Chi erano gli avversari giovannei?
Una riflessione sulla storia della comunità giovannea


Introduzione

«Figlioli, è giunta l’ultima ora e, come avete udito che giunge l’anticristo, così ora sono sorti pure numerosi anticristi: da ciò sappiamo che è giunta l’ultima ora. Sono usciti di tra noi, ma non erano dei nostri: se infatti fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti assieme a noi; invece (sono usciti) affinché fosse messo in evidenza che non appartengono tutti ai nostri» (Prima Lettera di Giovanni 2,18-19)[1].

Chi sono questi misteriosi «avversari» della Chiesa nascente, «anticristi», come li definisce l’autore della Prima Lettera di Giovanni, colpevoli di essere usciti dal seno della comunità perché portatori di una dottrina e di un insegnamento incompatibili con quello cristiano? Citazioni come questa hanno fatto scorrere i classici fiumi d’inchiostro: numerosi ricercatori hanno cercato in tutti i modi di districare questa matassa e di scoprire di chi si trattasse, spesso operando collegamenti, anche azzardati, con vari gruppi eretici attestati in seguito. Cercherò qui di riassumere la storia della ricerca su questi umbratili «antagonisti», appena accennati nella prima epistola giovannea e, forse, anche nella seconda.


Breve storia della comunità giovannea e dei suoi oppositori

Per «comunità giovannea» si intende la Chiesa la cui guida è tradizionalmente ascritta all’apostolo Giovanni e a cui sono collegate le seguenti opere neotestamentarie: il Vangelo di Giovanni, le tre epistole della stessa attribuzione e anche Apocalisse, nonostante alcune differenze specifiche per cui il suo autore dovrebbe essere distinto da quello del Vangelo. Esiste un certo consenso quanto al fatto che la comunità risiedeva a Efeso, in Asia Minore[2]. Ora, chi legge la Prima Lettera di Giovanni può ricavarne l’impressione che essa metta costantemente in guardia il suo pubblico contro degli avversari (tuttavia mai menzionati esplicitamente), per mezzo di frasi come 2,4-5:

«Chi dice di averlo conosciuto e non osserva i suoi comandamenti, è un bugiardo, e in lui non è la verità; invece, quanto a colui che osserva la sua parola, veramente in lui ha trovato compimento l’amore di Dio…».

Ecco allora che gli studiosi hanno cercato di delinearne il contorno, in una specie di accanito «profiling» neotestamentario. Solitamente, sono state additate le seguenti caratteristiche:

1) Docetismo, cioè gli antagonisti non prendono in considerazione l’Incarnazione del Figlio: il termine «docetismo» deriva infatti dal verbo greco «dokein», «apparire», per cui il Figlio «sembrerebbe» un essere umano, ma sarebbe in realtà solo Dio. In effetti, sappiamo come Croce e Incarnazione all’epoca (e non solo all’epoca) provocassero scandalo.

2) A livello etico, essi avrebbero creduto nell’impeccabilità dei fedeli: non conseguita per senso di responsabilità, come lascia intendere Giovanni, bensì in modo automatico e ontologico, perché i salvati avrebbero tratto la loro origine direttamente da Dio. Ciò avrebbe reso inutile l’azione salvifica del Cristo.

3) Indifferentismo a livello etico (qualsiasi cosa facciano, gli antagonisti sono salvi comunque): infatti, l’etica giovannea insiste molto sull’amore, più che su precetti precisi, per cui appare più vaga; questo aspetto sarebbe stato esagerato dagli oppositori.

4) Per alcuni studiosi si tratterebbe di pagani ben inseriti nella società[3]: in particolare, lo confermerebbe il brusco finale dell’epistola, il famoso «Figlioli, guardatevi dagl’idoli» (confronta 5,21), da intendere come ulteriore messa in guardia.

Il tentativo di Raymond Brown

Alcuni studiosi hanno tentato addirittura di ricostruire l’evanescente storia della comunità giovannea a partire dai suoi scritti. Un esercizio piuttosto rocambolesco, in assenza di prove esterne: il tentativo più celebre, e che ha fatto scuola per parecchio tempo, è quello dello studioso cattolico Raymond Brown. Nel suo La comunità del discepolo prediletto, egli legge così i testi a due livelli, come storia di Gesù, ma anche come storia della comunità giovannea, scandita dai passaggi seguenti:

1) I primi membri della comunità sarebbero dei discepoli di Giovanni Battista, passati a Gesù.

