La vita quotidiana nel Medioevo
Assaporare gusti, odori e immagini di vita vissuta

In località San Romano in Garfagnana c’è un magnifico castello medievale recentemente restaurato, le Verrucole, gestito da due giovani che ne hanno fatto polo di attrazione turistica ma in modo speciale.

Verrucole

Fortezza delle Verrucole (Italia)

Hanno voluto mettere al centro del percorso e delle visite al castello la quotidianità quale essenza del castello stesso.

Così i due gestori, laureati in storia e con un grande amore per il Medioevo, sono riusciti a ricostruire fedelmente la cucina del castello, la camera da letto, il soggiorno, in ogni loro particolare, e naturalmente hanno organizzato un percorso ben strutturato.

Anche la chiesa presente nella cinta muraria è stata perfettamente restaurata con i suoi magnifici affreschi e riportata agli antichi splendori, in nome della più assoluta fedeltà originaria, così come le feritoie del castello e i suoi cunicoli. Il tutto col patrocinio degli enti che hanno partecipato all’impresa.

Con destrezza manuale si sono ricreate le suppellettili, l’oggettistica tutta che richiama quel periodo storico.

Fiore all’occhiello della struttura l’orto con piante aromatiche e officinali, particolarmente in auge nel periodo.

La descrizione che mi appresto a fare vuole dunque rispolverare questo genere di approccio al Medioevo, «intimo» e «giocoso», nella consapevolezza che ogni descrizione può apparire arbitraria, visto che difficile è questo tipo di approccio, ma sicuramente coinvolgente e onesto.

Bartolomeo Anglico, nel Libro delle proprietà delle cose presente a Parigi[1], descrive le occupazioni agricole lungo l’arco dell’anno dei contadini medievali in una miniatura che data al 1445-1450. Vi cogliamo il susseguirsi delle stagioni, e partendo dall’inverno troviamo un uomo che semina, poi che falcia, miete e vendemmia. Il protagonista nella miniatura non è tanto lo scorrere del tempo ma il lavoro dell’uomo nel corso dell’anno, impegnato in ogni momento a procurarsi di che vivere e sopravvivere. Del resto la condanna divina prevedeva che «maledetta fosse la terra per l’operare dell’uomo! Con sofferenza e fatica l’uomo trarrà nutrimento dalla terra per tutti i giorni della sua vita»[2].

Rappresentare la terra, vita ed essenza del mondo contadino. Troviamo, al centro della stessa miniatura, la casa del coltivatore, con l’aria che entra dalla piccola finestra e un uomo seduto che finalmente si riposa, trovandovi riparo dalla fame e dagli eventi atmosferici, entrambi al centro della vita dei contadini stessi.

Le Livre des Propriétés des choses

(BNF, FR 135) fol. 327, Barthélemy l'Anglais, Le Livre des Propriétés des choses, France, L'Anjou, Maine XVe s.

La vita monacale era assai più tranquilla. Eppure anche in questo caso gli eventi troneggiano, ed è sempre l’intercessione divina che può lasciare il segno. L’esterno delle abbazie era caratterizzato spesso da fitte vigne, campi, mulini ad acqua. Tutto ruotava anche in questo caso intorno alla terra. «Ora et labora!», diceva San Benedetto.

Ancora in una miniatura medievale, del resto, presente a Firenze[3], assistiamo a un miracolo dove sempre la terra è protagonista, questa volta però l’intercessione della Madonna cambia il corso degli eventi.

«A Pasqua i monaci di un monastero inglese si trovavano riuniti in chiesa intenti a celebrare la Messa, quando la terra all’improvviso si aprì e il monastero e tutti i campi intorno scomparvero inghiottiti dalla voragine. La Vergine, alla quale i monaci erano assai devoti, li protesse: nessuno si fece male e la vita sotto terra continuò come in superficie, perché nello sprofondare erano rimasti intatti la chiesa, il chiostro, il dormitorio, la sala capitolare, il refettorio, la cucina, il parlatorio, l’infermeria, tutto si fece definibile con l’intercessione divina. ma anche in questo caso la terra rimane al centro della vita del chiostro».

