sorta di multinazionale, così la fotografano gli storici più accreditati, in un mondo dalle non facili comunicazioni.

Lucca, ad esempio, ebbe rapporti commerciali con Anversa, Bruges, Lione e, più in generale, con le principali città commerciali francesi e del Nord Europa, nonché con Londra. Si narra che il sovrano inglese Guglielmo II fosse solito giurare sulla Croce del Volto Santo lucchese[2]; e la tradizione popolare considera ancora i sovrani inglesi in debito verso la città, che fece loro numerosi prestiti, mai restituiti.

Nella città lucchese ritroviamo vestigia templari anche nei locali della Misericordia, dove c’era l’ospedale di San Luca, gestito dai rossocrociati.[3] Ciò a riprova che non erano solo dei monaci-guerrieri, ma assumevano incarichi civili di spessore.

La storia ufficiale vuole che a indebitarsi più di chiunque altro coi Templari fosse stato Filippo il Bello di Francia, per le sue costose imprese militari contro Inghilterra e Fiandre. E per lui l’unico modo per evitare la bancarotta diventò non restituire quel denaro: iniziò così un’accanita campagna di diffamazione verso i suoi creditori. Una propaganda tendenziosa, che andò a sommarsi alle invidie e alle critiche che un Ordine così potente già suscitava. Ne seguirono l’arresto ed i processi, l’ammissione delle proprie colpe di fronte ai Re, ma anche davanti agli emissari papali, che non esercitarono costrizioni violente.

Scrive Paolo Mencacci: «La fine delle ultime roccaforti cristiane in Terra Santa influì in modo assolutamente negativo sull’immagine della Milizia del Tempio: fintantoché i monaci-guerrieri difendevano il Sepolcro di Cristo e i luoghi della Cristianità, venivano loro perdonati tutti i privilegi di cui godevano fin dalla fondazione e che avevano destato sempre la più profonda invidia, tanto nelle autorità civili, e soprattutto nei regnanti, quanto nel clero secolare di ogni livello.

Nei primi 6-7 anni del XIV secolo[4] accaddero molti fatti che minarono ulteriormente la credibilità del Tempio: fra i più appariscenti fu lo scandalo diplomatico legato al tesoriere La tour, che pagò a Filippo il Bello ben 300.000 fiorini d’oro, prelevandoli dal tesoro del Tempio e addirittura svuotandolo senza chiedere permesso al Gran Maestro; quest’ultimo, fra l’altro, si comportò in modo equivoco e deludente sul grave problema, caldeggiato dal Pontefice, di unificare i due Ordini, Templare e Ospedaliero. Nel frattempo gli avvocati di Filippo il Bello non persero tempo nell’imbastire una serie di capi d’accusa, da presentare al Papa, tali da investire i punti essenziali della ortodossia cattolica. Nel 1305 Esquieu de Floyran, priore di Montfauçon, un tempo cavaliere templare ed in seguito espulso dall’Ordine, cominciò a divulgare voci gravissime e scandalose sul Tempio, accusandolo addirittura di eresia: per primo avvertì il Re d’Aragona e, poiché egli si mostrò piuttosto scettico, si rivolse al Re di Francia. […] I consiglieri del Re Filippo IV, Gugliemo di Nogaret e Guglielmo di Plaisians, aprirono subito un fascicolo sui Templari […]. Jacques de Molay chiese a Clemente V di aprire un’inchiesta al fine di dimostrare l’innocenza dell’Ordine e l’assurdità di accuse vergognose quali l’idolatria, sodomia ed eresia […].

Clemente V partecipò personalmente all’inchiesta. [Comprese che] non si trattava di eresia ma di una serie di peccati contro la morale corrente [manifestazioni degne di un vecchio rituale di caserma] che rendevano i Templari colpevoli soprattutto per aver permesso che tali rituali si perpetuassero nel tempo anziché eliminarli sul nascere [di fatto li assolse]. Filippo il Bello non si dette per vinto e minacciò il Pontefice di imbastire un processo contro Bonifacio VIII, accusandolo di eresia, e di riesumarne le ossa per bruciarle sul rogo, come era avvenuto, alla fine del IX secolo, per Papa Formoso che, che dopo essere stato riesumato e mutilato, fu gettato nel Tevere. [Il Papa, gravemente malato, non riuscì ad imporre la sua volontà]».[5]