2) Dopo l’immissione nella comunità di alcuni Samaritani, essa avrebbe elaborato la cosiddetta «cristologia alta», che portava alle estreme conseguenze l’identificazione di Gesù con Dio, ben al di là di quanto gli Ebrei credessero sul Messia. Di qui, il concetto di pre-esistenza del Logos-Figlio rispetto a Gesù incarnato (una dottrina molto evidente, ad esempio, nello splendido inno del Prologo di Giovanni).

3) Questo avrebbe esasperato la contrapposizione con il giudaismo tradizionale, ma anche con altri gruppi giudeo-cristiani: alla fine del I secolo dopo Cristo sarebbe sopravvenuta la spaccatura definitiva con la Sinagoga.

4) La stesura delle epistole, invece, si collocherebbe dopo, in un’epoca di scissione interna testimoniata da Prima Lettera di Giovanni 2,19: la comunità, già avversa all’esterno (il «mondo» paganeggiante e preda delle tenebre), sarebbe stata attraversata dallo scisma di vari membri, deviati verso l’eresia gnostica.

5) La comunità giovannea avrebbe allora rafforzato il suo rapporto con la Chiesa petrina, come confermerebbe il secondo epilogo del Vangelo, il famoso capitolo 21, evidentemente aggiunto dopo l’epilogo primitivo del Vangelo secondo Giovanni 20,30-31. Nel capitolo 21, si insiste appunto sul rapporto tra Pietro e il discepolo prediletto.

6) La Grande Chiesa avrebbe allora nutrito una certa diffidenza nei confronti del quarto Vangelo: le epistole, specie la prima, sarebbero state quindi concepite come chiave ermeneutica dello stesso[4].

Raymond Brown non è stato l’unico a formulare ipotesi del genere, anzi, i tentativi di ricostruzione della storia della comunità giovannea abbondano. In modo non dissimile si è mosso ad esempio Tellbe[5].


Critica alla ricostruzione di Brown

Certo, questa ricostruzione (così come altre) appare verosimile e tenta persino parecchio: tuttavia… non abbiamo alcuna prova al riguardo. Più recentemente, si sono levate molte voci critiche nei suoi confronti. Adela Reinhartz ha messo in discussione la validità della duplice lettura del testo giovanneo: il Vangelo è una testimonianza da parte del discepolo prediletto (confronta Vangelo secondo Giovanni 19,35 e 21,24), quindi va riferito fondamentalmente alla vita di Gesù, così come le numerose profezie presenti nel testo. Solo secondariamente, la comunità potrebbe avere visto la propria vicenda come prefigurata in quella cristica, ma in casi puntuali[6].

Ancora più incisivo Paul Trebilco: gli evangelisti erano personaggi autorevoli della cristianità, in perenne movimento e partecipi di una visione ecumenica della Chiesa, il Vangelo secondo Giovanni è un’opera universale e indirizzata a più Chiese, per cui non è possibile leggerla in senso così esclusivista[7]. In effetti, se si pensa anche solo al sublime inno del Prologo giovanneo, il tentativo appare, come minimo, angusto; potrei anche aggiungere che queste ricostruzioni sembrano fondate su di un assunto, per così dire, «psicanalitico» (in senso lato): infatti gli studiosi tendono spesso a cercare eccessivamente le motivazioni del testo nel suo «sottosuolo», piuttosto che nelle intenzioni esplicite del suo autore. Quindi, per quanto la ricostruzione di Brown appaia, in fin dei conti, equilibrata, non è sufficientemente fondata.

La tentazione gnostica

A questo punto, c’è però da aggiungere una serie di osservazioni. Tutta la discussione è «viziata», per dir così, da alcune pregiudiziali di base. Per decenni, vari studiosi hanno discusso sul fatto che il Vangelo di Giovanni potesse essere stato o un ricettacolo per aspiranti gnostici, oppure gnostico esso stesso o avere avuto rapporti con lo gnosticismo. Questa lettura, che ha affascinato parecchi, è stata data dal famoso esegeta tedesco Rudolph Bultmann, secondo cui il quarto Vangelo avrebbe tratto origine dal mito di un Salvatore gnostico: mito di cui però non è mai stata ritrovata la benché minima traccia[8]. Oggi la questione è affrontata con maggiore cautela: al massimo si può concedere che certi gruppi gnostici e il Vangelo avessero un sostrato comune, come l’ambiente del giudaismo ellenizzato[9].