E le città? La strada portava alle città, «dove gli abitanti erano fieri della bellezza delle loro mura, come si trattasse della facciata di casa». Scrive Giovanni Villani a proposito di Firenze per l’anno 1324 che si ordinò che ogni 200 braccia di muro avesse e si facesse una torre alta 60 braccia e larga 14 braccia, per fortezza e bellezza della detta città[4]. Stessa cosa afferma Dino Compagni per la distruzione delle mura di Pistoia a opera dei Fiorentini. Si trattava di consapevolezza del valore estetico delle mura ma anche del loro ruolo indispensabile per la sopravvivenza delle città.

Non tutti nel Medioevo avevano la fortuna di un alloggio in città, chi ne era escluso viveva nei borghi, immediatamente fuori dalle cerchie murarie. Ma chiediamoci come erano le case, quali le caratteristiche che le contraddistinguevano?

Come ben sappiamo, poche erano murate, spesso le mura erano di legno. Riporto le parole degli storici Arsenio e Chiara Frugoni, che bene illustrano lo stato di precarietà che caratterizzava quelle realtà domestiche: «Oggi per ottenere la fiamma basta un gesto, un altro la fa sparire. Nel Medioevo occorrevano parecchia abilità e pazienza per accendere il fuoco: bisognava aver fabbricato un’esca ben secca con una lunga e paziente preparazione, battere la pietra focaia sull’acciarino ed essere pronti a catturare la scintilla, ravvivarla soffiando con una cannuccia vuota. Poi, una volta acceso il fuoco, aggiungere sempre legna, stando attenti al tiraggio. Se malauguratamente si fosse spento, le donne, piuttosto che reintraprendere l’impresa dell’avvio, avrebbero preferito andare dalla vicina a chiedere di poter accostare alla fiamma uno straccio, chiedendolo in prestito come si trattasse di un limone. Ecco la ragione dell’importanza di intrattenere buoni rapporti con i vicini.

Alle donne spettava questo compito essenziale oltre al rifornimento dell’acqua. Due compiti ardui, complessi. Ricordando che spesso le case stesse erano di legno, facile era che si sviluppassero incendi. Le delibere che possiamo rintracciare sono piene di resoconti del genere»[5].

La cucina all’ultimo piano, nelle case agiate, era uno strumento per ovviare ai pericoli che incombevano in quelle case. Ma portare le acque sin lassù era sicuramente un’impresa, e poca era l’acqua a disposizione per uso domestico per tutti.

A Palazzo Davanzati, a esempio, in Firenze, si poteva attingere l’acqua sul ballatoio di ciascun piano da una finestrina che dava accesso alla gola del pozzo. Ma si trattava di una soluzione rara, di persone particolarmente facoltose. Già avere il pozzo proprio era una rarità, e si diffuse questa abitudine tra le persone ricche nel corso del Trecento.

Il Boccaccio offre una colorita descrizione dell’igiene che soprattutto le donne ma non solo, erano solite seguire.

Molto diversa, rispetto a oggi, la morale comune, poiché il codice del pudore aveva soglie diverse dalle nostre. Nel Medioevo si dormiva svestiti, in molti, in notevole promiscuità. Il bagno pubblico poi era il consueto luogo degli appuntamenti amorosi. Gli stessi incontri di ricchi amanti si svolgevano alla presenza di schiave che venivano considerate pressoché assenti dalla stanza, come bene ricorda lo stesso Giovanni Boccaccio; il quale, in una novella, non si impegna a descrivere il bagno pubblico, ma come l’avida cortigiana Jancofiore voglia fingersi innamoratissima, mirando alle ricchezze del mercante Salabanetto, e di come fosse essenziale ricreare gli odori, i suoni del bosco per gli stessi incontri amorosi. Suoni e odori facevano parte integrante della vita medievale nelle varie espressioni della quotidianità.

Sono soprattutto le case e la vita dei poveri che pongono in evidenza la comunione reciproca di vita e di contatto non certo virtuale che il Medioevo poneva. Ciò che caratterizza tutti i ceti è la coesione sociale, nel senso di un riconoscimento nello stile di vita, nel modo di pensare e di agire. I confini nel Medioevo erano essenziali ma privi di autentico controllo, la statalità flebile, a causa dello scarso controllo del territorio e dei suoi confini. Ma il senso di appartenenza altissimo, proprio in virtù di valori che ponevano comunque quel controllo al centro dell’interesse comune. Il viandante, che veniva accolto, abbracciava in tutto quei valori, simbolo della stessa sopravvivenza della comunità.