Certamente, come sostiene la storica Barbara Frale,[6] «la Francia aspirava ad un potere egemonico sui Regni occidentali, esercitandovi solo supremazia politica ed economica e non un possesso militare: il vero ostacolo contro la realizzazione di tale progetto era rappresentato soprattutto dal Papato, che poteva opporsi ai potenti eserciti di Filippo il Bello con mezzi efficaci quali interdetti, scomuniche e non per ultime bolle e Brevi. Colpendo e distruggendo il mito dei Templari, il Re colpiva il Papato, loro strenuo difensore e sostenitore. Risulta pertanto limitativo ridurre la lotta di Filippo il Bello contro la Milizia del Tempio ad un semplice bisogno o desiderio di appropriarsi delle loro ricchezze».[7] Condivido tale versione. Ma aggiungerei ulteriori osservazioni.

A mio parere possiamo convenire, sulla scorta di quanto anche ai nostri giorni osserviamo, che quando la finanza arriva a pensare di dominare la politica, inserendosi in un campo che non può competerle, rischia di distogliere dai propri «affari» energie e di crearsi troppi nemici. Ci fu, io credo, paradossalmente, una coincidenza di interessi tra i vari sovrani europei e lo stesso Papato, che era innanzi tutto un potere statuale, anche se di uno Stato con caratteri sovranazionali. Ridimensionare l’Ordine templare poteva apparire, anche agli occhi di Papa Clemente V, un’esigenza. Certamente non il suo scioglimento. Non ritengo perciò del tutto subito il comportamento di Filippo IV di Francia da parte del Pontefice.[8]

I quadri dell’Ordine furono assolti dagli emissari papali. Si trattò di un’assoluzione sacramentale, quella che dà il sacerdote quando ci si confessa e ci si pente. Non del proscioglimento degli imputati, stabilito dal giudice. Ciò è indubbio. Furono assolti i singoli templari, non l’Ordine, che invece finì sotto inchiesta nel 1309. Chi prima di quella data aveva confessato le sue colpe, quando decise di ritrattare per difendere l’organizzazione, si fermò poiché il Re di Francia mandò al rogo cinquantaquattro templari che avevano cambiato versione, terrorizzando gli imputati. Nel 1312 una bolla del («fragile?»[9]) Pontefice decretò, una volta per tutte, la soppressione dell’Ordine.

Mi sono chiesta come nella mia città, dove peraltro i Templari pare fossero piuttosto radicati[10], possano i quadri essere stati allontanati dalle gerarchie ecclesiastiche. Non esistono studi organici al riguardo: solo un’attenta analisi degli archivi cittadini potrebbe far comprendere il proseguo delle vicende, anche se ciò richiederebbe risorse ed energie accademiche che fino ad ora non sono state poste in essere. Ritengo singolare come nello stesso luogo visitato ed onorato dai Templari, nel 1598 sia stato fondato un Ordine regolare che ha di fatto, durante la Controriforma, sostituito in città i Gesuiti, liberandoli dal compito di gestire la Santa Inquisizione.[11]

È stato partendo da tale assunto che ho dovuto iniziare la mia analisi, dovendo io occuparmi di un Padre gesuita lucchese vissuto nel XIX secolo, con burrascosi rapporti con l’Ordine gesuita, religioso che a lungo è vissuto in Piemonte.[12]

Certamente i Chierici Regolari della Madre di Dio, loro sì, amati in città da coloro che videro nella meritoria opera posta in essere anche la possibilità di tutelare gli interessi commerciali cittadini,[13] seppero di fatto gestire a piene mani, e con competenza, difficili transazioni.