A monte di tutto ciò c’è il fatto che lo gnosticismo ha esercitato una forte attrazione sugli intellettuali del Novecento (e Giovanni si è ritrovato regolarmente al centro della discussione). Ad esempio, il famoso filosofo Hans Jonas lo ha reinterpretato alla luce dell’esistenzialismo di Martin Heidegger, come espressione dell’alienazione dell’individuo[10]. Senza dubbio, le vicende storiche degli anni ’30-’40 e la cultura ebraica di Jonas hanno molto influito sulla sua percezione di questo fenomeno religioso, ma non è detto che ciò sia stato utile alla sua comprensione, men che meno a quella di Giovanni.

Infine, bisogna definire però cos’è lo gnosticismo, cosa per niente facile. In generale, il termine è stato impiegato per descrivere un insieme variegato di gruppi, di solito considerati eretici dalla Grande Chiesa e attestati a partire dal II secolo dopo Cristo. Tuttavia, data l’eterogeneità dei gruppi in questione e degli influssi da essi recepiti, è risultato sempre più difficile delinearlo, nonché individuarne le origini: che cosa quindi è gnosticismo e che cosa non lo è? Dov’ è il confine? Quali sono i suoi caratteri imprescindibili[11]? Annosa discussione: il problema è che noi conosciamo gli «gnostici» soprattutto attraverso i loro detrattori, ovvero eresiologi come Sant’Ireneo o come Sant’Epifanio: e gli eresiologi hanno la tendenza a sistematizzare tutto e a «incollare» la loro interpretazione su queste dottrine. Ora, in età imperiale parecchi (anche cristiani insospettabili come San Clemente di Alessandria) amavano autodefinirsi «gnostici», cioè amanti della sapienza: anzi, questa era una definizione davvero alla moda, così come il termine «gnosi»[12]. Da qui però a erigere in movimento unitario la moltitudine di variegatissimi gruppi e gruppetti di cui parlano gli eresiologi, ce ne corre. Alcuni hanno tentato quindi di mettere in dubbio la validità di questa designazione, come Micheal Williams, che preferiva «movimenti demiurgici» – in cui compare cioè il Demiurgo, una figura di Dio inferiore al di sotto del Dio vero e a cui attribuire la creazione[13]. La proposta però non ha fatto strada. Anzi, tra gli studiosi si afferma sempre di più la consapevolezza che «gnosticismo» resta un termine storicamente valido per definire un fenomeno storico-religioso ben preciso, termine senza il quale la ricerca stessa faticherebbe a procedere[14]. Sicuramente, abbiamo bisogno di una definizione per studiare questo fenomeno e «gnosticismo» presenta ancora numerosi vantaggi: ma dobbiamo ancorarci a basi empiriche solide e allo studio specifico e approfondito di ogni singolo gruppo[15].

In conclusione, gli agganci tra il «corpus» giovanneo e lo gnosticismo (inteso come insieme di gruppi variegati, attestati a partire dal II secolo dopo Cristo) rimangono talmente labili da apparire insussistenti. In particolare, fa problema la datazione: le prime attestazioni effettive di gnostici risalgono al II secolo pieno, almeno alcuni decenni dopo la stesura della Prima Lettera di Giovanni, collocata solitamente a cavallo del volgere del secolo. Inoltre, chiunque conosca approfonditamente e gli uni e l’altra, vede le enormi differenze concettuali che intercorrono. Ma gli antagonisti?


Problemi di esegesi sulla Prima Lettera di Giovanni

Come dicevo, la discussione sui misteriosi oppositori delle epistole giovannee è stata compromessa all’origine e, aggiungo, non solo dalla «tentazione gnostica». Infatti, come indicato da Paul Trebilco e da altri, l’interpretazione della Prima Lettera di Giovanni è stata viziata pure da un’azzardata «esegesi a specchio»[16] che procede più o meno così: senza gran rigore metodologico, si applicano le frasi dell’epistola a ipotetici avversari e poi, a partire da queste dubbie attribuzioni, si ricostruisce a sua volta un gruppo eretico quanto mai evanescente. Questa è chiaramente una «petitio principii», cioè un argomento circolare, che sfocia nel nulla.