La comunione era dunque pressoché totale, e nella comunione eucaristica si riconoscevano pressoché tutti i ceti, preludio a una più ampia comunione civile. La comunione non implicava segno di diversità, bensì di condivisione reciproca dei medesimi valori. Questa era la statalità medievale, davvero coincidente con la vita domestica più di quanto abbiano conosciuto altre epoche.

Per quanto riguarda la mia personale esperienza, vissuta dentro il castello delle Verrucole che ho citato, e che più volte ho visitato perché lo ritengo specchio piuttosto verosimile delle vita medievale così come si svolgeva in quei luoghi molti secoli prima, ho a esempio rilevato in cucina la presenza del bagno; un bagno mobile, che naturalmente vedeva una cloaca pressoché inesistente se si prescinde da un gettare il tutto da un torrione vicino alla cucina medesima. Stupisce questa visibilità assoluta della precarietà e al contempo della pragmaticità di chi viveva in questi luoghi, in quei contesti sociali.

Cibi spesso frugali, anche se il momento del pasto era sempre accompagnato da una sua ritualità, che la sala da pranzo metteva in evidenza, attraverso i suoi colori e la sua luminosità.

Ci sono poi quelle armature che venivano riposte nelle poche stanze presenti e che erano parte integrante nella vita non solo del cavaliere ma dell’intera collettività, che sul cavaliere poggiava le sue speranze di sopravvivenza.

Armature costose ma anche corpose, dove il materiale e gli accorgimenti più disparati potevano rappresentare la sopravvivenza stessa del cavaliere che le avrebbe indossate.

Ho assistito in proposito a una simulazione notturna al lancio tramite catapulta di palle infuocate che caratterizzava gli assalti alle fortezze (quella delle Verrucole, per la sua posizione geografica e abilità di chi la presidiava, peraltro non fu mai espugnata).

Davvero impressionante la stessa simulazione.

Alcuni cibi di cui si nutrivano in quei luoghi sono tuttora molto simili a quelli che venivano utilizzati nel Medioevo, per colori, prodotti e sapori. Mi riferisco nello specifico per le Verrucole alla torta di verdure tipica di questi luoghi, che all’epoca aveva come variante sicuramente solo il miele al posto dello zucchero. Oppure polenta e omelette a base di farina di castagne e ricotta di pecora. Anche in questo caso stessi sapori, colori, odori. La polenta di farina di castagne con gli ossi del maiale è ancora una tradizione di questi luoghi. Il farro e tutto ciò che dal farro prende origine, lo ritroviamo direttamente dal Medioevo. Ma anche formaggi e salumi, non così dissimili da quelli assaporati dai nostri progenitori. Una particolarità ingegneristica: l’utilizzo dell’albume dell’uovo nella costruzione di ponti e case particolarmente importanti. Alti erano i costi, ma forte la loro tenuta. Il Ponte del Diavolo di Borgo a Mozzano, non lontano dal castello delle Verrucole, edificato dal condottiero Castruccio Castracani, porta questo genere di accortezza muraria, che gli ha consentito di resistere in ottime condizioni, integro e ben conservato, passando attraverso guerre e calamità di ogni sorta.

Ponte del Diavolo

Ponte del Diavolo di Borgo a Mozzano (Italia)

Urge sottolineare che il Medioevo Europeo abbraccia quasi 10 secoli, quindi le differenze tra un periodo e l’altro di questo lungo ponte storico sono molteplici. Quelle qui tracciate sono solo pochi caratteri che ne contraddistinguono alcune particolarità, riscontrabili soprattutto dopo il Mille, e nei tratti culminanti. Con scarsa visibilità apparente, ma che, grazie a dipinti, miniature, novelle, bassorilievi e così via, possono illuminare un lettore di oggi.


Note

1 Bartolomeo Angelico, De proprietatibus rerum, Bibliothèque Nationale, ms. Fr. 135, foglio 327.

2 Genesi, 3.17.

3 Miracolo del Monastero sprofondato e ricomposto, miniatura, 1281-1284, da Alfonso X il Savio, Antigas de Santa Maria, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. b.r., foglio15 recto.

4 G. Villani, Nuova Cronica, libro X, capitolo 256, pagina 428.

5 Arsenio e Chiara Frugoni, Storia di un giorno in una città medievale, Editori Laterza.

(ottobre 2018)

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