La crisi che colpì il mondo cattolico nel Cinquecento non metteva più i vari Ordini nella condizione di farsi «concorrenza», soprattutto nel momento in cui la Riforma dilagò. Non dimentichiamo il ruolo assunto dai Protestanti nella città di Lucca, e i burrascosi ma anche proficui rapporti degli stessi coi circuiti cittadini.[14] [15]

Credo che l’opera meritoria dei Chierici Regolari della Madre di Dio nel mantenere soprattutto una certa autonomia nella gestione di atti inquisitori possa aver calmierato un contesto certamente non facile da gestire. Ampia capacità diplomatica, magari poco visibile, posta in essere in luoghi dove antecedentemente anche i Templari (monaci-guerrieri-banchieri) avevano in qualche modo dovuto esercitarla. Anche i quadri dell’Ordine templare, per il loro largo respiro internazionale, non poterono non aver avuto delle mansioni diplomatiche. E Lucca era una città di grande respiro.

Il limitarsi degli studi storici sui cavalieri rossocrociati, per molto tempo, a privilegiare l’alone di leggenda che li ha circondati, è stato ampiamente improduttivo, sul piano storico.

Scrive Franco Cardini: «Oramai da tempo i ricercatori seri hanno abbandonato la sponda delle grandi ricostruzioni di sintesi, per affrontare temi di storia più propriamente radicata nel territorio e fondata su fonti documentarie e archeologiche nuove, oppure già nuove ma rilette e reinterpretate con originalità».[16]

È quanto documenta il testo sui Templari lucchesi che ho più volte citato, che apre squarci nuovi, questi sì, imprevedibili.


Note

1 Paolo Mencacci, I Templari a Lucca, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, 2009, introduzione di Franco Cardini.

2 Da I Templari a Lucca, citato, pagina 49: «[…] Guglielmo II, Re d’Inghilterra, vissuto a cavallo tra l’XI e il XII secolo, era solito giurare sul Vultum Sanctum de Luca».

3 Vedere I Templari a Lucca, citato.

4 I riferimenti sono tratti dall’opera di Barbara Frale. La scelta è motivata dal fatto che le monografie di tale studiosa sono state composte dopo la scoperta e la pubblicazione dei documenti in proposito, precedentemente ritenuti perduti ed invece conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, risultando pertanto le più aggiornate ed attendibili.

5 I Templari a Lucca, citato, pagine 17-23.

6 Barbara Frale (Viterbo 1970) in attività presso l’Archivio Segreto Vaticano.

7 I Templari a Lucca, citato, pagine 26-27.

8 Sarebbe da stabilire, storicamente, quale ruolo assunsero i quadri dell’Ordine, peraltro assolti, nelle gerarchie ecclesiastiche. Se la preparazione e le energie che questa sottendeva andarono o no sprecate.

9 Ibidem.

10 Abbiamo un sito storico nel paesino di Vico Pancellorum, nei territori della Val di Lima, dove ritroviamo una chiesetta del 1000 raffigurante tutta la simbologia templare, unico sito in Italia con tanto di scacchiera e guerriero in bassorilievo, quest’ultimo peraltro scalfito. Gli studiosi a tutt’oggi non riescono a definire la motivazione della presenza in questo luogo di tale simbologia.

11 Augusto Mancini, Storia di Lucca, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, pagina 259.

12 Padre Gioacchino Prosperi (Lucca 1795-1873).

13 I denari dei Lucchesi convertiti al protestantesimo e per questo allontanatisi dalla città, ivi confluivano con particolari partite di giro. In Breve storia dell’emigrazione lucchese, a cura del professor Guglielmo Lera, edita dall’Associazione Lucchesi nel mondo.

14 Augusto Mancini, Storia di Lucca, citato.

15 Lucca fu tra le poche realtà italiane che fecero pubblicare, nonostante rappresentasse un luogo di ampia tradizione cattolica, l’Enciclopedia illuminista, nel XVIII secolo. Naturalmente la cosa non venne ampiamente «pubblicizzata», ma una certa «tolleranza» editoriale permase. E il duca lucchese Carlo Lodovico di Borbone nel XIX secolo non era solo un «bizzarro» duca, come è stato dipinto, che aveva simpatie protestanti, anche per ragioni politiche. Il terreno lucchese in cui si trovò a governare era già terreno fertile per tali sue inclinazioni, a partire dai secoli precedenti, ufficialmente considerati «secoli bui».

16 Paolo Mencacci, I Templari a Lucca, citato, introduzione.

(marzo 2012)

Tag: Elena Pierotti, Templari, Lucca, Medioevo, Italia, Franco Cardini.