In realtà, la Prima Lettera di Giovanni, così come molti altri testi antichi, è stata costruita con un attento impiego di mezzi retorici e grande attenzione all’uditorio. Infatti, la preoccupazione principale dell’epistola è pastorale: cioè l’autore si adopera innanzitutto perché la sua comunità segua la retta via e per rafforzare l’autoconsapevolezza del suo gruppo. Perciò, leggerla come una descrizione degli avversari (che pure vi erano, come denuncia 2,18-19) è scorretto. Così, sono fiorite numerose letture retoriche dell’epistola, volte a reperire i mezzi impiegati dall’autore per far breccia nel suo uditorio[17]: molte ripetizioni, specie di concetti fondamentali, antitesi, anafore, epifore, epanafore, anadiplosi, parallelismi, forme esortative e così via. L’autore presenta così alcune idee forti in modo cumulativo e progressivo e non cita mai apertamente i dissidenti. A queste premesse Trebilco ha aggiunto la sua puntuale analisi del testo, contrassegnata da raro rigore metodologico.

Ora, osserviamo con Trebilco innanzitutto che l’autore impiega delle formule retoriche fisse: le frasi ipotetiche, magari associate a degli indefiniti, o i participi sostantivati, delle antitesi, per presentare dei casi opposti possibili. Per esempio, già in 1,6-10, ricorrono esattamente questi moduli stilistici:

«Qualora diciamo che siamo in comunione con Lui (Dio) e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non agiamo secondo verità; invece, qualora camminiamo nella luce, come Lui è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri e il sangue di Gesù suo Figlio ci purifica da ogni peccato. Qualora diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Qualora confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto, allo scopo di allontanare da noi i nostri peccati e di purificarci da ogni ingiustizia. Qualora diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di Lui un bugiardo e la sua parola non è in noi…».

È evidente come in frasi come queste prevalga lo stile, non la polemica contro ignoti secessionisti (tanto più che esse sono formulate alla prima persona plurale, per cui riguardano la comunità): quindi, dato che tutta l’epistola è costruita secondo queste modalità retoriche, sarà bene non leggervi più del necessario. Si noti anche che i primi versetti dell’opera evocano concetti (luce, tenebre, vita, principio, cui si aggiunge la «koinonia», la comunione tra Padre e Figlio) propri del Prologo del Vangelo giovanneo. Per buona parte del testo, l’autore ritorna sui medesimi principi etici, sviluppandoli secondo casi opposti possibili e ripetendoli per approfondirli; così, a 2,9-11, afferma:

«Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, fino ad ora è nelle tenebre. Chi ama suo fratello rimane nella luce e non v’è scandalo in lui; invece, chi odia suo fratello è nelle tenebre e cammina nelle tenebre né sa dove è diretto, poiché le tenebre hanno accecato i suoi occhi».

Il primo vero richiamo agli antagonisti è in 2,18-19, citato in calce: ma anche la descrizione di questi dissidenti è quanto mai vaga e cursoria. «Anticristi» sono coloro che rifiutano il Vangelo: il vocabolo è un tipico composto con la preposizione «anti-», e ricorre anche in Seconda Lettera di Giovanni 7, per cui nel Nuovo Testamento è esclusivo degli scritti giovannei. La figura dell’anticristo deriva dall’apocalittica giudaica e rientra nello scenario della fine dei tempi: esso acquisirà potere poco prima della sconfitta finale. Vi si allude in vari brani neo-testamentari, come Apocalisse 13 e Vangelo secondo Marco 13,14-27, ma non viene mai definito «anticristo» se non qui, dove, invece, la sua azione escatologica viene proiettata nel presente mediante le persone che lo seguono. Perciò, in questi brani, «anticristo» non significa solo l’avversario escatologico di Gesù, ma anche i seguaci del male[18]. È però possibile che essi siano fuoriusciti lentamente, come per un lento stillicidio: per meglio esortare i suoi fedeli, l’autore insiste sul fatto che è l’«ultima ora», l’ora escatologica di Daniele 7, dei discorsi sinottici sulla fine dei tempi (Vangelo secondo Matteo 24, Vangelo secondo Marco 13), di Seconda Lettera ai Tessalonicesi 2[19].

«Questo è l’anticristo, colui che rinnega il Padre e il Figlio» (2,22).

«Questo vi ho scritto a proposito di coloro che vi ingannano» (confronta 2,26).

Queste asserzioni possono far pensare che gli oppositori neghino il Cristo, la sua divinità, il suo legame col Padre, ma non è possibile andare oltre.

È evidente il timore che pseudo-profeti possano traviare il piccolo gregge (confronta 2,27), ma non è detto che ciò implichi un’attività di proselitismo da parte degli avversari: ogni nemico della fede rappresenta una minaccia. Difatti, il discorso prosegue nel terzo capitolo a proposito dell’amore di Dio, sugli imperativi etici, sui pericoli costituiti dal peccato e dal diavolo: entro una spiegazione su come distinguere i figli di Dio da quelli del diavolo a partire dalle loro azioni (e non certo da predeterminazioni ontologiche), Caino viene citato come «exemplum» di odio per il fratello, di antitesi a Cristo e all’amore fraterno (confronta 3,7-12). Ma, ancora una volta, anche queste asserzioni non si possono piegare a descrivere i dissidenti: certo, chi non osserva l’amore fraterno è «anthropoktonos», «omicida» (3,15), un vocabolo molto raro e forte, impiegato, non casualmente, per il diavolo nel Vangelo secondo Giovanni 8,44, altro brano che sottintende verosimilmente il ricordo di Caino. Ancora una volta siamo nel vago. Insomma, ogni altro richiamo all’amore fraterno non può essere letto come un appello «ad hominem»: e, in ogni caso, per noi risulta ormai impossibile coglierlo. L’amore reciproco è però un concetto talmente importante, che viene ripetuto per tutta l’epistola.

Nel medesimo quadro, il redattore consiglia il discernimento degli spiriti (confronta 4,1), in quanto esistono numerosi pseudo-profeti: non mi pare tuttavia che la lettera contenga elementi per identificare questi pseudo-profeti. Una dichiarazione un poco più specifica potrebbe trovarsi però in 4,2-3:

«Da questo conoscete lo spirito proveniente da Dio: ogni spirito che confessa Gesù Cristo venuto nella carne proviene da Dio, mentre ogni spirito che non confessa Gesù, non proviene da Dio; e questo è lo spirito proprio all’anticristo, a proposito del cui arrivo voi avete udito, e che ora si trova ormai nel mondo».

Non confessare il Cristo venuto nella carne è quindi proprio dell’anticristo. Ciò implica un pericolo doceta all’orizzonte: di più, però, non è possibile dire. Anche le frasi successive possono far pensare a un dissidio interno alla comunità (confronta 4,4-5 e 2,18-19):

«Voi provenite da Dio, figlioli, e li avete vinti, poiché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo: perciò, parlano secondo il mondo e il mondo presta loro ascolto».

È quindi possibile che esistessero dei dissidenti doceti, magari meglio inseriti nel contesto pagano dei fedeli giovannei: del resto 5,6, secondo cui Gesù Cristo è venuto «mediante l’acqua e il sangue, non nell’acqua soltanto, bensì, nell’acqua e nel sangue», verosimile allusione al Vangelo secondo Giovanni 19,34, potrebbe costituire un’esortazione anti-doceta. Del resto, pure Seconda Lettera di Giovanni 7-11 fa allusione a dei «seduttori» che rifiutano la realtà dell’incarnazione del Cristo, un passo spesso evocato in parallelo a Prima Lettera di Giovanni 4,2. Tuttavia, versetti del genere potrebbero riguardare qualsiasi forma di apostasia, dai Giudei che rifiutavano di riconoscere il Cristo, al già menzionato pericolo doceta, al paganesimo e così via. Insomma, i riferimenti genuini agli antagonisti risultano estremamente scarsi. Del resto, la breve terza epistola tratteggia un dissidio tra l’autore, il «Presbitero», e un certo Diotrefe per l’autorità comunitaria: segno che in queste assemblee abbondavano problemi di ogni genere.

Un’ultima osservazione: ammettiamo che le frasi ipotetiche costruite secondo contrapposizioni retoriche contenessero effettivamente allusioni dell’autore a questi avversari. Non solo noi non siamo più in grado di coglierle (ormai), ma dovremmo anche prendere in considerazione il fatto che tali allusioni sono condizionate dalla prospettiva dell’autore: lui potrebbe avere tacciato di odio fraterno i fuoriusciti, i quali, invece, magari non alimentavano idee del genere. Insomma, meglio attenersi all’analisi retorica del testo e fermarsi lì.

L’epistola si chiude «ex abrupto» con una frase isolata dal resto, anche dal punto di vista grammaticale e stilistico, in quanto è un imperativo secco (5,21):

«Figlioli, guardatevi dagli idoli.».

Si tratta forse di un ordine puntuale, che mira a un pericolo specifico, quello costituito dal paganesimo (il che non esclude però un senso più metaforico, quale una comprensione idolatrica del Cristianesimo): in ogni caso, questa frase rimane sulla scia delle esortazioni precedenti contro il peccato e l’apostasia.


Conclusione

Al termine di questa breve carrellata, forse il lettore sarà deluso: non possiamo trarre molto dalle epistole giovannee per ritrarre i famosi «antagonisti» che, probabilmente alla spicciolata, hanno abbandonato la comunità. Possiamo inferire che avevano tendenze docete, che il paganesimo era un pericolo per i fedeli, ma non molto altro. Di certo, lo studio di queste epistole permette alcune importantissime puntualizzazioni metodologiche: è bene ascoltare i testi e non sovrapporvi i nostri desideri o curiosità. Forse, attualizzando l’autore antico, potremmo considerare idoli anche quelli.


Note

1 Nel seguito, introduco i testi in una traduzione mia. Per il testo, confronta E. Nestle-K. Aland, Novum Testamentum Graece, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart, 197926, pagine 615-625; per un commento delle epistole giovannee, si vedano alcuni classici: R. Brown, The Epistles of John; R. Schnackenburg, Die Johannesbriefe, Freiburg, Herder, 1953 e l’amplissimo G. Giurisato, Struttura e teologia nella Prima Lettera di Giovanni. Analisi letteraria e retorica, contenuto teologico (Analecta biblica 138), Roma, Pontificio Istituto Biblico, 1998.

2 Confronta P. Trebilco, The Early Christians in Ephesus from Paul to Ignatius (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament 166), Tübingen, Mohr-Siebeck, 2004 e P. Rossano, Vangelo e Culture a Efeso e nella provincia d’Asia al tempo di San Paolo e San Giovanni, «Cultura classica e cristiana» 13 (1992), 282-296.

3 Confronta ad esempio J. Painter, The «Opponents» in 1John, «New Testament Studies» 32 (1986), pagine 48-71.

4 Confronta R. Brown, La comunità del discepolo prediletto: luci e ombre nella vita di una Chiesa al tempo del Nuovo Testamento (traduzione italiana), Assisi, Cittadella, 1982 (edizione originale americana, 1979).

5 Confronta M. Tellbe, Christ-believers in Ephesus. A Textual Analysis of Early Christian Identity Formation in a Local Perspective, Tübingen, Mohr Siebeck, 2009.

6 Confronta A. Reinhartz, The Johannine Community and Its Jewish Neighboors: A Reappraisal, in F. Segovia ed., «What is John?» II. Literary and Social readings of the Fourth Gospel (SBL Symposium Series 7), Atlanta, Scholars Press, 1998, pagine 111-138.

7 Confronta P. Trebilco, The Early Christians in Ephesus from Paul to Ignatius (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament 166), Tübingen, Mohr-Siebeck, 2004.

8 Confronta R. Bultmann, The Gospel of John. A Commentary (traduzione inglese dell’edizione tedesca 1964), Oxford, Basil Blackwell, 1971.

9 Sulle relazioni tra giovannismo e gnosticismo, confronta G. Filoramo, Il Vangelo di Giovanni fra gnosi e gnosticismo, in R. Penna ed., Il giovannismo alle origini cristiane. Atti del III convegno di studi neotestamentari, Ricerche storico-bibliche 2 (1991), pagine 123-145; J. D. Kaestli, Remarques sur le rapport du quatrième évangile avec la gnose et sa réception au II siècle, in J. D. Kaestli-J. M. Poffet-J. Zumstein edd., La communauté johannique et son histoire: la trajectoire de l’évangile de Jean aux deux premiers siècles («Le monde de la Bible» 20), Genève, Labor et Fides, 1990, pagine 351-356; D. A. Black, El grupo de Juan. Helenismo y Gnosis, in A. Pinero ed., Origenes del Cristianismo. Antecedentes y primeros pasos, Cordoba-Madrid, Ed. El Almendro-Universidad Complutense, 1991, pagine 303-323 e il mio Notes sur la réception de l’évangile de Jean au IIe siècle. L’idée gnostique de canon, in G. Aragione-E. Junod-E. Norelli edd., Le canon du Nouveau Testament. Regards nouveaux sur l’histoire de sa formation, Genève, Labor et fides, 2005, pagine 117-140.

10 Confronta Hans Jonas, Gnosis und spätantiker Geist, I Teil, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1963 (edizione originale 1934).

11 Il problema della definizione dello gnosticismo fu già posto dal noto congresso di Messina del 1966, i cui atti sono pubblicati ne: Le origini dello gnosticismo: Colloquio di Messina, 13-18 aprile 1966: testi e discussioni pubblicati a cura di Ugo Bianchi (Studies in the History of Religions 12), Leiden, Brill, 1970; su questo, si veda anche la nota 14.

12 Confronta Paul-Hubert Poirier, Comment les gnostiques se sont-ils appelés? Comment doit-on les appeler aujourd’hui?, «Sciences Religieuses» 33 (2004), pagine 209-216.

13 Confronta M. A. Williams, Rethinking Gnosticism. An Argument for Dismantling a Dubious Category, Princeton, University Press, 1996.

14 Confronta Augusto Cosentino, Le origini dello gnosticismo. A quarant’anni dal Congresso di Messina (1966), in Giulia Sfameni Gasparro-Augusto Cosentino-Mariangela Monaca edd., Religion in the History of European Culture. Proceedings of the 9th EASR Annual Conference and IAHR Special Conference, 14-17 September 2009, Messina (Italy), Palermo, Officina di Studi Medievali, 2013, pagine 267-282.

15 In questo senso ho concepito la mia tesi, La setta dei Perati, Università di Friburgo, 2006/2007, pubblicata in https://doc.rero.ch/record/232586/files/MagriA.pdf

16 Confronta P. Trebilco, The Early Christians in Ephesus from Paul to Ignatius (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament 166), Tübingen, Mohr-Siebeck, 2004, pagine 277-283. Per una lettura non polemica del testo, confronta T. Griffith, A Non-Polemical Reading of 1st John, «Tyndale Bulletin» 49 (1981), pagine 253-276; H. Schmidt, How to Read the First Epistle of John Non-Polemically, «Biblica» 85 (2004), pagine 24-41.

17 Confronta D. F. Watson, Amplification Techniques in 1 John: the Interaction of Rhetorical Style and Invention, «Journal for the Study of the New Testament» 16 (1993), pagine 99-123; E. Wendland, The Rhetoric of Reassurance in First John: «Dear Children» Versus the «Antichrists». «Neotestamentica» 41 (2007), pagine 173-219; J. M. Lieu, Us or You? Persuasion and Identity in 1 John, «Journal of Biblical Literature» 127 (2008), pagine 805-819; J. Lieu, Authority to Become Children of God: A Study of 1 John; confronta anche J. Lieu, La teologia delle lettere di Giovanni, Brescia, Paideia, 1993 (traduzione italiana dell’originale in inglese, Cambridge University Press, 1991).

18 G. Kittel-G. Friedrich edd., Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia, 1988 (traduzione italiana dell’originale tedesco, Stuttgart, 1973), volume XV, colonne 1066-1068.

19 Confronta G. K. Beale, The Old Testament Background of the «Last Hour» in 1 John 2,18, «Biblica» 92 (2011), pagine 231-254.

(aprile 2020)

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